Discussioni su The ABCs of death 2 - Film (2014)

  • TITOLO INSERITO IL GIORNO 5/01/15 DAL BENEMERITO SCHRAMM
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  • Grande esempio di cinema:
    Undying
  • Quello che si dice un buon film:
    Anthonyvm
  • Non male, dopotutto:
    Pumpkh75
  • Mediocre, ma con un suo perché:
    Schramm, Puppigallo
  • Scarso, ma qualcosina da salvare c’è:
    Pinhead80

DISCUSSIONE GENERALE

4 post
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  • Schramm • 5/01/15 16:37
    Scrivano - 7694 interventi
    COME TI IMPALLINO ABCS OF DEATH 2 EPISODIO X EPISODIO

    Se è abbastanza raro che un sequel scavalchi, eguagli o si avvicini di pochi passi a un’ottima fonte sorgiva, dovremmo aspettarci l’esatto contrario per il sequel di un prodotto modesto, ovvero un n.2 che rende perfettibili le lacune e i vuoti lasciati dal precedente. Invece stiamo freschi. ABCS of Death 2 non solo non si cura di essere un ideale correttore automatico della pochezza del primo, ma persevera quasi compiaciuto in essa, al punto da peggiorare la non altissima stima che si aveva del predecessore. Naturalmente dell’ottimo (poco), del buono (meno ancora) e del passabile emergono in mezzo al mucchio di detriti, ma per tutto il resto (parliamo di 100' buoni di altro film) ci si è evidentemente attenuti allo stretto significato dell’abc: cioè la basilarità da sussidiario. E i risultati spesso caserecci, puerili, realizzativamente disastrosi, riflettono quasi sempre questo approccio, dando l’impressione che scarto e scorciatoia siano state le parole chiave della produzione.

