Opera prima di Marco Bellocchio, I PUGNI IN TASCA ha segnato la storia del cinema italiano. Per quell'epoca (siamo nel 1965) un protagonista così cinico, spietato ma inconsapevole e "innocente" (se ammettiamo la sua infermità mentale) era un bel pugno allo stomaco, per una società abituata a un cinema più prevedibile e rassicurante. Adesso l'affetto non può naturalmente essere lo stesso: anestetizzati dall'estetica degli omicidi negli horror, abituati a ritmi ben più sostenuti (il film è decisamente lento e datato) vediamo il film sotto un'altra luce. Eppure l’ambiguità, lo sguardo insondabile, i cinici calcoli di Lou Castel/Sandro per liberare l'unico fratello sano dall’insopportabile fardello...Leggi tutto di una famiglia mentalmente (nel caso di Leone, presentemente ritardato) o fisicamente (la madre non vedente) malata, destano ancora, a distanza di anni, un'impressione forte, che resta indelebile nel nostro immaginario. Perché Sandro non è un pazzo comune: è un epilettico raramente preda delle sue crisi ma altrimenti logico, apparentemente lucido e allo stesso tempo disturbato da sprazzi di follia che mirabilmente trattiene in un ambito di controllata "anormalità". Non c'è una vera storia dietro a I PUGNI IN TASCA, quanto piuttosto un collage di situazioni, una ripetizione dello stesso tipo di problematica che si sviluppa in condizioni differenti, mentre sullo sfondo si respira l'aria del paese di montagna "lontano dal mondo", estraneo come un po' tutte le componenti del film, compresa la bella colonna sonora di Ennio Morricone (più adatta a un horror di fantasmi che a un dramma di provincia). Molta poesia, forse troppa.
Uno di quei film di rottura che vale in relazione al contesto storico in cui è uscito. Bellocchio realizza una critica nerissima alla società, ambientando la storia nella provincia italiana degli anni 60. La pellicola risente però del ritmo lento e della ripetitività delle situazioni. Bravo l'inquietante Lou Castel e anche la Pitagora, che assiste divertita e complice all'evoluzione schizofrenica del fratello.
Straordinaria opera prima di Bellocchio, che in seguito non si ripeterà mai più a questi livelli e che a più di quarant’anni di distanza rappresenta ancora oggi un vero e proprio pugno nello stomaco. Raramente ho visto un attacco così duro e ben riuscito all’istituzione famiglia. Il cast è ottimo ma Lou Castel è semplicemente “spaventoso”. Insomma un grandissimo film da vedere senza tanti se e senza tanti ma. Ma che potrebbe non piacere a tutti. Si astengano le anime sensibili ed i bigotti!
Ragazzo mentalmente instabile uccide la madre cieca e il fratello ritardato per il bene del fratello di successo. E' il racconto confuso di un malessere confuso: e in questa perfetta consonanza di disequilibrio tra contenuto e forma 'maledetti' sta la bellezza di un film altrimenti insopportabile. Bellocchio mette a disagio lo spettatore con una storia di insofferenza e patologia per svelare, attraverso le vicende decadenti di una famiglia di buona borghesia, la disgregazione e l'implosione della borghesia italiana. Potente Lou Castel.
Semplicemente straordinario, un grande esempio di cinema italiano, paragonabile al cinema di Fellini per intenderci. Una vera piacevole sorpresa scoprire che, nel panorama italiano, oltre ai film neorealisti, di tanto in tanto qualcuno "produce" un gioiello di tale fattura, mai eguagliato nella sua grandezza neppure dallo stesso regista con i film successivi. Gli avrei dato l'oscar.
Madre cieca e fratello epilettico sacrificati sull'altare di una penosamente indefinita, velleitaria aspirazione alla normalità e alla libertà: liturgia di cui Sandro è sacerdote e vittima. Sulle note di una musica da film horror, Bellocchio ci conduce in tempio grigio, spoglio di idoli: la villa collinare dove si consuma il dramma di una borghesia deietta, che estirpa i suoi malanni visibili ma non sfugge al cancro dell'inutilità e dell'impotenza, e si rassegna alla sua sconfitta: essere e restare fuori dalla vita, dal mondo, dalla Storia.
