Il tema del metacinema di Kaufman, dopo Adaptation, ritorna prepotentemente a mo' di sforzo titanico per dare senso a un'esistenza: i risultati lasciano spiazzati. Una delle pochissime esperienze uniche di cinema degli ultimi anni, un dramma corale e individuale, enorme, gigantesco. È il sogno di un uomo di rappresentare in scena la sua vita: toccante, indecifrabile, irritante; è un lavoro di un artista completo, talentuoso e imperfetto. Hoffman si conferma splendido protagonista, circondato da un ottimo cast. Da vedere, che piaccia o meno.
MEMORABILE: "Ti osservo da quando ti conosco, Caden, ma tu non hai guardato mai nessun'altro che non te stesso"; il prete conclude con "vaffanculo a tutti, amen".
Un film spiazzante, geniale, incomprensibile, forse volutamente. *** è un voto fittizio, perchè francamente non sono riuscito a comprendere fino in fondo questa pellicola, seguendo forse la volontà del regista. Kaufman elimina infatti qualsiasi linearità narrativa e temporale alla sua opera per permettere allo spettatore di entrare nella sua testa e di seguirlo nella sua vita-film. Alcune scene sono quasi commoventi, altre snervanti ma è il film è profondissimo.
La vita (e la morte) di un registra teatrale raccontata e destrutturata narrativamente su più piani sequenziali e rappresentativi, ma alla fine temporalmente esatta. Un film complesso che sembra quasi il testamento artistico di un grande attore come Philip Seymour Hoffman e non sempre di facile sopportazione. Uscirete dal cinema con qualcosa che grava sul petto. Da vedere a stomaco pieno, pienissimo.
Opera molto complessa ed impegnativa che denota un'ambizione talmente smisurata da risultare megalomane. Tuttavia nonostante sia un po' logorroico e presenti una sceneggiatura ingarbugliata che mescola i vari piani delle realtà e del tempo (creando paradossi non da poco) il film regge bene quasi interamente le due ore. Una sola visione non permette un'analisi esaustiva della pellicola, né un pallinaggio ed una recensione pienamente compiuti, né di coglierne le infinite implicazioni tematiche, le sfumature, i significati, le interpretazioni. Citazioni? Becket, Shakespeare e tanto altro.
L'arte può rappresentare fedelmente, riprodurre la vita? Piu o meno Kaufman ci parla di questo, nel suo mezzo capolavoro imperfetto. Un protagonista secondo me perfetto (che oltretutto qui ha il merito di non strafare), momenti toccanti, disturbanti, allucinanti, alternati ad altri un po' confusi che però rendono bene l'idea di smarrimento sul "set". Qualcuno potrebbe obiettare che è la solita storia a scatole cinesi di Kaufman, però è talmente complessa e ben fatta che mi lascio abbindolare volentieri!
Un regista teatrale mette in scena la vita, sdoppiando fra realtà e finzione persone e luoghi, in un gioco di piani esheriani e specchi infedeli fino a diventare lui stesso personaggio ma non di se stesso... Una cosina leggera, insomma: ambiziosissimo, talvolta respingente nella sua voluta cripticità, il film di Kaufman intriga per la complessità strutturale e scenografica, per l'ironia paradossale, per l'abilità con cui mescola sogni, rimpianti, premonizioni di morte. Hoffman è fragile, tenero, umano: uno dei più grandi attori non-viventi qui ancora, solo provvisoriamente, vivo.
MEMORABILE: La bara al funerale del padre; la mostra d'arte con i micro-dipinti; la figlia nuda interamente tatuata
Questo gioco confuso di (non) ruoli, di analisi della realtà, di decostruzione dell'io riesce in un complicato esercizio metafilmico a intrecciarsi più di quanto dovrebbe con il reale (in Italia è uscito solo ora, 2014, in seguito alla scomparsa di Hoffman). Non si tratta di un lavoro con una conclusione ben precisa; quel che fa, in questo gioco di scatole cinesi in cui non si distingue la recitazione dal vero dramma, è fornire una propria teoria e poi affermarne (pesantemente) la sua natura precaria. Nessuna conclusione, solo un senso di immenso vuoto.
MEMORABILE: Il micro contrapposto al macro, il gioco di parole sul titolo, il finale.
Il trionfo del kaufmanismo si sublima in un'opera all'insegna della frammentazione del sé, della sostituzione identitaria e della fusione fra realtà e rappresentazione. Intensissimo da un punto di vista emotivo, con sequenze surreali che lasciano il segno e lacerano l'anima per il cupissimo pessimismo cosmico ("stiamo tutti già morendo"). Profondissima analisi del bisogno mai soddisfatto dell'uomo, con pregevolissimi acuti solondziani e kafkiani. Peccato che alcuni giochi di parole si perdano nella traduzione. Un film unico, irripetibile, che possiede la stessa carica distruttiva di Inland Empire.
MEMORABILE: Hoffman da brividi; Il dialogo fra Hoffman e la figlia (un pezzo di cinema insuperabile).
