Primo film di Lina Wertmüller, in un sobrio bianco e nero. Molto interessante. Trasmette bene la noia, la ripetitività, le illusioni e (specialmente!) le speranze coltivate con la taciuta consapevolezza che non si realizzeranno mai. Il tutto inserito in un contesto agreste del Meridione, pertanto con situazioni più tipiche del Sud. Ottimo Satta Flores. Da non perdere.
MEMORABILE: I maschi che, cercando di farlo di nascosto, vanno dalla prostituta del paese.
La Wertmüller, in questo suo primo lavoro, mette in luce molto bene uno spaccato di vita nel meridione d'Italia molto vero, anche se non assoluto. Fotografato con uno stile da reportage dei Maestri della famosa agenzia Magnum Photos e parlato con la cadenza tipica pugliese, racconta quella che apparentemente sembra una staticità di vita e di abitudini ma che si rivela invece un ambiente che pur difendendo le sue radici è pronto anche ai cambiamenti che magari critica pettegolando, ma che poi accetta, come accetta con rassegnazione tutto.
MEMORABILE: ...in questo paese quattro siamo e tre sono laureati.
Una sorta di Vitelloni in salsa meridionale questa opera prima della regista Lina Wertmüller, il cui film rappresenta le (poche) aspettative e le (molte) speranze disilluse di un gruppo di giovani in una cittadina del sud. Molto riuscita l'ambientazione e ben caratterizzati i personaggi, interpretati da un cast all'altezza nel quale spicca il bravo e compianto Stefano Satta Flores.
Bell'esordio questo di Lina Wertmuller, che mi ha stupito più con questo film che con quelli successivi. La regista "inquadra" bene la situazione del Meridione di quei tempi, girando una sorta di personale rilettura de I vitelloni. Si sorride dinanzi a certe situazioni ed ovviamente si riflette. Belle le musiche di Morricone.
Notevolissimo esordio della Wertmuller; qui ci si muove in bilico tra neo-neorealismo, liricismo e grottesco, con ovvie influenze della coeva commedia all'italiana. Film ancora assai attuale, denuncia coraggiosa e schietta dell'arretratezza sociale, culturale ed economica del Sud Italia. Film assai più "politico" di quanto lasci intendere a una visione distratta. Ottime musica, fotografia e interpretazioni.
Straordinario esordio della Wertmüller che realizza uno dei capolavori del secondo Neorealismo, in un bianco e nero graffiato che rende le "sue" Murge meglio del colore. In uno degli angoli piú dimenticati d'Italia vengono raccontate le storie di due amici che realizzano l'impossibilità di cambiare il proprio destino segnato dalla sottocultura di un paesino che li costringe e li protegge. Da segnalare la presenza di maestri come Morricone, Ruggero Mastroianni e Pasqualino De Santis che danno luce, ritmo e suono a questo gioiellino.
MEMORABILE: "Pò esse che a Antonio ci manca qualche cosa, o forse ci manca a tutti noi, ed è per questo che la vita nostra passa e facciamo così poco. Così poco".
Il Sud com'era. Com'è. Azzerati - giustamente - i colori e amplificati - magistralmente - i caratteri. La Wertmuller scatta la foto ed è vera; la voce fuori campo tesse una storia e una morale. Raramente opera prima fu tanto valida e ineguagliata (altro che Mimì metallurgico)! Ascoltate attentamente il finale, è l'esordio dell'invenzione del Morricone più profondo: il geniale uso moderno (dopo... Bach) del contrappunto, in scrittura atonale a contrasto d'una lancinante melodia, altrimenti una canzone qualunque di Gino Paoli. Grazie, Maestro!
MEMORABILE: Nella piazza del paese c'è Michelino che con cento lire canta e balla il twist. "Qua si chiacchiera, si chiacchiera, si chiacchiera..."