    Scapolati i carinissimi titoli di testa (tra le poche sorprese dei 122' di film), vara la tratta A is for Amateur di E. L Katz, che ci dice di un cecchino pasticcione che proprio fallendo alla grande riesce in maniera paradossale nell’impresa: non lasciatevi ingannare, la realizzazione dell’idea –non lontana dai meccanismi del cartoon- sta al di sotto di come ve l’ho cucinata, ma se non altro non così sottostante da non strappare un dignitoso **!. B is for Badger di Julian Barrat è quella che potremmo definire una reductio ad absurdum dell’eco-revenge, anche se ci verrà scaltramente sgomitata la causa della mostruosità (le centrali nucleari) ma mai la morphé dell’effetto, forse parente di un tremor dato che l'orrore viene da una buca buia. Umorismo crasso, e il solito vigliacco espediente del POV digitale per spendere meno e portarsi a casa la sufficienza, al posto della quale arrivano **; le stesse che vanno appioppate a C is for Capital punishment di Julian Gilbey, col sommario processo autoctono di un paesino a un presunto pedofilo la cui condanna a morte non verrà sventata in extremis. L'effimero piacere sta tutto nello scoprire perché. Con D is for Deloused di Robert Morgan si sposta sia l'asse formale (un'impeccabile, strabiliante, metallizzata e psichedelica passo uno) che contenutistico con un pastiche che pare ideato dal Barker più scavezzacollo e drogato, a base di teratomorfie al limite del descrivibile e mutazioni assurde. Quasi una versione splatter e huxleyana di Rosso e Blu che porta a casa un ***!
    Si torna subito nei ranghi di una mediocrità sconcertante con E is for Equilibrium di Alejandro Bruges, che esplora le potenzialità comico-nerd del mito di Crusoe (parodizzando anche i vari Laguna Blu e Paradise). Qua e là i suoi momentini li avrebbe anche, ma complessivamente non avvince né convince ed è già troppa generosità affibbiargli un politico **. In caduta libera, in tutti i sensi, F is for Falling di Aharon Keshales e Navot Pupushado, con la paracadutista israelita incastrata tra i rami e in mano al sottostante fuoco nemico, in uno stupido giochino di leve tipo volpe-e-corvo dal finale faxatissimo: *!, e mi voglio rovinare. Fa anche di incredibilmente peggio Jim Hosking con G is for Grandad che con una realizzazione che nemmeno i quattordicenni di primo pelo ci dice di un nonno mezzo scemo che uccide il nipote che scemo lo è completamente, scimmiottandolo come si fa tra bambini. potenza della dementia praecox, in nome della quale si arrivano a fare pazzesche porcherie come questa, che infatti si becca un fin troppo qualificante *. Rialza la fiamma H is for Head games del sempre geniale Bill Plympton, che resosi conto del contesto in cui concorre si accontenta di parafrasare a su manera lo Svankmajer di Dimension of dialogue. Sottotono, per quanto può esserlo un genio come Plympton, comunque sbalorditivo come sempre, e ***! non glielo toglie nessuno. Tornano a cadere le braccia, e anche qualcos'altro, con I is for Invincible di Erik Matti, che pare rovesciare l'assunto narrativo della G: qua sono dei nipoti avidi a cercare di far fuori una nonna indistruttibile e ignifuga. Ma la matematica non è un’opinione, e invertendo l'ordine dei sicari, il monopalla non cambia. J is for Jesus di Dennison Ramalho ha dalla sua una certa fermezza stilistica e visiva, ma l'idea (un peccatore "torturato" da due predicatori vede in essi Satana) è davvero manichea, volgarmente binaria, e anche un po' cretina: **. Con K is for Knell di Kristina Buozyte e Bruno Samper torna a impennare la fantasia, con una sfera nerastra che pare venuta dritta dalle migliori pagine di Lovecraft o dai momenti più ispirati di Twilight Zone, che porterà un virale scompiglio omicida e suicida. Si fa della CG più spicciola virtù, ma l’idea è un tiro di dadi vincente lanciato con robusto polso registico, ed è subito ***. Per la legge della montagna russa che assemblaggi simili comportano inevitabilmente, si risprofonda nel nulla assoluto con L is for Legacy di Lancelot Imausen che racconta di una poco chiara maledizione in un villaggio africano con mostri pupazzati che nemmeno i Banana Split e una realizzazione terzomondista, tanto per stare in ambito geografico *. Non risolleva d'un millimetro le sciagurate sorti M is for Masticate del vinci-contest Robert Boocheck con un'idea che oltre a esser pochissima cosa è anche realizzata terribilmente, e non va oltre la sciapata adolescenziale *. Se non fa mezza piega che un esordiente possa beccarsi un monopalla, fa invece specie dover attribuire altrettanto a un Fessenden che con N is for Nexus si mette in pari con gli episodi più amatoriali e sostanzialmente nulli del lotto con una banale e scontata storia di letali incroci stradali nella serata di halloween, che oltre il * non va manco per