Nino D'Angelo: la luce e la voce

31 Gennaio 2011

PREMESSA GIOCOSA MA NON TROPPO.
CANZONI CON UN FILM INTORNO


Un jeans e una maglietta, diretto nel 1983 da Mariano Laurenti, con Nino D’Angelo nel suo primo ruolo da protagonista, è un film scritto intorno al (quasi) omonimo album di canzoni dello stesso D’Angelo: “Nu’ jeans e ‘na maglietta”, pubblicato lo stesso anno. Questa di essere un film concepito in funzione delle canzoni che contiene, era stata anche una caratteristica della maggior parte dei musicarelli anni sessanta, semi-instant movies fatti per promuovere un album, o per sfruttarne il successo (ed è anche la principale differenza tra musicarello e film musicale, dove le canzoni sono invece scritte appositamente per integrarsi con la trama, per valorizzare la storia).
Nel caso di Un jeans e una maglietta, gli sceneggiatori Regnoli, Calabrese e lo stesso D’Angelo hanno dovuto scrivere una storia i cui snodi potessero essere raccontati attraverso le canzoni di Nino; canzoni che, al pari di monologhi shakespeariani, chiariscono lo stato d’animo del protagonista, ne rendono partecipe il pubblico, rappresentano momenti di riflessione su quanto è appena avvenuto, spesso anticipano i futuri sviluppi della trama... in breve, come direbbero i critici seri, svolgono una funzione diegetica.
La sfida che il regista Laurenti ha invece dovuto affrontare è stata quella di costruire, attorno ad ogni momento musical-canoro, uno scenario dinamico, una progressione drammatica.
Quella di Nino non è e non potrebbe essere una vox clamans in deserto, la scena non può svuotarsi, l’azione non può  interrompersi mentre lui canta, gli attori secondari non possono trasformarsi, neanche per pochi minuti, in spettatori passivi: sarebbe anti-cinematografico... e Laurenti era un regista di cinema, uno che dirigeva attori, non un pubblico di amorfi figuranti!
Ma più delle (mie) parole, valgono gli esempi: sottopongo alla vostra attenzione un caso esemplare, che chiameremo “il paradigma Guaglioncella”, atto a dimostrare quanto testé sostenuto...

IL PARADIGMA GUAGLIONCELLA

Più o meno a 20’ dall’inizio di Un jeans e una maglietta, siamo alle prime fasi della love story tra il nostro Nino, cameriere in un hotel di Capri, e la bella Anna Maria, figlia di un ricco industriale del Nord (le potenziali fidanzate del Nostro sono, notoriamente, molto spesso figlie di ricchi industriali di un non meglio precisato “Nord”, punto cardinale e luogo dell’anima, che ancora nel 1983 racchiudeva,  per un ragazzetto dell’hinterland napoletano, un immaginario tra la Terra Promessa, il Paese dei Balocchi, Sodoma e Gomorra e Arcipelago Gulag). Ma non divaghiamo...