Ritratto gustoso, divertente, "documentaristico", dolce-amaro e disilluso (si veda l'amarissimo finale) di un Sud della piccolissima provincia contadina in cui il tempo sembrava quasi essersi fermato rispetto al resto del paese. E' notevole l'esordio della Wertmuller che, a mio parere, quasi mai più si ripeterà
a livelli così alti. C'è una grande capacità affabulatoria, di racconto ma anche di cogliere ambienti, caratteri, piccoli particolari, stati d'animo. Bella la prova del cast. Confezione di lusso: Morricone alla colonna sonora, Mastroianni al montaggio, Di Venanzo alla fotografia.
MEMORABILE: La proposta di fidanzamento: "La risposta tra tre giorni"; "Ma lo sai che a Roma mi faccio la doccia due volte al giorno? "E non ti fa male?"
Sfuggire al proprio implacabile destino circolare? Tutto è già bello che approntato: una laurea, un buon partito da sposare, dei figli a cui trasmettere patrimoni genetici e immobiliari. Così fino all'autoestinzione di massa, allo scandalo su cui chiacchierare al circolo culturale, ai rivolgimenti sociali costantemente ignorati. Vengono in mente le Prochorovy, le sorelle cechoviane la cui esistenza si riassume nell'agognare un viaggio a Mosca mai veramente intrapreso: un'immobilità agghiacciante, nonostante la canicola mediterranea. Potente.
MEMORABILE: L'iniziale descrizione della controra; Il laborioso corteggiamento; Una cooperativa che non riesce a partire; Il finale.
La provincia. Noiosa, monotona, sempre uguale a se stessa; eppure quando ti ha accalappiato è difficile liberarsene. Questo è il messaggio di un film di quasi 60 anni fa ma modernissimo allo stesso tempo, che racconta molto della provincia italiana attuale, oltre che di quella del periodo. Gran bell'esordio per Lina Wertmüller, che ci regala un film vero, sentito e mai noioso. Belle location meridionali e, come sempre, una spanna sopra gli altri Stefano Satta Flores.
Buon esordio alla regia per la Wertmüller, che si affida a un'efficace b/n per fotografare un' Italia (in questo caso un paesino del Sud, ma la sostanza non cambia) fatta di illusioni e speranze coltivate con la consapevolezza che non verranno mai realizzate. Buona la prova degli attori, Satta Flores in primis, e bella la sceneggiatura, che riesce a essere interessante pur raccontando il "nulla" di cui sono fatte le giornate degli abitanti del paese. Lavoro interessante che faceva sperare in un futuro più roseo per la regista.
Notevole opera prima che trascina lo spettatore nei rituali dei Vitelloni di una cittadina di provincia, marcati da indolenza e frustrazione. È il ritratto di un Meridione còlto tra ataviche tradizioni e modernità incipiente, incapace di trovare il modo giusto per vivere nell’epoca del cambiamento, tra slanci velleitari e tragiche rese: c’è sempre un altrove (im)possibile, e c’è un qui in cui mutazioni e immobilismo si saldano in modo abnorme. Suggestive molte immagini, con un ottimo uso del b/n, così come l’impasto linguistico dialettale.
La Wertmüller si destreggia tra l'annichilimento provinciale meridionale con sobrietà e capacità di sintesi; dando prova di uno sguardo aperto, severo quando serve, ma mai compassionevole e carico di pathos, i consegna un'opera che assomiglia ad altre - e quindi Pasolini, Di Gianni e Fellini - ma che sa camminare con le sue gambe, grazie a un testo sincero e carico di autoironia - che poi è la vera arma di sopravvivenza di chi vive (in) questa splendida terra.
MEMORABILE: Il bambino che balla il Twist; "La risposta fra tre giorni"; Il sermone del padre.
Lina Wertmuller racconta sogni, speranze, disillusioni e ritualità per i ragazzi meridionali negli anni del boom economico. Stefano Satta Flores sembra anticipare il Giancarlo Giannini di alcuni anni dopo, ma con meno verve e forse anche meno originalità. E' però interessante notare come un tipico film "campagnolo" sia così diverso da quelli tipo La nonna Sabella di pochi anni prima.
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I protagonisti, nel loro girovagare per il paese, passano più volte davanti ad un muro sul quale è affisso il manifesto de I Normanni di Giuseppe Vari: