Note: Aka "Non drammatizziamo è solo questione di corna!". Fa parte della saga Doinel assieme a "I quattrocento colpi" "L'Amore a vent'anni", "Baci rubati" e "L'Amore Fugge".
Il quarto capitolo della vita del personaggio Antoine Doinel, interpretato sempre da Jean-Pierre Leaud, non è particolarmente riuscito. L'idea di seguire lo stesso personaggio attraverso gli anni è decisamente interessante (la saga copre 20 anni dal 1959, data del primo film, al 1979 in cui fu girato l'ultimo) ma lo svolgimento in questo caso non riesce a trasmettere molto allo spettatore. Quello che rimane è comunque un ritratto di un uomo che fa fatica a crescere (come molti di noi).
A distanza ravvicinatissima dal precedente Baci Rubati (appena due anni prima e col quale forma un tutt'uno) torna Doinel, antieroe per eccellenza: qui lo vediamo finalmente sposato e alle prese con la routine matrimoniale. Anche per Doinel è arrivato il riflusso e non può che capitolare tra le bracce di un'amante. Ma alla fine torna in famiglia. Solo all'apparenza il più semplice di tutto il ciclo, non manca di grandi intuizioni (il ruolo della tv che fa passare da probabili assassini a artisti e della pubblicità). Non mancano citazioni. Distensivo.
Vero. Anche se qua e là è un po’ caricaturale (il russo, il fan di Pétain...), è perfetto nel mostrare le dinamiche neo-famigliari: formidabili la lettera al senatore, i ricordi discordanti, la gelosia di lei verso la vicina. Perde qualche colpo nel finale. Credo che qui Truffaut tocchi la perfezione nel farci immaginare l’arrivo della cosa scontata, per poi evitarcela (davanti ai giapponesi i modellini NON si scontrano, i fiori NON vanno alla persona sbagliata etc.). Forse inferiore a Baci rubati, ma anche questo Doinel IV è un bel film.
Leggendario apice della carriera criminale del Titolista Italiano Creativo, e - sì - anche capitolo del ciclo Doinel. Leggero, divertito, con qualche tocco bizzarro, frammentario e forse non del tutto risolto (volutamente, essendo in fondo parte di un ciclo e tranche de vie). Carina la ricostruzione finto-neorealista del quartiere, un po' pesante il doppiaggio italiano dei personaggi di contorno, bene invece Colizzi/Leaud. Truffaut minore - meglio di certe carriere complete.
Episodio minore assai per la carriera di Truffaut che continua a seguire l'alter ego Doinel-Léaud nelle vicende coniugali, incapace di diventare non solo partner adulto, ma uomo tout court. Naturalmente la cosa peggiore di questo film è nel cervello del genio italiano che dette un sifatto titolo al posto di "Domicile Coniugal". Nessuno gli aveva detto che era un film di Truffaut e non di Michele Massimo Tarantini?
Rispetto al precedente capitolo lo stile di Truffaut sembra perdere le sue caratteristiche drammatiche a favore di una comicità venata di satira. Come se la relazione consolidata dei due protagonisti, sposati con un figlio, addolcisse i toni della narrazione. Ed effettivamente manca l'inquietudine post-adolescenziale di Baci rubati, in cui la storia di Antoine restava in bilico fra dramma e farsa e lui sembrava sempre sul punto di rovinare tutto. O meglio, l'inquietudine sembra mancare ma c'è, solo che è ovattata come un matrimonio felice. Grande film.
Alla sua quarta apparizione cinematografica - oltraggiata da un titolo italiano osceno e fuorviante - Antoine Doinel vive alti e bassi del ménage coniugale in una commedia che rispetto al precedente Baci rubati ha ulteriormente alleggerito i toni, vivacizzandosi di pittoresche caricature (il vicino misterioso, la coppia dirimpettaia rissosa, gli amici del bar, il raccomandato, il russo squattrinato) e dialoghi scattanti, ma sempre nel segno di quell'irresistibile finezza espositiva univocamente associata ai lavori di Truffaut. Ottima la coppia Léaud-Jade.