MEMORABILE: Sandro alla veglia funebre della madre: "Non è mai stata così viva questa casa!"
Molto notevole (***½). È, come è noto, più un pugno nello stomaco che un paio di pugni chiusi in tasca. Potente, angoscioso, rappresenta le pulsioni "nascoste" della vita familiare, solitamente (o apparentemente) placida, ma qui esaltata da spinte centrifughe e centripete. I tre attori principali (Lou Castel, Marino Masè, Paola Pitagora) hanno la faccia perfetta e sono bravissimi.
Senza dubbio l'esordio più folgorante della Storia del Cinema italiano dopo (cronologicamente) Ossessione di Visconti. Potente e lirico assieme, disturbante nella sua feroce schiettezza ma ricco di pathos. Opera schizofrenica in cui i gesti contrastano con le parole. Sorta di versione padana dei Vicerè di De Roberto: anche qui al centro una famiglia le cui tare sociali e affettive son così annose da essersi sostanziate nel corpo e nella mente dei suoi componenti. Un intensissimo Castel ne è il terminale che disperatamente cerca liberazione e nemesi.
Poetico e durissimo affresco della famiglia borghese afflitta e consumata dall'interno. Tutto il malessere assorbito e proveniente da vari problemi di natura esistenziale vive nello sguardo e nella testa di un ragazzo mentalmente instabile, dai sentimenti contrastanti, apatico, alienato. Con un approccio in stile Nouvelle vague Bellocchio racconta la frustrazione dell'animo legata ad una vita in disparte e immersa nella routine, tranciando via di netto ogni rapporto sano alla base del nucleo famigliare. Calamitico Lou Castel.
La potenza, la forza dirompente del film sta nello spogliare l'istituzione familiare di ogni retorica ipocrita, da ogni decantata virtù positiva per restituircela come grumo di egoismo, cinismo, calcolo, reciproca sopraffazione. Sconvolge come l'instabilità mentale di Sandro alla fine non risulti altro che una profonda e spiazzante onestà e sincerità verso se stesso e gli altri, sincerità a cui neanche i fratelli "sani" sanno opporsi.
MEMORABILE: La collezione della rivista "Pro familia", salvata dal rogo giusto perché può avere un valore commerciale...
Il grigio natio borgo selvaggio e il nucleo familiare repressivo e tarato riflettono la dissoluzione della classe borghese, che si autodistrugge nell’apatia, nell’utilitarismo e nella volontà di potenza. Straordinaria e irripetibile opera prima di Bellocchio, sfoga ferocia e angoscia attraverso canali tragicomici incaricando attori al massimo della loro espressività: lucidamente folle Castel, succube la Pitagora (loro due non recitano: sono), ipocrita Masè, intensa e sperduta la Gerace. Bravissimo anche il “freak” Troglio, la cui innocenza elargisce battute tempestive ed esilaranti.
MEMORABILE: La pagella; i tic di Ale; i commenti di Leone; la gara di velocità; i dispetti tra Ale e Giulia; l’uccisione della madre e il falò dei suoi oggetti.
Mostruoso gruppo di famiglia in un interno (villa diroccata sull'Appennino emiliano): anche il meno anomalo della compagnia, Augusto (Marino Masè) è, nella sua disgustosa normalità, repellente: il fratellino epilettico (un formidabile Lou Castel) si trasforma in Angelo sterminatore. A distanza di cinquant'anni il film mantiene la sua carica eversiva, mettendo in scena una delle più radicali contestazioni dell'istituto familiare e dell'asfissiante retorica familistica cattolica. Folgorante esordio di Marco Bellocchio, poi persosi per strada.
Tonico, ben condotto e recitato, sorprendente, perché non si intuisce mai ciò che accadrà nella scena successiva e comico per le scenate a tavola che finiscono a calci e sberle. Affascinanti gli scorci di Bobbio, ma quel che mi ha incantato di più è stata la sala da ballo ridotta all'essenziale. Molto crudele e metodico il piano di Sandro, interpretato da un ottimo Castel. Come film è senz'altro buono e ci voleva sicuramente a quei tempi un'opera prima così reattiva, ma da lì a dire che meriti tutte queste ovazioni e premi ce ne passa parecchio...
