"Lourdes": L'analisi del film

22 Dicembre 2010

“Lourdes è un racconto crudele: una fantasticheria o un incubo tuttavia la speranza che sulla soglia della morte tutto potrebbe ancora sistemarsi esiste: Lourdes è la scena in cui si gioca questa commedia umana” (Jessica Hausner)


Presentato alla 66esima Mostra del Cinema di Venezia, Lourdes è il terzo lungometraggio della regista austriaca Jessica Hausner, girato subito dopo l'horror claustrofobico Hotel.
Il primo miracolo inconfutabile è avvenuto proprio a livello di giurie: il film difatti si è aggiudicato riconoscimenti da commissioni critiche internazionali (Premio Fipresci), da organizzazioni cattoliche (Premio Signis) e da unioni ateo/agnostiche (Premio Brian), riuscendo nell'insolita impresa di accontentare un po' tutti i diversi palati ideologici. Altresì singolare è stato l'iter pubblicitario che ne ha accompagnato l'accoglienza nelle grandi sale, riassumibile in quattro fasi ben distinte:

PRIMA FASE: il secco titolo religioso crea un superficiale fraintendimento e porta ad una defezione in massa di tutta la fetta non credente del pubblico.
SECONDA FASE: a sorpresa, il film inizia ad essere reclamizzato per mari e per monti come il non plus ultra delle opere laiche ed anti-cattoliche e tutta l'audience che in precedenza aveva dato forfait si catapulta vorace sul presunto cimelio contro-religioso
TERZA FASE: l'argomento trattato attrae sempre più spettatori fedeli, che dal canto loro lo esaltano a manifesto del proprio credo
QUARTA ED ULTIMA FASE: dopo aver messo d'accordo la critica, la pellicola assume una valenza universalmente interpretabile anche per tutta l'audience generale, mettendo in scena un patrimonio di valori largamente condivisibile.


LA FREDDEZZA DI UN EVENTO E IL CALORE DI UNA PRESA DI COSCIENZA

 
Il film racconta, in toni neutrali, distanti ed anti-spettacolari, la vicenda di una giovane affetta da sclerosi multipla, da tempo inchiodata sulla sua sedia a rotelle, che decide di imbarcarsi in una, per lei, nuova esperienza, recandosi in visita al Santuario mariano per eccellenza situato tra i Pirenei, quello che dà appunto il titolo alla pellicola. Sarà lei ad essere toccata, unica tra migliaia di visitatori, da quell'evento straordinario che chiunque soggiorni un luogo santo di quel tipo attende per sè: la guarigione.
Attraverso una storia che in altre mani poteva semplicemente restare confinata nell'alveo della più classica apologia fideistica, la filmaker austriaca in realtà ci offre una sua personale riflessione laica su concetti molto più sfaccettati e sostanziosi, come speranza, delusione, dogmatismo, rassegnazione, scetticismo ed invidia. Tutti sentimenti umani che occupano Lourdes per intero, alternandosi ritmicamente senza tralasciare spazi vuoti.

Un'apertura sorprendentemente kubrickiana nella sua ghiacciata compostezza, sottolineata dalle note soffuse e sontuose dell'Ave Maria di Schubert, ci introduce in un universo tra sacro e commerciale alquanto inedito per chi non è mai stato in pellegrinaggio in posti del genere. Un mondo, al di fuori del Mondo, popolato da una fauna di varia umanità in disgrazia.
In prima fila c'è Christine, interpretata con garbo e finezza da una brava Sylvie Testud. Una ragazza disincantata, forse non credente, che si ritrova in quel luogo un po' per caso; una che preferisce di gran lunga le città d'arte come Roma a Lourdes, tenendoci a ribadirlo più volte. Christine prende il miracolo che le viene offerto senza tanti entusiasmi, esibizionismi o clamori, lo accetta ma non si fa tanti problemi quando, verso la fine, avverte una probabile ricaduta: a quel punto lei non fa altro che riadagiarsi serenamente sulla sua carrozzella, paga oramai più per un amore conquistato (quello scaturito spontaneamente con il capo della sicurezza, impersonato da Bruno Todeschini) che per una padronanza fisica caduca e vacillante.