Antoine, personaggio programmatico della poetica truffautiana, si affanna tra il "definitivo" del suo rassicurante matrimonio con Christine e il "provvisorio" che il quotidiano propone, quando la vita coniugale può risultare angusta e un nuovo incontro stuzzica la curiosità sopita. Delizioso nel tratteggiare il microcosmo di Antoine (bambinone anche nei mestieri che la sceneggiatura gli appioppa), il film perde mordente col passare dei minuti (peccato per il taglio superficiale del personaggio di Kyoko), sino al finale un po' affrettato.
MEMORABILE: "Io la noia non so nemmeno dove stia di casa; sì, ne ho sentito parlare qualche volta, da persone inutili e con poca fantasia"
L'esistenza coniugale di Antoine e Christine che passa dall'attesa di un bambino per arrivare fino al tradimento. Film che a tratti diverte per le sue "caricature" e con un Doinel veramente simpatico. Forse non il migliore Truffaut, ma comunque da vedere per la continua maturità del protagonista. Titolo italiano orribile.
Gli anni passano, Antoine Doinel si sposa e mette su famiglia, ma non riesce a mettere la testa a posto... E' un il film che scorre lento e tranquillo e in cui si susseguono piccoli episodi poco importanti, una sorta di metafora della routine di ogni matrimonio. Anche il tono della narrazione è diverso, l'inquietudine delle opere precedenti lascia il posto a un misurato umorismo. Formidabile poi la ricostruzione dell'ambiente e la vita nei cortili parigini, oggi ormai scomparsa. Insomma, forse un episodio minore ma comunque bello e interessante.
MEMORABILE: Gli strani mestieri di Antoine: dal noleggiatore di fiori a... pilota di modellini.
Quarto capitolo dell'autobiografia immaginaria di Antoine Doinel, riprende i toni lievi e bozzettistici di Baci rubati radicalizzandoli: nondimeno Truffaut riesce a cogliere e restituire, oltre la narrazione sofisticata, l'autenticità di un ménage di coppia fatto di tenerezze, abitudinarietà, anticonformismo e (dolce) attesa. L'ironia tocca tutti i luoghi comuni del caso, passando con disinvoltura dall'ovvio all'esilarante. Gradevole il soffuso tratteggio della vita di quartiere. L'adulterio intriga e incombe come una sinistra eclissi di luna.
Una giovane coppia in un quartiere popolare: lei violinista, lui si arrabatta con mestieri bizzarri (coloritore di fiori, manovratore di un porto in miniatura), la nascita di un bimbo, la sbandata per una collega esotica... Capitolo delle avventure di Doinel, meno riuscito degli altri ma comunque grazioso, pervaso da una affettuosa ironia verso i protagonisti che ce li rende simpaticamente familiari, mentre nel disegno dei personaggi di contorno prevale il bozzetto umoristico ed il tratto caricaturale. Apparizione-omaggio di Monsieur Hulot
Personalmente Léaud adulto non mi ha mai troppo convinto. Ha un tipo di recitazione poco disinvolta e i movimenti delle mani non naturali. Mai più come ne I quattrocento colpi. Il brutto titolo italiano centra però un punto che connota tutto il film: il non dramma. Tutto fila liscio, perfino la depressione post parto dura solo una notte e la moglie tradita accetta di ascoltare le vicissitudini del marito con l'amante orientale. Più interessante la galleria dei personaggi di contorno, con due dei quali si chiude addirittura il film.
Uno dei titoli italiani più inadatti di sempre! Ci troviamo di fronte a una brillante commedia sentimentale che riprende il ciclo del personaggio di Antoine, alter ego di Truffaut stesso. Adoro lo stile cinico e realistico di questo regista nel raccontare le storie di coppia senza orpelli o edulcorazioni forzate.
MEMORABILE: La moglie si veste da giapponese quando scopre il tradimento; Il lavoro che consiste nel guidare una barchetta telecomandata.
Giovane coppia sposata vivrà l'adulterio di lui. Routine matrimoniale che Truffaut rende brillante nella prima parte, che assomiglia vagamente a certe commedie americane. Nel prosieguo è divertente negli approcci con la giapponese e nell'epilogo morbido. In sé non dice niente di nuovo, ma è un intrattenimento ben girato con qualche citazione sparsa (Hulot, John Ford).