MEMORABILE: Bella la scena della pagella dell'allievo, ma la musica di Morricone, specie nelle scene più drammatiche, rimane ben stagliata nella mente...
L'insofferenza esistenziale di Sandro, figlio di una famiglia borghese decaduta, si alimenta attraverso l'eliminazione delle figure parentali che sono d'ostacolo: la soluzione dei suoi problemi attraverso l'annullamento di essi stessi. Un film di dirompente tragicità che anticipa il nichilismo contemporaneo, attraverso la raffigurazione di personaggi sorprendentemente vivi. Bravissimi Lou Castel e Paola Pitagora.
Esordio del regista (e di tutta la troupe: il montaggio di Silvano Agosti, sotto pseudonimo, fa mezzo film) potente, ma inevitabilmente datato. Un film tutto fatto di sottintesi (l'ombra dell'incesto) e simbologia (malattie e tare ereditarie) in cui il titolo resta una delle cose migliori (ogni volta che Sandro maneggia un martello o un altro utensile lo ripone, non sapendo cosa farsene) e la nervosa recitazione (un po' alla James Dean) di Castel restituisce la frustrazione di una ribellione afasica, pre-politica e fine a sé stessa.
La famiglia come il nucleo degli affetti e anche dei pensieri più reconditi, dove la convivenza accentua derive esistenziali. Scelta coraggiosa e premiata nell’esempio di un gruppo modesto del Nord, senza implicazioni sociali o territoriali. Castel è la prova vivente della scheggia che trafigge ogni regola e la Pitagora la devota attaccata al cordone ombelicale. Piccole sbavature nell’elaborazione del lutto e qualche sorrisetto di troppo, ma il quadro è lo specchio non inedito di microrealtà in cui i sentimenti si scontrano.
MEMORABILE: I balletti alla festa; La verticale nel letto; Le botte a tavola; Il gatto sul tavolo; La madre sul ciglio della strada.
C'è tutta la determinazione di un soggetto fortemente sentito e fortemente voluto. Ci sono tutti i crismi dell'opera prima, girata in economia che, più che uno svantaggio, risulta un valore aggiunto, assieme a un cast fortunato e fortunoso (se è vero che per il ruolo di Sandro si era pensato a Gianni Morandi). L'ambito da cui parte Bellocchio è ristretto (una famiglia molto particolare) e tale deve rimanere, non reputo giusto allargare i disagi descritti a tutta una classe, nemmeno come metafora. Melodramma coniugato in prosaica realtà.
Straordinaria opera d'esordio di Marco Bellocchio. Un film unico, duro, teso come la corda di un violino. Ottima fotografia in bianco e nero di Marrama, curatissime le inquadrature e impeccabile la sceneggiatura (scritta interamente da Bellocchio): insomma, tutto perfetto! Lou Castel è monumentale, nella sua miglior interpretazione; bravissima e graziosa Paola Pitagora. Angoscianti le musiche di Morricone. Il demoralizzante finale è da antologia. Bellocchio dimostra di non essere uno qualunque. Capolavoro assoluto del cinema italiano.
Buon film anche se culturalmente e storicamente molto connotato. Azzeccate la sceneggiatura e la resa dell'immagine, con un buon bianco e nero. Assolutamente valido il cast, ben calato nel senso fondamentale del film. Onestamente rivisto adesso un po' mi lascia perplesso... ma si sa, il tempo passa e le opinioni cambiano. Da vedere comunque.
Sicuramente un ottimo esordio per Marco Bellocchio che confeziona un film durissimo, angosciante, tosto e a tratti dotato persino di una certa comicità involontaria. Il pugno è nello stomaco dello spettatore grazie anche alla bravura degli attori e in particolare di Lou Castel. Un ritratto riuscito della famiglia borghese e dei suoi malesseri.
