Girato negli stessi anni dei primi lavori di Cronenberg, sembra risentirne l'eco (il tema comune della follia e del decadimento fisico legati a una pericolosa quanto sconosciuta affezione); al punto che persino certe location losangelene richiamano (fors'anche per l'uso della fotografia) gli esterni canadesi di Cronenberg. Così come simile appare lo straniamento provato da alcuni personaggi, l'uso di musiche d'atmosfera a volte stridule... Di sicuro il film di Lieberman s'inserisce in binari inusuali e fin dai titoli (s'inquadra la luna con una carrellata virtuale che parte da sopra le teste di persone il cui sguardo non suggerisce nulla di buono) affonda la vicenda...Leggi tutto in un clima malsano ove anche i comportamenti di chi ci viene presentato come del tutto normale lasciano aperti molti dubbi. A cominciare dal protagonista Jerry Zipkin (King), che tra i primi durante una festa in casa entra in contatto con uno degli strani “ultracorpi” afflitti da alopecia che si stagliano presto all'orizzonte come il nemico da abbattere; sembrano impazzire, preda di un irrefrenabile impeto omicida, e la colpa è da ricercare in un misterioso acido che girava nella cittadina di Stanton dieci anni prima, il “Blue Sunshine” del titolo originale: tutte le persone colpite bazzicavano lì nel 1967 e Zipkin, per quanto non appaia la persona più adatta a condurre un'indagine (quanto a stabilità mentale e autocontrollo non è esattamente il massimo), in qualche modo lo scopre. Ciò che però prometteva di aprirsi come un vaso di Pandora emerso da un passato ricco di mistero in realtà tende a risolversi molto più semplicemente in una caccia agli strani esseri pelati che, quando indossano la parrucca, risultano del tutto irriconoscibili. Il tema è insomma quello dell'intruso che si mescola nella massa confondendosi e che Philip Kaufman riprenderà meglio l'anno dopo dando nuovo smalto al prototipo siegeliano. Naturalmente qui non ci sono alieni o visitors, solo le vittime di un'alterazione cromosomica a scoppio (molto) ritardato la cui apparenza e comportamento, tuttavia, apparenta il film alla fantascienza d'altri tempi. Lieberman (che oltre a dirigere si è incaricato pure della sceneggiatura) punta tutto sul clima enigmatico che circonda la vicenda, insistendo sul particolare dei capelli che si staccano a ciocche da chi subisce il fenomeno e dando spazio a un candidato alla soglia delle elezioni governative per arricchire un parco personaggi che dia varietà alla vicenda, un gruppo di persone che pare conoscersi e conservare gelosamente un cupo segreto. Peccato per la scarsa reattività di Zalman King, spesso in preda a crisi immotivate o imbambolato in attesa di combinare qualcosa. Il finale, che richiama alla mente quello d'un classico di Crichton, giunge inatteso senza saper tuttavia sorprendere come si sperava. Un dramma stralunato, molto settantiano nella concezione e nella messa in scena, che pur privo di particolari effetti speciali lascia comunque un segno nella memoria; per il make-up di questi “post-drogati” che d'improvviso danno di matto ma anche per sequenze indubbiamente azzeccate come quella della ragazza sospinta a bruciare nel caminetto di casa.
Partendo da un pretesto tanto assurdo quanto intrigante, Lieberman dirige questo inconsistente thriller che ha nella premessa la sua arma migliore. Per il resto c'è da segnalare un protagonista che ha lui stesso comportamenti da psicanalisi (davvero, osservatelo: una gioia per gli occhi) e certe scene così ridicole che perlomeno risollevano dal non-climax che regna beato per tutta la pellicola. Ha un pregio: terminata la visione, più ci ripensi e più ti scatena le risate. Ma... il finale dove sta?
MEMORABILE: Non perdetevi: Il protagonista in crisi davanti al caminetto; la madre col coltello; la lezione di tiro al bersaglio!
Horror dal curioso spunto iniziale che mostra ben presto i limiti dovuti a una regia noncurante del ritmo narrativo e del possibile incombere del ridicolo, elemento, quest'ultimo, accentuato dalla stralunata interpretazione del protagonista e dall'infelice resa del make-up dei posseduti. L'elemento politico (trattato meglio nel successivo Squilli di morte) lascia il tempo che trova e il film incuterà autentico disagio soltanto a chi teme l'incombere della calvizie. Pessimo finale tronco e divieto ai minori di 18 più inspiegabile del solito.
MEMORABILE: Il tentato infanticidio, unica scena veramente degna di nota del film.
Piccolo diamante della new horror settantiana. Lieberman fa della paranoia zombesca romeriana il filo conduttore in una citta assolata e agorafobica. L'alopecia come un nuovo contagio pandemico, tra angoscia e puri momenti terrifici (l'incipit con il caminetto, al centro commerciale pre-romeriano, nell'appartamento con i due bambini, i defenestramenti, i luoghi delle stragi familiari), in cui il ghigno della morte assume tratti agghiaccianti e disturbanti. Se i vermi dei Carnivori venuti dalla savana giocavano al rialzo del ribrezzo, la calvizie che uccide fa leva sulle fobie quotidiane.
MEMORABILE: Mentre i bimbi in tv si guardano Stanlio & Ollio, la donna perde la folta chioma e brandisce un coltello in stati di alterata follia.
Una strana "sindrome" fa perdere i capelli e la mente: efferati omicidi con un filo conduttore destano l'attenzione di un testimone. Buona l'atmosfera - a tratti sinceramente inquietante - sebbene manchi un po' di sviluppo: l'indagine procede spedita ma sottotono e la trama rimane superficiale fino al finale troncato (con didascalie). Altro punto debole è l'assenza di tensione, anche a causa di un protagonista ambiguo che parte già spompato. Tutto sommato intrattiene e sta in piedi senza troppe illogicità, ma lascia un po' indifferenti.
MEMORABILE: La vicina-babysitter che trangugia le pastiglie, si toglie la parrucca e perde la testa.
Suggestioni cronenberghiane in questo thriller-horror, tra droghe che a distanza di anni producono effetti omicidi negli assuntori e intrighi politici (invero abbastanza sullo sfondo), con un protagonista che suo malgrado cerca di far emergere la verità. Un film figlio del periodo e che vive di alcuni momenti di tensione riusciti, pur non riuscendo a superare un clima da b-movie; discreto comunque il cast, potabile la regia di Lieberman e spigliato il ritmo, anche se il finale risulta abbastanza deludente e in generale la sensazione è che manchi qualcosa rispetto ai più noti epigoni.
Come giallo potrebbe essere interessante, visto che ricerca una connessione fra alcuni studenti universitari che hanno assunto o spacciato una droga capace di dare terrificanti effetti a distanza, ma come horror è quasi tragicomico. L'improvvisa caduta di capelli, la fobia del baccano e l'aggressività improvvisa sembrano più una conseguenza del ritmo frenetico della vita moderna che neanche un famoso amaro riusciva a frenare. Quanto alla droga, che non si vede mai, speriamo che almeno fosse iniettabile, perché per via orale un tale macello al genoma pare quantomeno strano.
MEMORABILE: La faccia di Zalman King, che ci sta come i cavoli a merenda in un film che vorrebbe essere horror.
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