L'amante del prete - Film (1970)

Sbalorditiva operina di Georges Franju, non esattamente un registucolo, che licenzia un filmetto semplicemente brutto, lento, con trama ritrita, che purtroppo non viene ravvivata da una trovata che è una. Francis Huster è mediocrissimo. Nel cast brilla solamente il grandissimo Tino Carraro, ma certo non può, da solo, salvare il filmetto.

Basato sul romanzo "La faute de l’abbé Mouret", pubblicato da Émile Zola nel 1875, questa pellicola sfortunatamente non riesce a trasmetterne la carica drammatica. Ed è un vero peccato, perché Georges Franju (1912-1987) è stato un cineasta geniale - indubbiamente uno dei miei registi francesi preferiti - che in altre occasioni ha fornito ottime prove registiche.

Annacquando il proprio messaggio anticlericale nei luoghi comuni della donna tentatrice e di un clero retrivo e blasfemo che giunge financo a capovolgere i precetti cristiani su ricchezza e povertà, il film di Franju difetta di compattezza narrativa e si esaurisce nella ricostruzione letteraria retta dai dialoghi scattanti della prima parte e dalla fotografia impressionista che sfuma nel surreale con l’entrata in scena dell’evitica Hills. Nel mezzo di tanti ruoli stereotipati l’unico che si fa largo è lo scorbutico ma concreto illuminista Jeanbenat, reso con efficacia dal nostro Fausto Tozzi.

Clamoroso passo falso di un qui irriconoscibile Georges Franju, al quale non riesce né il film alla Bresson (figuriamoci) né il b-movie turgido, ma uno scontato, legnoso drammone tirato via, mal recitato, del tutto impersonale. Insomma, completamente trascurabile, tranne - evidentemente - per i programmatori di Iris che lo ripropongono con micidiale regolarità...

Insegue l'autorialità e non è privo di validi movimenti di macchina, ma si perde nella verbosità letteraria di un soggetto che finisce col contorcersi su se stesso, per via di un mediocre sviluppo narrativo. il titolo prometteva bene, ma il senso di perdizione non è valorizzato dalle immagini, che prediligono al peccato originale legnosi sermoni che vanno a sostituire in alcuni casi improbabili dialoghi. Non si può considerare un film riuscito.

La critica di una visione puramente autoritaria della religione non è priva di vigore (e a tratti i riferimenti biblici affascinano), ma è fiaccata da contrapposizioni troppo schematiche, in quanto i personaggi sono piuttosto stereotipati e difettano di profondità (e gli interpreti – piuttosto statici - non riescono a conferirgliene, anche se le prove di Carraro e Tozzi sono pregevoli). Notevole la cura dell’ambientazione (per il contrasto tra il giardino lussureggiante e il villaggio riarso).

Circa un secolo prima di Colleen McCullough, Emile Zola ci raccontava i tormenti di un prete di campagna. Il buon Georges Franju riesce a trasporre il romanzo in maniera davvero efficace, caratterizzando molto bene i personaggi sebbene con qualche eccesso drammatico francamente esagerato, specie nella coppia di protagonisti. Conferisce poi al film un buon ritmo, tenendo viva l'attenzione anche nei numerosi silenzi. Ottima la regia, mentre la splendida fotografia e l'ambientazione completano alla perfezione il tutto. Merita assolutamente una visione. Buonissimo.