Folgorante esordio nel cinema di Bellocchio che, a 26 anni, gira il suo miglior film e uno dei capolavori del cinema italiano. Claustrofobico e inquietante, il film gira tutto intorno a una famiglia di disadattati, ognuno con una patologia differente. Filmato in un periodo molto delicato della storia italiana, il film distrugge completamente la figura della bella famiglia perfetta, molto cara alla cultura italiana pre-68. Il bianco e nero aumenta ancora di più il senso di ansia e disturbo. Finale disturbante. Capolavoro.
Colpiscono la carica cinica e spietata (spiazzante per un film datato 1965) e l'assoluta padronanza del mezzo di un giovane ed esordiente (almeno nel lungometraggio) Bellocchio, ma se l'atmosfera fredda (ottime location collinari) e morbosa funziona, l'intensità è smorzata da un ritmo claudicante e da una narrazione incerta, forse non del tutto risolta, che a visione ultimata lascia più perplessità che convinzione. Belle sonorità horror firmate Morricone, cast praticamente perfetto. Con ottimi elementi, ma non del tutto appagante.
Il giovane disadattato, folle, parassita, cattivo maestro, profanatore, anarchico, incestuoso, tema rivisitato in infinite sfaccettature nel futuro cinema, qui è all'apoteosi nella performance di Castel. L'inquietudine pervade il film insieme al contrappunto dell'azzeccata colonna sonora; il tema della decadenza della famiglia corrosa dal materialismo, dal consumismo, dalla superficialità e dal senso di vuoto è attualissimo. Ottimi anche gli altri interpreti, filmati con maestria nel loro interagire, satelliti malati intorno alla figura materna vittima.
MEMORABILE: Castel modifica la brutta pagella del bimbo e imbroglia, mente e organizza malefici piani con lucida follia; Lo sfortunato fratello epilettico.
La forma cinematica perfetta incoraggia un volo pindarico: chi è Alessandro? La sua personalità è indecifrabile o limpida? (troppo semplice liquidarla come narcisistico-patologica); forse è un esteta sterminatore estremo - un guerrigliero sociale - con i tratti psichici e bellici dell'angelo reietto che agisce con la nostalgia di un regno perduto e di cui conserva una memoria allucinata; della bellezza ama (ricorda) l'apparire in una forma distruttiva, annientante, primo imprescindibile movimento per una palingenesi.
A distanza di oltre mezzo secolo dall'uscita sugli schermi, la storia dell'epilettico Alessandro, della madre cieca, dei suoi fratelli, continua a mettere a disagio, segno che Bellocchio nel film d'esordio aveva toccato un punto nevralgico: l'attacco all'istituzione familiare come prigione di obblighi e convenzioni non risparmia nessuno, se non Leone, "innocente" per natura. Con la sua interpretazione nervosa che alterna crudeltà e tenerezza, Lou Castel contribuisce in maniera decisiva alla riuscita di un film sgradevole ma importante, necessario, in anticipo sui tempi.
Debutto cupo e nichilista di Bellocchio, che anticipa le spallate al mito della famiglia di un ‘68 ancora lontano mostrando la degenerazione patologica di questa istituzione che, come una tara, contamina tutti. Alcune ingenuità narrative non indeboliscono quest’opera prima, che trae grande forza dalle sue atmosfere opprimenti e dalle prove degli attori, capaci di rendere indimenticabili i rispettivi personaggi (su tutti, il disturbato Castel e la graziosissima eppure sgradevole Pitagora).
MEMORABILE: La pagella; Giulia che prende il sole; Le liti a tavola; La morte della madre e il falò dei suoi mobili; Il finale.
Esordio teso e scioccante di Bellocchio, che racconta la pazzia del protagonista e il suo lucido piano per "normalizzare" la situazione familiare con uno stile asciutto che mette in risalto l'atmosfera morbosa e violenta. Un crescendo malato che difficilmente può lasciare indifferenti, anche grazie alla performance agghiacciante di Lou Castel e alla colonna sonora di Morricone, che a tratti sa farsi davvero inquietante. Una storia abbastanza atipica nel panorama italiano, soprattutto dell'epoca, ma forse non per tutti i palati.