Al suo ottimismo vitalistico si contrappone però la grigia condizione di chi le sta attorno, un micro-cosmo assai meno spirituale e virtuoso di quanto ci si possa attendere. C'è l'anziana degente affetta da emiparesi facciale (Gilette Barbier), caparbiamente disposta a fare da tutrice alla giovane protagonista, pur di guadagnare punti per la grazia tanto agognata; troviamo poi la mamma (Petra Morzè) con la figlia tetraplegica, abbattuta, sconsolata, quasi invidiosa della grazia inattesa riservata in sorte a Christine ma pronta con commozione a sciogliersi in lacrime per un sorriso ed uno sguardo che la figlia le regala ; ci sono anche le due pellegrine pettegole, tanto simili a quelle che popolano i nostri condomini, che chiacchierano amenamente di come e dove si possa verificare il prossimo miracolo, interrogandosi poi sul perchè sia toccato proprio ad una ragazza poco devota. Anche chi ha il compito gravoso di vegliare sugli ospiti del Santuario non sembra possedere le capacità per farlo. Osserviamo così la giovane volontaria dell'Ordine di Malta (Lea Seydoux, presente anche nel coevo Bastardi senza gloria), gelosa della relazione nata tra la protagonista ed il capo della sicurezza; il gendarme più anziano che racconta barzellette irriverenti e fuori luogo sulla Madonna; il prete che risponde alle domande dei fedeli in maniera meccanica ed 
insoddisfacente (Gerhard Liebmann). Infine, la figura più enigmatica, l'arcigna capo-infermiera (Elina Lowensen), dal volto cereo ed ossuto, inquietante manifestazione umana del "memento mori": starà a lei, precognitivamente, il compito di cedere il posto all'ospite miracolata.
La sequenza che più tocca ed impressiona, rendendo in maniera magistrale l'intero senso dell'opera, è sicuramente quella finale. Una chiusa perfetta, carica di un profondo senso di umiltà cristiana che per tutto il film soltanto il personaggio femminile principale ha dimostrato di possedere in maniera sincera e disinteressata, al contrario di gelosie, invidie, frustrazioni, superficialità, materialismo e poca serietà espresse dal resto dei personaggi, dai volontari agli infermieri, dai religiosi fino ai degenti. Il brano "Felicità" di Albano e Romina, cantato alla bell'e meglio dalla giovanissima collaboratrice dell'Ordine di Malta e che fa da accompagnamento a tutto l'epilogo, più che semplice specchio di un folklorismo da greve intrattenimento turistico, è invece al contempo carico di estrema dignità e dolorosamente esplicativo.


IL PICCOLO GRANDE MIRACOLO DI JESSICA


Racconta l'autrice a lavori conclusi: "Si è trattato di un qualcosa di molto elaborato. Come avviene sempre in tutto quello che dirigo dedico parecchia cura alla scelta degli attori ed esigo ogni volta il meglio da loro. Questo film ha richiesto l'impiego di una considerevole quantità di comparse ed essendo impossibile, per ovvi motivi, far chiudere il santuario per girare le scene, è chiaro che, specialmente nelle riprese delle grotte, molte delle persone che si vedono sono dei reali fedeli in visita. In quel determinato frangente si può benissimo dire che si è girato quasi fosse un documentario."
Per realizzare questa pellicola la Hausner si è evidentemente documentata a fondo sulla questione, vivendo in prima persona le dinamiche caratteristiche di un luogo santo come Lourdes. E' difficile pertanto non scorgere, nel personaggio principale di Christine, l'alter ego dell'autrice stessa, catapultata in una realtà singolare da osservare rigorosamente con occhio puro e fanciullesco.
A tal proposito sempre la 
Hausner dice: "Quando ho avuto modo di conoscere per la prima volta Sylvie ho compreso sin da subito che era l'interprete perfetta per la mia pellicola, convogliava dentro di se sia l'ottima capacità espressiva sia un accentuato senso dell'umorismo, per me indispensabile; in più possedeva anche quella precisa dose di autoironia spontanea ed il giusto pragmatismo per recitare in storie di questo genere. Da lei non volevo che interpretasse il solito ruolo della donna malata e sofferente, esigevo che la protagonista del mio film desse l'impressione di trovarsi lì quasi casualmente, di essere immobilizzata su una sedia a rotelle ma molto più partecipativa di tanti altri, una che non capisce bene il motivo per cui è lì ma che fa questi pellegrinaggi per uscire dalla monotona solitudine di una vita da handicappata, da emarginata."

