FORTUNA E SFORTUNA: LA DOPPIA DANNAZIONE DEL 13
Son strane le occasioni della vita.
Sei li, sul tetto, per i fatti tuoi, che svolgi sereno il tuo lavoro, spostando tegole e prendendo misure e contromisure, e poi una stupida folata di vento decide che per te l'ora è segnata. Ma non subito, perchè c'è da sudarsi anche quella, peggio di un qualsiasi tozzo di pane giornaliero.
Sebastiene è un modesto operaio ventiduenne di origine georgiana, quel po' di danaro che riesce a mettersi in tasca lo guadagna con saltuari lavoretti di ristrutturazione domestica. E con quei soldi ci mantiene anche la povera famiglia, madre-padre-fratello-sorella stipati assieme a lui in un angusto bugigattolo della periferia urbana francese.
La sua ultima giornata di lavoro si apre però con una serie inquietante di segni misteriosi, forse premonitori: uno sconosciuto che lo fissa agghiacciato in lontananza, un borbottare sospetto, un origliare confuso e singhiozzante, una prospettiva di guadagno facile, il sogno di ricchezza, il desiderio di fuga da una vita di povertà e sacrificio. E poi quello sbuffo d'aria maligno, che soffia giù dalla finestra una lettera dal contenuto enigmatico.
Si parte.
Senza conoscere la meta effettiva nè avere a mente che ogni profitto ha sempre un suo costo, un vuoto a rendere, un residuo dovuto di spese amministrative. Soprattutto ignorando che la Morte non accetta mai misere mance...
In questo intenso e coraggioso esordio registico, il giovanissimo
Gela Babluani riesce in un'impresa non da poco: fondere con mirabile maestria il corposo retroterra nazional-cinefilo della nouvella vague godardiana, l'alone di maledettismo e perdizione ineluttabile da polar francese e passaggi di impassibile follia nichilistica dal forte sapore ciminiano (difficile non pensare ad un classico quale
Il Cacciatore), modellandoli attorno ad un intreccio cronometrico e studiatissimo, sorretto dalla suspense affilata delle angoscianti fasi di preparazione al "gioco".
Si, perchè è da un gioco che scaturisce lo shock più indigesto e degradante della vicenda.
Quello che il film propone è un'acuta ed astuta riflessione sul destino, sulla sorte, sul senso di fatalità. Il disvelamento suggerito dall'autore è che il futuro non sia un foglio bianco, su cui ogni faber fortunae suae scrive liberamente ciò che più gli aggrada, bensì un programma già stampato e prestabilito, al quale è quasi impossibile sottrarsi e la cui ultima pagina porta sempre alla stessa, invariabile conclusione.
Non è casuale che la scelta del titolo sia ricaduta sul numero 13, che nella tradizione esoterica e religiosa incarna il disordine, l'ambivalenza fortuna-indiretta/sfortuna-diretta e la disarmonia dagli esiti nefasti. Il 13 è la cifra che spetta nel gioco al protagonista, poichè ultimo aggiuntosi alla disumana lotteria di morte; il 13 si ripresenta per ben due volte anche nel numero di targa di uno degli scommettitori clandestini (e le conseguenze si vedranno); 13 infine è la somma dei proiettili utilizzati nelle cinque sessioni di gara (1 alla prima, 2 alla seconda, 3 alla terza, 3 al primo duello e 4 al secondo duello).
Nonostante i suoi 26 anni, il regista dimostra già un valido talento nel conferire spessore alla sua storia e non si lascia sfuggire preziose occasioni per sottendere alle immagini una lettura di secondo livello, attraverso riferimenti politici e sociali adeguatamente ficcanti ed incisivi.
Al di la di sussurrati elementi metaforici, relativi alla storia del suo Paese, quali l'opprimente bianco e nero "sovietico" della fotografia ed il tema della roulette russa (leggasi
Il Fatalista di
Lermontov), quello che emerge con maggiore chiarezza è l'aspro discorso su una società che basa la propria sussistenza sullo sfruttamento dei più deboli, dei più disgraziati, dei più disperati, in una ciclica rincorsa all'auto-miglioramento sotto il segno profano del dìo danaro.
Nel film i ricconi in giacca e cravatta scommettono sulle vite dei concorrenti per diventare ancora più ricchi e lo fanno nè più e nè meno dei "partecipanti veri e propri", che mettono in gioco le loro vite per fuggire chi da condizioni di miseria materiale, chi invece da uno stato di disperazione esistenziale intollerabile e devastante.
Tuttavia la sofferenza non risparmia nessuno e la droga sembra essere l'unica maniera artificiale per alleviare il peso delle proprie ansie, delle proprie paure, della propria esistenza, della propria morte.
Quella di
Babluani è un'umanità già spacciata ed estinta: l'auto-distruzione volontaria resta solo la sua ultima penosa eroina consolatoria.
Indiscutibilmente, uno dei più affascinati thriller/noir dell'ultimo decennio.
P.s.: Da evitare come la lebbra l'inutile remake approntato dallo stesso regista nel 2010 per i grassi palati americani:
IL REMAKE