Straziante, uno dei film più tremendi che si possano vedere: con una regia fredda e sicura ci sbatte in faccia il matricidio di una madre dolce, cieca e indifesa. Più che un film sulla ribellione giovanile che scoppierà negli anni successivi, sembra un'opera sulla morte morale della media borghesia del nord, qui confinata in una cittadina di montagna livida, il cui senso di esistere poteva essere colto dai padri ma che invece si è fatta troppo piccola per i figli, che vedono la vita disegnata come una palla al piede da distruggere.
MEMORABILE: Il ghigno, le espressioni e le frasi di Castel (doppiato magnificamente), allo stesso tempo colmo d'orrore e affascinante.
Splendido esordio di Marco Bellocchio che realizza un film dalla regia secca e senza fronzoli, che ricorda vagamente il primo Antonioni. Tramite l'uso sapiente degli interni il regista riesce a dare un'aria soffocante alla pellicola e alla vita familiare dei protagonisti. Il dramma è sempre dietro l'angolo. Film molto lento, morboso e coraggioso, di grande realismo, con un grande Lou Castel attorno al quale nessuno sfigura. Ottima anche la fotografia.
L'esempio italiano più vicino alla Nouvelle Vague dopo il primo Bertolucci e alcune prove di Bolognini. Ma nella scorticatura dell'immagine, a Bellocchio non manca una punta di grazia. Il regista, ventiseienne, disarticola la mdp per sezionare in modo nuovo facce e corpi di una famiglia di mostriciattoli borghesi. La colpa, impunita, ricade sul più instabile, un folgorante Lou Castel la cui parte doveva essere in principio di Gianni Morandi (sic). L'alienazione è anche nelle piccole cose, dalla tavola ai quadri, il camino, le pillole. Piano e ad effetto il b/n di Marrama.
MEMORABILE: La folle corsa in auto del neopatentato Alessandro.
Un film che squarcia il velo del cinema italiano del periodo: forte, teso e "scandaloso" come pochi film del periodo. Marco Bellocchio immagina una famiglia che sta insieme solo per interesse e che un membro della stessa vuole a tutti i costi distruggere. Interpretazione straordinaria di Lou Castel, il volto ribelle del cinema di quegli anni. Bellocchio giovanissimo mostra da subito le sue grandi qualità.
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Alcune piccole curiosità sul film:
All' inizio del film Augusto raccoglie la sorella a piedi mentre cammina sulla statale 45.Il punto si trova nel tratto di strada fra la città di Bobbio e Marsaglia (direzione Genova) prospiciente la rupe ove sorge la frazione di Brugnello. La sequenza prosegue e i due arrivano a casa. Augusto così facendo però guida "allontanandosi" da casa. La dimora sorge infatti sulla Strada 461 e non sulla 45 come si vorrebbe credere guardando le direzioni di guida.
Altra curiosità:
Ale accompagna la famiglia al Cimitero.
Esce dalla cittadina di Bobbio dalla "parte giusta" infatti il Cimitero è nella direzione in cui sta guidando. Inizia il tira e molla con l'altro automobilista e la scena si svolge sempre in direzione del Cimitero su un tratto di strada oggi dismesso. Ad un tratto ecco che il tutto viene trasferito nel punto in cui Ale aveva pensato al suicidio-omicidio, a diversi km di distanza in direzione Genova (il Cimitero è verso Piacenza). Guidando in quella direzione, a quel tempo, non essendoci bretelle di collegamento come oggi, mai e mai più avrebbe raggiunto la curva resa celebre dal film.
Ale parla della curva di Barberino.. anche questo non c'entra, Barberino infatti è verso Piacenza mentre invece la curva celebre è verso Genova a svariati km di distanza. Barberino non viene mai "visto" nel film. Parla correttamente di San Salvatore, poco prima di spingere la madre nel baratro, infatti il borgo di san Salvatore è a meno di un KM dal luogo della scena.
Parlandone a Hollywood Party (rai - Radio3) il critico Enrico Magrelli ha raccontato che l'interprete principale scelto da Bellocchio era Gianni Morandi, che aveva accettato ma che dovette rinunciare per il parere sfavorevole della sua casa discografica che riteneva il ruolo poco coerente con l'immagine del cantante.,