Discussioni su Caldo soffocante - Film (1991)

  • TITOLO INSERITO IL GIORNO 14/06/10 DAL BENEMERITO KANON
    POI DAVINOTTATO IL GIORNO 14/12/22
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  • Quello che si dice un buon film:
    Buiomega71
  • Mediocre, ma con un suo perché:
    Daidae, Marcel M.J. Davinotti jr.
  • Scarso, ma qualcosina da salvare c’è:
    Kanon

DISCUSSIONE GENERALE

  • Buiomega71 • 2/07/21 11:51
    Consigliere - 25937 interventi
    Banana Republic di Dalla/De Gregori che risuona come un mantra, una Roma mai così livida e ben poco ospitale, desolata in alcuni istanti (che assume valenze spettrali e architettoniche degne delle Tenebre argentiane), dove la Gagliardo (autrice davvero gagliarda dotata di una personalità fortissima e narratrice insofferente alle convenzioni, ne è passato di tempo da quando veniva umiliata come "servetta" da Mastroianni nel L'assassino di Petri e memore dei suoi trascorsi artistici con Janksò, almeno nella febbrile sequenza cultissima dove Fantastichini strappa i vestiti alla Boisson , per poi rotolarsi con foga sull'erba), con un occhio ad Antonioni e l'altro a Peter Del Monte, mette in scena (tra l'afa e i boccheggiamenti di una Roma invasa dai mondiali di calcio) una donna fortissima dal gran carattere combattivo, che per metà corre (su quei sandaletti con il tacchettino così anni 90), per le vie della città, come farà la Lola di Franka Potente, che non ha paura di nulla, intrufolandosi in tuguri/ghetto tra immigrati clandestini e tossicomani, marchettari e spacciatori, in una forsennata corsa conto il tempo, tra balere sul lungo Tevere al ritmo di Quando quando, feste esclusive delle notti romane vip con sottofondo Era de maggio, dove ci si può imbattere in scheccheggianti imitazioni di Andy Wharol, in un Moravia annoiato e nel maestro Mauro Bolognini, con Laura Betti che regala un delirante e gustoso monologo sui sosia , sino ad un finale all'aeroporto di Fiumicino dai sapori quasi depalmiani (veniva in mente quello di Complesso di colpa)

    Un pò fumoso nello script, ma coinvolgente dal punto di vista narrativo e ambientale, dove la Gagliardo, con sagacia e spiccata personalità autoriale, tira in ballo il femminismo , i rapporti lesbo (l'amica di Marie Christine), i comunisti irriducibili, le BR, i rapporti matrimoniali finiti e falliti (durissimo lo scontro iniziale tra Marie Christine e l'ex marito, cinico e sprezzante, fuori dal baretto), l'emancipazione femminile (scopriamo che Marie Christine è stata una ballerina che ha dovuto smettere per amore della famiglia e dei due figli), la ricerca di sè stessi proiettata nell'aiutare una perfetta sconosciuta.

    Il traffico romano assordante, le tifoserie, la radio che gracchia notizie, la televisione che strombazza pubblicità, un incidente nel bel mezzo della città, una lattina che rotola sulla strada, la succitata canzone di Dalla/De Gregori sparata a tutto volume in macchina o nell'appartamento messo a soqquadro, eppoi personaggi minori ma non meno importanti al fine di questa allucinata avventura metropolitana (l'amica pittrice, un padre onesto e addolorato per il figlio tossico-immenso Ferzetti-la collega giornalista della Leone, la fredezza di Tony Sperandeo, gli sgherri di Giulio Base e Francesco Benigno, i nigeriani al bar e le perle della collana che cascano a terra come un fiume in piena prima dell'arrivo delle volanti, le faccende burocratiche al distretto di polizia, i taxi, le palestre, i luoghi malfamati della città eterna)

    Una Roma quasi alienata, tra palazzi e strade deserte bruciate del sole, e la Boisson che scalpita, impreca, curiosa tra gli oggetti personali di Myriam, indossa la sua maglietta, lotta, cade e si rialza, finchè Fantastichini, in moto...

    Fantastichini straordinario che sembra Harvey Keitel di scorsesiani riverberi, bravissima e di fisico nervosissimo ( con due topless notevoli) la Boisson (delizioso il suo marcato accento francese. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando apparve come lolita perversa-e vogliosa- che faceva eccitare Sylvia Kristel in Emmanuelle sulla sedia di vimini), Pogany (che sostituisce Beppe Lanci) regala suggestioni solari e scorci notturni/argentiani della capitale (con un pianosequenza mozzafiato nella corsa della Boisson nel sottopassaggio)

    Opera sottostimata e liquidata malamente troppo in fretta, dove la Gagliardo si dimostra una delle registe italiane più dotate (e appassionata cinefila, visto che mette insieme, non solo alla festa mondana, il cinema italiano "alto", con i dialoghi nostalgici sulla via Veneto della "Dolce vita", che quello "basso", con il manifesto de L'infermiera di notte che troneggia fuori da un cinemino di seconda visione) dando prova del suo talento in questo "thriller" sui generis, dove strizzando l'occhietto al Frantic polanskiano restituisce una Roma sonnacchiosa e inquieta , forse la vera protagonista del film.
    Ultima modifica: 2/07/21 14:51 da Buiomega71