Dunque, è giunto per Nino il momento di dichiararsi. Come farlo se non con una canzone, una serenata? La canzone, c’è, è la melodicissima “Guaglioncella”.
Ma qui entra in gioco la bravura del regista Laurenti che, attorno alla canzone, allestisce un vivacissimo affresco, e costruisce un micro-dramma di tre minuti. La location è una stradina di Capri, in pieno giorno. Anna Maria si allontana a bordo della sua bici, sfuggendo, birichina, alle timide avances di Nino, e lasciandolo con un palmo di naso!
Nino, allora, sottrae una bicicletta incustodita ed insegue la ragazza fino a un semaforo rosso, dove è già ferma una  Cinquecento, a bordo della quale vediamo una coppia di coniugi di mezza età e di notevole stazza, debordanti, entrambi, dal minuscolo abitacolo: un dettaglio umoristico che non scorderemo!
Lui ha l’aria  vagamente scocciata, lei pure: si capisce che tra i due non esiste più un dialogo intenso...
Un’aria vagamente scocciata l’ha anche il vigile che sorveglia l’incrocio.
Questo, fino all’arrivo dei due piccioncini in bicicletta, che si piazzano davanti alla Cinquecento... parte il cantato, e in tre minuti cambia tutto.
Nino canta, e intorno a lui la scena gira, si muove, si trasforma. Il semaforo diventa verde, e il signore grasso nell’utilitaria dà segni d’impazienza.
Si sporge, per quanto gli è fisicamente possibile, dal finestrino e strilla: “E’ verde! Vigile, scusa, ma che ci stai a fare?”
Domanda pleonastica, che non merita, né ottiene, risposta: il vigile è rapito dal canto di Nino, sorride, ha occhi e orecchie solo per lui!
All’automobilista scalpitante, rivolge appena un cenno distratto, come per dirgli di attendere...
E la moglie grassa, seduta accanto a lui nella Cinquecento? Anche lei sorridente e rapita, rivolge al consorte un’occhiata tenerissima!
Intanto, Anna Maria inizia a sciogliersi, non può più fingere di ignorare Nino, gli lancia sguardi complici e maliziosi...
Il semaforo ridiventa rosso, poi ancora verde, stavolta l’automobilista grasso appare rassegnato. Non protesta, anzi... risponde al sorriso della moglie! Il vigile è completamente in estasi. Nino continua la sua performance canora, e succede altro: l’inquadratura si amplia, dalla strada giunge all’incrocio, correndo, un altro personaggio. Un signore anziano, che appare alterato.
Si ferma accanto a Nino, non ne interrompe lo show, ma lo scruta in maniera poco amichevole. Ce ne chiediamo il perché, ci chiediamo chi sia il nuovo “attore”, che cosa voglia... ma per saperlo dovremo aspettare la fine del cantato!
Anche un gruppetto di ragazzi, intanto, si è radunato intorno a Nino e ad Anna Maria.
Siamo all’ultima strofa, ecco il climax: la coppia in crisi nella Cinquecento sta vivendo una seconda luna di miele! Marito e moglie si scambiano una carezza, si perdono l’uno negli occhi dell’altra!
Il vigile permane in stato di estasi, non è più un pubblico ufficiale, è un papà orgoglioso e commosso, forse perso in ricordi di gioventù... Non si trattiene, si spella le mani applaudendo Nino. L’automobilista grasso promette alla moglie di dedicarle, la sera stessa, un’analoga “serenatiella”. E’ l’apoteosi di Nino!
La canzone termina, Anna Maria fugge nuovamente, sperando, si intuisce, di essere nuovamente inseguita...
Purtroppo, l’unico insensibile al richiamo del cuore, e alla magia della musica e del canto, è proprio l’anziano signore che era giunto correndo all’incrocio! Già, perché è lui il proprietario della bici “sottratta” da Nino per inseguire Anna Maria!
Tra il derubato e il cantante innamorato c’è un vivace scambio di battute, Nino accampa scuse ridicole, la situazione rischia di degenerare... Il gruppetto di ragazzi si stringe intorno ai due litiganti.
La minaccia dell’anziano di “denunciare il furto ai carabinieri” stempera la pregressa melassa, una nuova nube si addensa sulla testa del nostro eroe, costretto ad una precipitosa ritirata! (A piedi: la bici ha dovuto ricederla al legittimo proprietario, che comunque l’ha apostrofato come “mariuolo”!).

Laurenti, abilmente, stacca qui... Lasciandoci nuovamente incerti sulle sorti dell’amore tra Nino e Anna Maria, e ammirati di fronte alla sua capacità di orchestrare una sequenza polifonica, disseminandola di punti di sospensione emotivi, di valorizzare la fisicità e la mimica degli attori, di mescolare il registro sentimentale e quello comico, di saper chiudere una scena utilizzando addirittura due “momenti di climax” consecutivi e ben diversi, ma ben amalgamati.
E, in tutto questo, non abbiamo potuto fare a meno di “orecchiare” l’irresistibilmente simpatico ritornello di “Guaglioncella”: “I’ pe’ tte mi sono cotto, tu mme ddice sciocco... ma chi tto’ fa fà...”!