Durante la visione è quasi impossibile non notare il poco spazio che occupano sentimenti profondamente cristiani come la solidarietà, la carità e la fede vera e propria; tutto è burocratizzato, ritualizzato, robotizzato. Chi visita quel posto, sembra dirci l'autrice, lo fa non per la salvezza interiore ma per quella più scopertamente fisica, secondo un comprensibile anelito di concretezza ed egoistico istinto umano a vivere un'esistenza il più possibile dignitosa.
La regista non usa particolari filtri eufemistici per esporre le proprie immagini ed il suo approccio alla materia, d'altronde della sua posizione di scettica (ma non atea) non ne ha mai fatto un gran mistero: "Quello che reputo complicato da accettare della dottrina religiosa cattolica è proprio questo tipo di ottica, questo sguardo verso il futuro senza che il presente sia in qualche modo beneficiario di nessun rendiconto positivo. Sperare in una salvezza che probabilmente arriverà e che forse i credenti saranno ricompensati con la vita eterna riesce a rendermi a volte molto dura da accettare ed affrontare l'esistenza di tutti i giorni, non si hanno appigli certi di nessun tipo. Ho difficoltà ad essere credente proprio per questo motivo."
Chi scrive non sa se la situazione che vivono i malati in visita a Lourdes sia rapportabile totalmente al modo in cui ci viene descritta nel film. Dalla pellicola però, più che l'immagine del classico luogo di culto, emerge invece una realtà paurosamente simile ad una "EuroDisney per diseredati", fatta di "giostre" ed "attrazioni" da provare in successione, giorno dopo giorno; un "parco divertimenti" o "colonia estiva" in cui poco ci si svaga e molto si ristagna, in un ciclico ripetersi impassibile della quotidianità.

La Hausner, come detto, ha le proprie convinzioni, ma la sua regia si dimostra fredda, distaccata, algidamente prosastica, persino irrealistica nella sua asetticità esasperata. Le emozioni restano congelate in un rigore geometrico delle inquadrature di stampo quasi dreyeriano e non a caso proprio un capolavoro come Ordet sembra esserne il principale modello di riferimento. Lo stile dell'autrice austriaca ricorda da vicinissimo quello del suo connazionale Michael Haneke ma riporta alla mente anche le opere del finnico Aki Kaurismaki, nonchè consistenti rimandi ad autori nipponici quali Takeshi Kitano e Kiyoshi Kurosawa (sfrondati naturalmente delle loro accezioni iper-violente).
Se proprio si volessero individuare particolari pecche in questo progetto è giustappunto sul "modus" che si potrebbe puntare la lente; un certo modello formale di statica impassibilità, scientifica e svuotata di pathos, sta gradualmente diventando un vero e proprio trend di successo tra i giovani registi indipendenti europei di inizio millennio (si guardi ad esempio al pur eccellente Lanthimos di Kynodonthas) e ciò alla lunga rischia di stancare, oltre che di penalizzare, soggetti e sceneggiature validi. Per fortuna non è questo il nostro caso e la gelida imperturbabilità della confezione è totalmente piegata al servizio della trasparente immediatezza del profondo contenuto.
Chi sceglie di vedere un'opera come Lourdes non dovrebbe attendersi risposte universali, né tantomeno particolari suggerimenti, dovrebbe piuttosto esser pronto ad affrontare un dubbio, tra i tanti esistenti: la felicità è uno stato del corpo o dell'anima?

"Questo film ha rappresentato per me un cammino di ricerca, alla fine del quale ho scoperto che se un Dio esiste, è ingiusto"
(Jessica Hausner)


A Monsieur Hulot però questo film sarebbe certamente piaciuto molto...

APPROFONDIMENTO INSERITO DAL BENEMERITO GESTARSCH88

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