Radiografia di uno scandalo: "La bestia" di Borowczyk

14 Settembre 2009

Il film più scandaloso, tagliato e censurato di Walerian Borowczyk fu concepito inizialmente dal regista polacco come quinto episodio della sua precedente pellicola I racconti immorali e solo successivamente prese corpo l’idea di ampliarlo per realizzarne un lungometraggio.
Il titolo originale doveva essere "La véritable histoire de la bête de Gevaudin" con riferimento alla leggenda della bestia del Gévaudin che insanguinò realmente la Francia di Luigi XV uccidendo più di 200 persone, la cui storia verrà successivamente portata sullo schermo da Christophe Gans nel mediocre Il patto dei lupi.
Proiettato per la prima volta in Francia il 20 agosto 1975 col divieto ai minori di 18 anni, uscì in Italia solo nella primavera 1976 e venne bollato dai distributori come film pornografico tanto da essere proiettato esclusivamente nelle sale a luci rosse. Ma che non fosse un semplice film porno lo dimostra già la recensione del tempo di Carlo Felice Venegoni (critico della rivista Cinema Sessanta) secondo il quale il pubblico abituato all’hardcore non gradì più di tanto la pellicola poiché era “inquinata” da “altri elementi sui quali l’attenzione e l’immaginazione dello spettatore sono chiamati a compiere uno sforzo che questo tipo di spettatore non è disposto a pagare”. Insomma, il film in questione era troppo complesso ed “impegnato” per essere opera di un mero pornografo.
Critiche a parte, alla sua uscita il film scatenò un vero e proprio putiferio, non solo per l'alto tasso di erotismo, spesso ai limiti dell’hard (tanto da far dire al Mereghetti che Borowczyk aveva trovato “una terza via tra le costruzioni dell’erotismo hard e l’ipocrisia di quello soft”, ma anche per la sua forza visionaria e per altre implicazioni, di natura prevalentemente ideologica, che ora verranno brevemente analizzate.

Si pensi in primo luogo alla scena in cui la Hummel è a letto e si masturba con una rosa e il suo sesso invade lo schermo. Chi conosce un po’ la storia della pittura non può non pensare a “L’origine del mondo” di Courbet  che, ovviamente, essendo del 1866 ebbe enormi problemi di censura e conseguentemente di visibilità così come pure la scena in questione.
Il problema fondamentale posto dalla scena non fu però tanto, come intelligentemente affermato da Roberto Curti e Tommaso La Selva, l’esposizione dei genitali femminili quanto piuttosto la naturalezza con cui si mostrava una donna che raggiungeva il piacere senza l’ausilio dell’uomo. La sua è una “sessualità viva, vissuta, finalmente reale”. Con il regista polacco “l’autoerotismo femminile, ignorato o negato (fino a quel momento) sale al proscenio” e diventa finalmente “palpabile” e visibile tanto che diventerà un topos di Borowczyk che lo riprenderà varie volte anche in altri suoi film incappando nei medesimi problemi censori (si veda ad esempio la masturbazione contenuta nella pellicola Interno di un convento).

All’elemento erotico, già di per sè problematico visti i tempi, se ne aggiunge quindi uno ancor più “spinoso” poiché di natura ideologica: in questo film di “Boro” in particolare, ma anche in altri suoi lavori, la donna domina il maschio (non solo inteso come essere umano), lo soggioga e lo vince in maniera piena e completa.
Ciò è arguibile ancor meglio in un’altra scena scandalosamente clou del film che tanti problemi di censura dovette affrontare: si tratta ovviamente di quella del rapporto sessuale tra la nobildonna Romilda ed un cavallo, rapporto che viene mostrato in maniera del tutto esplicita con tanto di eiaculazione equina ad “irrorare” lo schermo (“ben prima di Nekromantik, fanno notare Roberto Curti e Tommaso La Selva). Negli anni Settanta scene del genere creavano ancora scandalo (e forse lo creerebbero ancora oggi) ma ancora una volta a turbare i sonni dei censori non dovette essere solo la componente squisitamente erotica ma anche quella “ideologica” sottesa alla scena: in essa, infatti, il cavallo viene montato dalla donna che si impossessa del suo fallo e lo conduce fino all’orgasmo decretando così il suo dominio incontrastato, la sua superiorità e ribaltando, completamente, ancora una volta, i rapporti di forza maschile vs femminile che non riguardano solo la sfera sessuale ma sono da essa sintetizzati.
Tutto ciò, aggiungerei io, in una società fallocratica come lo era quella del tempo (e come continua ad esserlo ancora oggi seppure in misura leggermente minore) era inaccettabile e doveva essere censurato-oscurato.
La donna che si oppone al ruolo assegnatole in questa società, quello di essere debole e meritevole di essere dominata in quanto suo “destino naturale”, e si ribella al suo destino e dimostra come sia vero il contrario, era un tema troppo scomodo se non addirittura “eversivo” per essere ignorato dai censori “tricolori”.