NINO D’ANGELO: LA LUCE E LA VOCE.
CONVERSAZIONE CON CARLO MARIA MONTUORI SU “UN JEANS E UNA MAGLIETTA”


Un caschetto biondo dal taglio  approssimativo, facilmente riproducibile da qualsiasi barbiere suburbano, un sorriso e uno sguardo da ragazzino nel viso affilato da adulto, un fisico esile da folletto (che parla più di pasti saltati per necessità che di sedute in palestra o di diete studiatamente ipocaloriche), la leggera strafottenza di chi è cresciuto in strada, stemperata dalla gentilezza del bravo “figlio di mamma”, e soprattutto una voce fresca, ancora da raffinare, ma dal notevole potenziale.
Nel 1983 il ventisettenne Nino D’Angelo sembrava avere la carte in regola per compiere il salto di qualità: da  promessa della canzone napoletana a fenomeno nazionalpopolare, da co-protagonista, all’ombra di Mario Merola, di neo-sceneggiate quali Tradimento e Giuramento, a protagonista di neo-musicarelli che si rivolgessero ad una platea più ampia di quella locale, o regionale, quella platea che già aveva adottato, fin dai suoi timidi esordi, l’ex scugnizzo, ex cameriere ed ex “posteggiatore” di San Pietro a Paterno.
Nino meritava di essere conosciuto a livello nazionale, perciò attorno al suo nuovo album “Nu jeans e na’ maglietta” si costruì un film, intitolato, si badi, “Un jeans e una maglietta”: un titolo italiano per il pubblico italiano.
Fu l’inizio di un successo che continua ancora oggi, e sì che si trattava di un tentativo i cui esiti non erano poi così scontati... Ne parlo con Carlo Maria Montuori, da anni apprezzato direttore della fotografia in ambito cinematografico e televisivo, il quale, nel 1983, era un giovane operatore alla macchina proprio sul set di Un jeans e una maglietta, nonché  dell’immediatamente successivo La discoteca.

STEFANIA: Tu sei nato in una famiglia di artisti, visto che tuo nonno Carlo fu direttore della fotografia per De Sica in Ladri di biciclette, ne L’oro di Napoli, e in altre pellicole di rilievo. Tuo padre Mario curò la fotografia per Lattuada, Pontecorvo, e per altri nomi importanti. Come ti trovavi sul set di una pellicola come Un jeans e una maglietta?
CARLO MARIA MONTUORI: Benissimo. Quello era cinema popolare, cinema di serie B, se vuoi, ma era cinema realizzato con entusiasmo e con competenza. Mariano Laurenti era un uomo piacevole e colto, era cresciuto lavorando con Risi, Camerini, Bolognini, Steno... Era molto bravo nel creare il clima giusto sul set e nel collaborare con gli attori, cosa che forse è la più difficile nel nostro lavoro.

STEFANIA: Il film era un po’ una scommessa, anche per il produttore Francesco Calabrese...
CARLO MARIA MONTUORI: Esatto. Niente di pionieristico, niente di eroico, però insomma... Calabrese era stato uno scenografo, come produttore era agli esordi, credeva molto in questo progetto, scrisse il soggetto insieme a Laurenti, a Piero Regnoli e allo stesso D’Angelo, si occupò di trovare i finanziamenti (non pubblici, lo preciso), di mettere in piedi tutta l’operazione... poteva andare male. E invece andò molto, molto bene.

STEFANIA:
Già, gli incassi furono ottimi, tanto che immediatamente dopo fu realizzato anche La discoteca... Ma l’aspirante divo Nino D’Angelo, com’era?
CARLO MARIA MONTUORI: Era un cantante prestato al cinema, non un attore. Lo capiva, e seguiva con scrupolo le indicazioni di Laurenti il quale, comunque, cercava di non reprimerne la spontaneità, che era il suo valore aggiunto.

STEFANIA: Certo, Nino poteva contare su due formidabili “spalle”, Enzo Cannavale e Bombolo, due attori comici di consumata esperienza...
CARLO MARIA MONTUORI: Tecnicamente, era Nino che faceva da spalla ad entrambi! C’era questa dinamica divertente: Nino era succube di Cannavale, che faceva il precisetto, il burbero (anche se di buon cuore), e Bombolo era succube delle intemperanze di Nino... nella finzione, s’intende. Perché sul set eravamo un gruppo affiatato, ci facevamo scherzi come a scuola, il clima era rilassato. Tutto grazie a Laurenti: avevamo cinque settimane per realizzare la pellicola, eppure non c’erano ansie. Rientrare nei tempi fu facile, il lavoro piacevole: questo succede solo se un regista rispetta e valorizza sia l’aspetto professionale che quello umano dei propri collaboratori.