MEMORABILE: Lo strangolatore; La moglie vestita alla giapponese; I biglietti che cadono dai fiori.
Quarto capitolo della saga di Doinel, che anche dopo il matrimonio con l'amata Christine continua a restare prigioniero di un'irrequieta immaturità che nemmeno le responsabilità del lavoro e della paternità sapranno far del tutto rientrare. Celebre soprattutto per l'arbitraria titolazione italiana (che per quanto infelice appare comunque meno ingiustificata del previsto) è un film ancor più bozzettistico di Baci rubati e stavolta la descrizione dei personaggi di contorno (familiari e vicini di casa del cortile popolare) supera i protagonisti.
MEMORABILE: La lettera al senatore; I modellini del laghetto; La cena al ristorante.
La saga di Antoine Doinel batte 4(00) colpi con il suo capitolo più controverso, beccheggiando tra bozzettismo quasi alla Pagnol (la vita e i personaggi del quartiere, del condominio) e l'amaro disincanto claustrofobico che può essere racchiuso nel titolo originale (Domicilio coniugale). L'amore ontologico per il cinema, espresso apertamente ma senza esibizionismi (valga per tutte l'apparizione del sosia di Tati), spesso salva capre e cavoli di una pellicola volutamente frammentaria dal ritmo screwball, scissa come Antoine tra inquadramento e non conciliazione. Assolutorio?
MEMORABILE: Il losco figuro che fa andirivieni nell'atrio condominiale e che poi si scoprirà essere attore tv; Silvana la vicina cantante lirica; Il russo.
Più che la vicenda extraconiugale del protagonista è interessante la cornice "condominiale" in cui la inquadra Truffaut, che tratteggia da par suo una serie di piccoli personaggi assai divertenti; su tutti il russo scroccone. I più appassionati vi coglieranno anche varie autocitazioni, ma il pregio principale del film è la sua leggerezza, che lo fa scivolare via raccontando forse pochi eventi ma tanto sulle persone. I dialoghi mai banali e la regia molto personale ne fanno una commedia senz'altro da vedere.
Film inevitabilmente legato al suo freschissimo predecessore, da cui viene ripresa l'anima selvaggia e spensierata di Antoine alle prese con una relazione (ormai matrimonio) gioiosa e giovanile ma sempre sull'orlo del collasso. Pellicola fatta non di trama ma di personaggi, disegnati con molta semplicità e allo stesso tempo con vigore (meravigliose le chiamate ripetute al ristorante). Se la novità si è un po' persa e non rimane nulla di notevole rispetto all'episodio precedente, Truffaut porta avanti il discorso sul suo alter ego in modo convincente e, chiave dell'opera, divertente.
Truffaut segue il suo personaggio simbolo Antoine Doinel nella sua vita di marito e di padre, ancora più fanciullo che adulto. Il regista mostra qui un dono speciale nel raccontare vicende routinarie senza mai renderle banali, inserendovi bizzarrie narrative mai gratuite e accompagnandole con dialoghi briosi e con molte battute degne di citazione. Temi dal potenziale drammatico vengono condotti con una leggerezza mai superficiale che rifugge da svolte a effetto. Il tocco delicato del regista si percepisce lungo tutto il film.
MEMORABILE: I modellini radiocomandati; I bigliettini nei fiori; Monsieur Hulot; Il viavai di Antoine dal tavolo al telefono durante la cena al ristorante.
Biasimato in lungo e in largo soprattutto per il suo ridicolo titolo italiano, risulta essere forse l'episodio più debole della cinquina dedicata al buon Doinel. Non che manchino né la solita freschezza di Truffaut né momenti che fotografano con grazia e precisione le dinamiche matrimoniali di una giovane coppia; c'è pero una certa frammentarietà nel racconto che lo rende difficile da seguire e alcuni tratti in cui il ritmo sembra quello di un caotico, insopportabile, film comico francese. Tali pecche sembrano quasi influenzare anche la recitazione, più sincopata del solito.
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