Un ambizioso tentativo di far coincidere teatro e vita - e viceversa - con tutte le infinite sfaccettature contraddittorie che ciò comporta. Ne risulta un andamento estremamente complicato e "multistrato", in cui si perde facilmente il filo e ci si adegua quasi ipnotizzati alle ambiguità del racconto. Hoffman nei panni dell'ultranevrotico Cotard dà il meglio di sé nel vortice di un'immane impresa teatrale che non può avere soluzioni. Troppa carne al fuoco per un argomento che del resto è già un classico del teatro e del cinema.
MEMORABILE: Colpiscono i nomi Cotard e Capgras, che designano due gravi disturbi neurologici.
Tra piani complessi e bizzarre metafore il film procede col rischio di non attrarre chi guarda e infatti commercialmente è stato un flop. Però scivola via abbastanza bene, gli attori fanno un gran lavoro e diverse sequenze ne giustificano la visione. L'insieme può apparire pretenzioso ma trova comunque una sua ragion d'essere, anche una sua leggerezza che vanno ben oltre le complessità di cui parlavo.
Regista tra il depresso e il paranoico inscena la storia della sua vita in continuo divenire. Trama a dir poco arzigogolata per gli scambi di ruolo tra realtà e finzione, si segue basandosi sulla sfumatura di reale sentimento che distingue le parti. Rappresentazione decadente del vivere che ha un motivo d’esistere ma è inutile cercarlo. Seymour Hoffman superlativo nel caricarsi sulle spalle decenni di un campare crepuscolare. Regìa che studia bene le inquadrature per chiarire lo svolgimento delle scene.
MEMORABILE: L’attore che impersona il regista che s’innamora della vera assistente, anch’essa rappresentata; La casa nelle fiamme.
Un'opera esistenziale di impressionante magniloquenza: una riflessione meta - e postartistica - sul (senso del)la vita, una Ringkomposition perfettamente orchestrata, un inno - a suo modo nichilista - alla fragilità umana e alla terribile inconsistenza che pervade i nostri sogni, i nostri desideri, le nostre ambizioni. Come nel Boyhood linklateriano, a finire sullo schermo è la vita, non una sua riproduzione: e è una messa in scena che colpisce nel profondo. Hoffman gigantesco e profetico.
Un film incredibilmente coraggioso e audace che funziona su più livelli, tutti insieme assurdi, esilaranti e tragici, proprio come la vita. Un film che abbatte i confini dell'identità, senza allegorie o simbologie... un film sull'imparare a trascendere la propria sofferenza vedendo se stessi negli altri, condividendo il dolore. La nostra transitorietà è reale ma qualcosa persiste e forse siamo più legati a quella sorgente nascosta che, nonostante tutto, continua a scorrere.
La vita descritta in un film su un infinito dramma teatrale. Un film intimista che descrive la non vita di un ipocondriaco regista teatrale intervallato dai paradossali personaggi di una commedia. Gioco intellettuale del regista, non nuovo allo sdoppiamento realta/fantasia più noto come sceneggiatore. Interpretazione degli attori eccellente (Hoffman, Morton, Wiest sopra gli altri) e ultima scena spiazzante. Bello ma molto impegnativo.
MEMORABILE: Le ultime due scene; La descrizione finale sul trascorrere della vita.
Kaufman si sa, non è uno a cui piace scrivere storie comprensibili a primo impatto, ma nonostante ciò in questa sua prima opera da regista crea qualcosa di molto interessante che mescola la meta-cinematografia e l'esistenzialismo caro al regista. Inoltre si avvale di un cast che dire eccellente è poco, con un Philip Seymour Hoffman in una delle sue parti migliori e una Morton spaziale che insieme riescono a trovare una sintonia di coppia quasi perfetta. Ottima anche la messa in scena, così come i tanti movimenti di macchina che ci trasportano nelle differenti sezioni temporali.
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così ti risposi a suo tempo su nocturno: per rispondere più approfonditamente a buono: potrebbe strutturalmente interessarti, essendo costellato di rovesciamenti, sdoppiamenti e spostamenti di significanti e significati ai limiti del lacaniano, linguistici e non. si può quasi dire che sono il motore stesso di tutta l'opera.
Schramm ebbe a dire: così ti risposi a suo tempo su nocturno: per rispondere più approfonditamente a buono: potrebbe strutturalmente interessarti, essendo costellato di rovesciamenti, sdoppiamenti e spostamenti di significanti e significati ai limiti del lacaniano, linguistici e non. si può quasi dire che sono il motore stesso di tutta l'opera.
Ricordavo di avere già chiesto, ma pensavo di averlo fatto qui!
Grazie.
Gestarsh99 ebbe a dire: Didda23 ebbe a dire: Un'opera ambiziosa e complicata, che non avevo affrontato in passato per il terrore di perdere qualcosa con i sottotitoli.
Forse uno dei film più complessi e inestricabili della storia del cinema, a pari merito col lynchiano Inland Empire.
P.S.: Sul Davi non riesco più ad accedere, ho chiesto a Zender di passarti la mia mail.