STEFANIA: Nel film, Nino appare come uno “scugnizzo”, giovanissimo, anche se nella realtà era un po’ più grande... E’ stato difficile farlo sembrare più giovane di quanto non fosse?
CARLO MARIA MONTUORI: Un po’ sì... Il fisico era da adolescente, fin troppo magro, gli abiti gli stavano appesi, ma sul viso c’era qualche rughetta e, per la verità, anche tracce di acne non ben curato... Insomma, avrai notato che il film si basa molto sulle panoramiche, fatte per valorizzare le locations dell’isola di Capri, però nelle scene romantiche, e negli stacchi musicali, i primi piani erano d’obbligo. Noi tecnici della fotografia abbiamo i nostri accorgimenti, sappiamo come dare le luci, però lì un grosso lavoro dovettero farlo i truccatori, a forza di cerone...

STEFANIA: Cerone?
CARLO MARIA MONTUORI: Eh, un bello strato! Eppure... vedi, Nino aveva un’energia, una spontaneità, una luminosità particolari, alla fine sembrava giovane, naturale. Aveva questa cosa, una cosa che ho notato spesso nelle persone venute dal niente che hanno conquistato il successo grazie a una passione genuina: loro hanno un rapporto particolare col successo, non lo danno mai per scontato, cercano sempre di tenere viva la passione che li ha portati in alto, lo sanno che è quella la loro forza. Perciò sono sempre pronti a migliorarsi, a imparare, a rinnovarsi... Nino era così. Credo sia ancora così.

STEFANIA: Già, forse è quella la sua luce! E poi, c’è la voce... Durante gli stacchi musicali, mentre Nino canta, lui è al centro dell’inquadratura, però il regista stacca ripetutamente anche sugli altri attori, che spesso mi fanno un po’ ridere perché alcuni sembrano a disagio... Cioè, lui canta e loro devono comunicare qualcosa solo con l’espressione, non possono parlare, né muoversi più di tanto, hanno un raggio d’azione ristretto... Non è difficile?
CARLO MARIA MONTUORI: Mah, veramente, per un attore non dovrebbe essere difficile. Direi, anzi, che rendere interessante un primo piano è il suo lavoro, se sa farlo. Se poi uno, o una, è una patata lessa... (ride).

STEFANIA:
Ecco... nel film D’Angelo è affiancato da due giovanissimi quasi-esordienti: Roberta Olivieri e Sebastiano Somma. Come si regolava, Laurenti, per dirigerli?
CARLO MARIA MONTUORI: Erano veramente giovani! Fisicamente, molto adatti al ruolo, la Olivieri era carina, ma come tante, era facile identificarsi in lei per le ragazzine. Somma era l’antagonista antipatico, nella realtà era il più intimidito, si impegnava, con tutto che avesse tre battute, ci teneva a far bene. A Roberta e a Sebastiano, Laurenti dava indicazioni precise, chiaramente invece Cannavale e Bombolo li lasciava più liberi, spesso addirittura improvvisavano, spuntava fuori la battuta, l’espressione, il gesto, così, sul momento... Cannavale aveva grande esperienza di teatro, Bombolo era una maschera da commedia dell’arte. Due comici schietti, spontanei ma precisi, misurati, attenti. Due professionisti.