sbaglio. Zombi, sempre zombi, fortissimamente zombi con O is for Ochlocrazy di Hajime Ohata, che ha la bella trovata di inventarsi un tribunale di senzienti revenants che condanna a morte gli umani per genocidio. A idea bella (e volendo anche molto) su carta corrisponde una resa realizzativa che dire sconcia è poco *! Non si capisce bene cosa c'entri con la morte P is for P-p-p-p-scary! di Todd Rohal, che combina un umorismo surreale tipicamente british con tre evasi nel buio (non lontani idealmente dagli Stooges) alle prese con una sorta di malefico gnomo ballerino che li impaurisce con anamorfosi facciali degne di un video dei Camillas. *!, suggellato dal premio Boh. Si resta al brodo primordiale di concept e techné con Q is for Questionnaire, ove Rodney Ascher viene a dirci che i questionari stradali degli accoliti di Hubbard et similia servono a raccogliere cavie per poco chiari esperimenti da laboratorio. L’antifona è che scientology è il male assoluto, roba da rendere onorevole sparare sulla croce rossa * . Anche R is for Roulette di Marvin Kren non fa granché per alzare la posta. la trama è tutta nel titolo, che come avrete capito sottende quel pericoloso giochino che si fa con un revolver e un solo proiettile, con un finale che sfido dio stesso a capire. *
    S is for Split di Juan Martinez Moreno gioca con un finale a effetto un'aggressione casalinga testimoniata al telefono (cosa che dà modo di rispolverare un uso non ortodosso dello split screen); il risultato non manda in estasi ma si lascia apprezzacchiare e si aggiudica un **! La staffetta passa nelle mani di T is for Torture-porn di Jen & Sylva Soska, con una provinanda finita in mano a una crew di snuffers che d'amblé diverrà un mostro che farà scempio della troupe, sotto il masturbatorio occhio di Laurence "Martin Centipede" Harvey, la cui simpatica special appaerence non basta a far scongiurare un *! al corticino. Pochi botti anche col consuetamente concettuale Vincenzo Natali, che firma U for Utopia: niente a che spartire con la magnificenza del serial, anzi. Si narra di una società che si pasce di vivere nell'Umologazione. Chi sgarra, sic et simpliciter, crepa portato via da una sorta di aspirapolvere-robot. tutto qui. Wow, nevvero? *!
    V is for Vacation di Jerome Sable si contraddistingue per il mezzo usato, uno smartphone, che diventa anche il funzionale macguffin rivelatore di un adulterio con coca-party che sfocerà in carneficina. Very so-so **.
    Con l'impennata allucinante di W is for Wish, Steven Konstanski torna a farci ben sperare: protagonista un bimbo il cui desiderio di possedere dei simil-Masters of the Univers lo gitterà carrollianamente in uno spot che li promuove, con spassosi esiti da mescalina. peccato che il tutto duri solo 5' e obblighi a un finale un po' irrisolto e tirato via. ma quanto precede merita indubbuiamente un *** secco.
    con X is for Xylophone, i redivivi Maury & Baustillo si lanciano nel goffo (e fallimentare) tentativo di pareggiare i conti con Spasojevich e con se stessi riesumando una Dalle sciroccata ma molto meno terrifica della virago de A l’interieur, anche se incarna non proprio la babysitter che tutti vorremmo. Un'ideina del genere sarebbe stato interessante vederla sviluppata in almeno 75', così com'è resta una quisquilia che non lascia solchi **. Tocca a Y is for Youth di Soichi Umezawa riservarci le ultime sferzate di delirio irrefrenabile, con la lettera rancorosa di un'adolescente verso i genitori il cui livore si tradurrà in deliranti soluzioni figurative tecnicamente naif ma di poderoso impatto espressivo. si vorrebbe che andasse avanti all'infinito: *** secco anche per lui.
    Chiude la traversata Z is for Zygote di Chris Nash, che nel suo far diventare la genetica un'opinione e la gestazione ben più di una via crucis da vita a uno spunto che purtroppo resta narrativamente tale e colpisce solo quando c'è da far di conto con gli f/x, del resto molto convincenti. Anche in tal caso la prigionia dei 5’ ha fatto più danno che miracoli. Siamo comunque dalle dignitose parti del **!

    Stando a quanto promettono gli end-credits, L'appuntamento con il terzo alfabethanatos è, sperando che il tempo porti consiglio, per il 2016.
    Ultima modifica: 11/03/16 11:51 da Schramm
  • Zender • 5/01/15 17:26
    Capo scrivano - 4 interventi
    Complimenti Schramm, erano un diluvio di episodi...
  • Brainiac • 5/01/15 21:25
    Call center Davinotti - 1465 interventi
    Su alcune riviste ne avevo letto benissimo, ma il format dei mille episodi non mi invoglia niente-niente, tant'è che ho skippato pure il I capitolo. Come al solito -by the way- la recensione di Schramm sarà quanto di meglio si potrà trovare sull'internet circa gli ABC's...
  • Puppigallo • 11/03/16 11:38
    Scrivano - 506 interventi
    Giù il cappello