Il film "perduto" di Longanesi

11 Gennaio 2008

Pittore
, giornalista, scrittore, editore, fotografo, pubblicitario (“Contro il logorio della vita moderna”; “Come natura crea Cirio conserva”; il sorriso Durban’s, il logo di Borsalino, si dice anche il cane dell’ENI!), impresario culturale, Longanesi è stato, in proporzione inversa alla statura fisica, un gigante della cultura italiana del ‘900. La sua eredità soprattutto editoriale si è riverberata a generazioni di giornalisti e  di testate, dalle sue (L’italiano, Omnibus, Il borghese) a quelle che delle prime sono figlie e nipoti: Oggi, Il Mondo, L’espresso, persino – più lontanamente – Repubblica. Ha tenuto a battesimo, o valorizzato, o lanciato in modo decisivo Brancati, Flaiano, Berto, Parise fra gli scrittori, Giovanni Spadolini fra i saggisti, Irene Brin come critica di costume, Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti fra i giornalisti – e si tratta solo di qualche esempio.

Provò anche il cinema: già scenografo per Duilio Coletti (La sposa dei re e Il fornaretto di Venezia) e sceneggiatore per Camerini (Batticuore), Longanesi tentò di realizzare un film suo nel 1943: Dieci minuti di vita. Con lui alla sceneggiatura Ennio Flaiano, Orsola Nemi e il fraterno amico Steno; Mario Soldati lo affiancò – come documentato da varie fotografie - per la parte tecnica (e in seguito lui fu aiuto regista di Soldati per Quartieri alti). La produzione era della ACI/Norditalia cinematografica di Romolo Marcellini (con cui aveva esordito anche Flaiano, scrivendo Pastor angelicus su Pio XII). Flaiano così ricordava l’esperienza: “Era il suo primo film, mai finito, la storia di un vecchio anarchico che mette una bomba sotto un palazzo e poi va ad avvisare tutti gli inquilini che hanno ancora dieci minuti di vita. (Era certo lui, Longanesi, il vecchio anarchico, ma la bomba alla fine si trova scarica. Longanesi non avrebbe fatto male a una mosca)”.

La sceneggiatura ambientava il film appunto nel condominio “minato” dal vecchio folle, dando luogo a una struttura a quadri, che avrebbero mostrato le grettezze, le miserie, il reale volto dietro la facciata rispettabile delle persone mostrate, messe a nudo dalla consapevolezza della fine imminente: un soggetto, a ben vedere, di stampo antifascista (nel consueto, allusivo modo “frondista” che fu la cifra di Longanesi). Nel progetto originale gli episodi di cui si componeva il film dovevano essere cinque, nella copia sopravvissuta se ne vedono solamente tre.

Sorpreso dall’8 settembre Longanesi riparò precipitosamente a Napoli, con Steno, Soldati (entrambi scrissero dei godibilissimi diari di quella vicenda terribile e grottesca al contempo), Riccardo Freda e Enzo Fiermonte, allora pugile, in seguito attivo caratterista del cinema italiano.

Il film fu ripreso, con altro operatore, dal regista Nino Giannini, e completato nel ’44 con un finale visibilmente posticcio, una musica non eccelsa (attribuita a tale T. Salesi, pare nom de plume della moglie di Pippo Barzizza e sotto cui, quindi, in definitiva, si celava con ogni probabilità quest’ultimo, accreditato come direttore) e un titolo diverso; ebbe presumibilmente limitatissima circolazione, tant’è che a Flaiano, allorché ne scrisse  in morte di Longanesi nel 1957, quindi con ormai lunga e continua attività nel cinema, risultava perduto.

I repertori denunciano una durata di 66 minuti; la copia visionata, che reca in apertura notizia di un restauro dal Centro sperimentale di cinematografia del 1996, ne dura solo 34: forse, al “carciofino sott’odio”, maestro dell’aforisma fulminante, cultore del frammento, sarebbe andato bene lo stesso.
ARTICOLO INSERITO DAL BENEMERITO IL GOBBO  

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