STEFANIA: Nei primi anni ottanta, esisteva ancora il cinema di genere, nazionalpopolare, o di serie B, come vogliamo chiamarlo... Ed era fatto anche da registi come Laurenti, che avevano una professionalità ottima, una vera cultura cinematografica, oltre che solide cognizioni tecniche, si erano formati sotto l’ala dei maestri della commedia italiana... Oggi, questo cinema non esiste più. La fiction televisiva può svolgere un ruolo analogo?
CARLO MARIA MONTUORI: Non credo. Come intrattenimento, forse. Ma un ruolo analogo nel senso di finanziare il cinema d’autore o di fungere da “palestra” per attori, registi, sceneggiatori o tecnici che poi vogliano fare il salto verso il cinema d’autore, no. Perché il cinema d’autore adesso non esiste, perché non esistono gli autori. O, se esistono, non lavorano! E anche quel pochissimo cinema d’autore che si fa non lo finanzia la fiction, né insegna a farlo, non spinge certo a coltivare la creatività! Alcuni registi giovani, anche promettenti, che iniziano a lavorare per le produzioni televisive, finiscono per affossarsi in un certo linguaggio, e non sviluppano una cultura dell’immagine di tipo cinematografico.  Certe volte, sui set televisivi, io stesso non capisco se si stia girando una fiction o il backstage di una fiction, tanto poca è la cura per i dettagli, tanto piatta è l’estetica...
Ci sono eccezioni. Ho lavorato e lavoro con Eros Puglielli, anche per la televisione, (in Caldo criminale, So che ritornerai e in Faccia d’angelo, tuttora in lavorazione). E’ bravo, ha gusto per i particolari, sa inventare le inquadrature, movimentare le sequenze: sa raccontare attraverso le immagini. Questo è il lavoro di un regista, altrimenti... uno potrebbe fare l’operatore di cinegiornali, non so!

STEFANIA: E allora, concludiamo con un’ immagine! Un’immagine da uno dei film di Nino... qual è la prima che ti viene in mente?
CARLO MARIA MONTUORI: Veramente... Bombolo! Bombolo che fa il Gatto delle Nevi (ne La discoteca). Ma fa proprio il gatto, con la pelliccia e i baffi disegnati, striscia carponi, miagolando, sul pendio innevato... una cosa surreale! Di Nino, invece, immagini, no... Solo la voce. E quella freschezza, quella luce.

Ringrazio per la sua gentilezza e disponibilità Carlo Maria Montuori, identici ringraziamenti agli amici Sabrina Amati e Alfredo Betrò.


ARTICOLO E INTERVISTA INSERITI DALLA BENEMERITA STEFANIA

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commenti (8)

RISULTATI: DI 8
    Geppo

    1 Febbraio 2011 02:19

    Complimenti Stefania! Bellissimo approfondimento che ho molto gradito! BRAVA!
    Stefania

    1 Febbraio 2011 12:21

    Grazie Geppo, immaginavo che l'avresti gradito soprattutto tu, e grazie anche perché è stato in seguito alle tue indicazioni che, lo scorso anno, ho acquistato la collezione dei dvd di Nino D'Angelo e sono diventata una fan dei suoi primi film, spensierati e divertenti! :)
    Markus

    1 Febbraio 2011 20:24

    I miei più classici (ma anche sentiti) rallegramenti per questo delizioso approfondimento, arricchito, inoltre, dell'intervista al Sig. Montuori (che ringrazio anch'io). Sono un tipo di pellicole che ho visto soprattutto in passato, ed ebbi sin da subito l'impressione che, malgrado tutto, fossero film realizzati da grandi professionisti del cinema popolare che fu, a prescindere dal genere specifico. Grazie Stefania.
    Stefania

    2 Febbraio 2011 15:13

    Grazie a te, Markus, sapevo che la tua sana passione per argomenti vagamente trash ti avrebbe reso il fruitore ideale di questo articolo! ;)
    Powerglide

    3 Febbraio 2011 13:56

    Realizzato con cura e passione. Brava Stefania!
    Ellerre

    5 Febbraio 2011 13:01

    Un altro tassello mancante rispetto cinema più nostrano è stato inserito dalla sempre benemerita Stefania con le sue brillanti riflessioni sul "musicarello" di D'Angelo. L'intervista a Montuori è la ciliegina sulla torta o, meglio, sono i canditi nella pastiera...
    Stefania

    6 Febbraio 2011 21:44

    Grazie anche a Powerglide e ad Ellerre:) Il "benemerito" è soprattutto Carlo Maria Montuori che, a quasi trent'anni dalle riprese del film, è riuscito a rispondere con grande precisione alle mie domande! (Oltre che con molto umorismo e tanta, tanta cortesia!)
    Lucius

    11 Febbraio 2011 13:16

    Ottimo lavoro Stefania.Complimenti vivissimi.Lucius.