Il polverone fu quindi inevitabile ma la scena sdoganò la zoofilia (altro topos del regista che già s’era visto in “Therese philosophe” de I racconti immorali e verrà poi ripreso in Tre donne immorali?) generando numerosi epigoni anche nel cinema italiano: si pensi, tanto per fare qualche esempio, a titoli come Bestialità di Virgilio Mattei, La bella e la bestia di Luigi Russo o La bestia nello spazio di Alfonso Brescia (per non parlare poi della cinematografia hard) che hanno somiglianze già onomastiche col film del regista polacco, anche se nessuna delle pellicole citate avrà lo stesso “coraggio” visivo di Borowczyk né lo spessore artistico (si trattava, infatti, di mere turbate commerciali).

Altro tema scabroso di fondamentale importanza posto in maniera prepotente dal film è quello della lotta, la contrapposizione tra istinto (animale e belluino proprio anche dell’uomo) e le regole, le convinzioni imposte agli uomini da una società bigotta e dalla morale perbenista che si fa non poco condizionare dalle istituzioni religiose di cui nei film di “Boro” si dà spesso una rappresentazione che ha ben poco di lusinghiero (in particolare si veda, ancora una volta, Interno di un convento) e che anche nel film in questione è ben presente.
A questo proposito si pensi ad un altro elemento di scandalo che è sicuramente rappresentato dalla figura del prete che viene presentato, seppure in maniera allusiva, con tendenze pedofile. In Italia si sa c’è il Vaticano e certe cose, per quanto vere (in alcuni casi), non bisogna non solo dirle, ma nemmeno pensarle, pena il “rogo” censorio.
Ed è proprio contro questa morale bigotta della Chiesa, incarnata dal cardinale del Vaticano e come detto dal prete in odore di pedofilia, e della Società, incarnata da un ceto aristocratico molto ipocrita, che il regista si scaglia cercando di affermare il dominio della passione, degli istinti e desideri naturali che sono propri dell’uomo e che non vanno repressi e proibiti poiché come era solito dire il polacco "L'erotismo, il sesso, è una delle parti più naturali della vita. L'erotismo non uccide, non stermina, non incoraggia al male, non porta al crimine. Al contrario: rende la gente più gentile, porta gioia, dà appagamento, porta ad un piacere non egoistico".
Il sesso viene perciò rappresentato in maniera molto esplicita, come una qualsiasi cosa di istintuale, e quindi naturale, in cui non esistono perversioni di sorta (il campionario sessuale cui dà vita il regista è ampio: bestialità, omosessualità, eterosessualità e pederastia) ne barriere razziali e/o cetuali. A questo proposito riveste una certa importanza il rapporto tra il servitore di colore Ifany e la figlia del marchese Clarissa. Anche questo elemento può essere letto come atto eversivo e di sfida alle regole ed alle convenzioni sociali del tempo.
Ma in una società ancora profondamente bigotta e piena di tabù di ogni tipo (e le reazioni dell’epoca ai film di questo regista ne sono la dimostrazione) il sesso, come del resto altre pulsioni istintuali-naturali, non può essere vissuto liberamente che in sogno.
E’ solo nell’onirismo che è particolarmente spiccato nei film di questo regista (d’altronde non c’è da meravigliarsene essendo lui un surrealista) che gli esseri umani possono trovare la piena libertà ed il totale appagamento dei propri desideri. Di qui anche l’importanza rivestita dalla masturbazione nei film del regista, poiché essa può essere considerata a metà tra un atto onirico (è comunque legata alla fantasia) ed un atto concreto e carnale.
Possiamo quindi concludere affermando che La bestia, oltre ad essere un bellissimo film, rappresenta una pellicola scandalosamente ed eversivamente erotica ma anche “ideologica” e “politica” poiché attraverso di essa Borowczyk esprime in maniera carnale e metaforica allo stesso tempo, le istanze libertarie che si respiravano all’epoca non solo in campo sessuale.

APPROFONDIMENTO INSERITO DAL BENEMERITO COTOLA

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commenti (5)

RISULTATI: DI 5
    Undying

    14 Settembre 2009 19:16

    Bellissimo speciale su un film che adoro!
    Grazie Cotola!
    Finzi

    18 Settembre 2009 13:56

    Ottimo speciale su un film che purtroppo conosco poco. Bravo Cotola!
    B. Legnani

    18 Settembre 2009 17:02

    Caro Cotola,
    scusa, ma la notizia della distribuzione del film solo nei cinema a luce rossa è destituita da ogni fondamento. Io l'ho visto due volte, in due cinema normalissimi.
    Che gli spettatori hardcore del 1976 potessero poi essere delusi dell'opera è poi un assurdo anacronismo, perché le programmazioni, più o meno sistematiche, di hard in Italia partirono ben dopo il 1976. La tua fonte, quella che citi, va quindi presa con molte pinze...
    Con stima.
    b.l.
    B. Legnani

    20 Settembre 2009 02:24

    Aggiungo (come mi comunica l'ottimo Alessio Di Rocco) che in Italia non esistevano sale a luci rosse nel 1976. La prima sala di questo tipo (il Majestic di Milano) venne inaugurata solo il 15 Novembre 1977.
    Poi ci sarebbe da aggiungere che "luce rossa" non significava automaticamente "film hard", ma il discorso ci porterebbe troppo lontano, né io sono abbastanza esperto per farlo...
    R.f.e.

    8 Novembre 2010 12:35

    Bravissimo Cotola. Bello special su uno dei miei cult-movie assoluti. Condivido il 99% di quello che tu affermi sul film e sul regista.