Riding the bullet - Film (2004)

Riding the bullet
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MMJ Davinotti jr
Titolo originale: Riding the bullet
Anno: 2004
Genere: drammatico (colore)
Note: e non "Riding the bullett". Da un lavoro di Stephen King

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Commenti L'IMPRESSIONE DI MMJImpressione Davinotti

Dall'omonimo lavoro di Stephen King un film prodotto, scritto e diretto da Mick Garris, ovvero dal regista che più di ogni altro si è specializzato nella realizzazione di riduzioni cinematografiche (o televisive) tratte dalle opere di King. Qui siamo di fronte a una sorta di road-movie che procede parallelamente ai ricordi d'infanzia del protagonista (Jonathan Jackson), costretto a saltare il concerto della Plastic Ono Band di John Lennon (siamo nel 1969, anche se la ricostruzione storica è talmente superficiale da non darne l'impressione) per andare a trovare in ospedale la madre, vittima di un ictus. Ci andrà via autostop incontrando una serie di personaggi...Leggi tutto bizzarri ai quali associa particolari momenti della propria infanzia con la madre, compreso il giorno in cui con lei andò al Bullet, un grosso luna park dominato da alte montagne russe. Tra flashback e bruschi ritorni alla realtà, Garris prova a mettere sotto la lente la complessa personalità del protagonista, ma non riesce mai a coinvolgere trovandosi tra le mani un film fiacco come pochi, che procede faticosamente senza mai trovare un guizzo in grado di rianimarlo. Piatto, scialbo, tedioso, mai interessante e recitato con sufficienza, appartiene a quei prodotti che, tratti da opere minori dello Stephen King meno incline all'horror, non vanno davvero da nessuna parte. Fatta eccezione per qualche simpatico pensiero di personaggi a volte magari brillanti, non c'è nemmeno l'ombra di quei dialoghi a sprazzi sorprendenti che spesso fanno avvertire la mano di King.

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TITOLO INSERITO IL GIORNO 5/10/06 DAL DAVINOTTI
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Undying 13/06/07 16:18 - 3807 commenti

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Una bella storia, vanificata da una sceneggiatura troppo saltellante (indietro/avanti) nel tempo. Peccato, perchè Mick Garris (il regista -e anche sceneggiatore purtroppo- voluto da Stephen King) ci sa fare, ma i pochi buoni momenti di tensione sono sviliti dal prevedibile corso degli eventi. Non da disprezzare completamente, ma in quanto "buon film" mancato. Al regista va riconosciuto il merito di avere riunito i Masters of Horror proprio in questo periodo...

Sunchaser 14/10/08 12:06 - 127 commenti

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Mick Garris è ormai diventato il traduttore ufficiale di King per il grande e piccolo schermo. Difficile dire il perché di questa scelta. Ma quando si leggono le critiche Kinghiane rivolte allo Shining di Kubrick e poi si vede la versione televisiva di Garris/King verrebbe da dire che lo scrittore preferisce una trasposizione mediocre ma fedele ad una riuscita ma infedele di una sua opera. Riflessioni a parte, "Riding the bullett" è un miscuglio di più generi diversi che alla fine lascia indifferenti e fa tutt'altro che paura. Evitabilissimo.

Supercruel 16/02/09 21:40 - 498 commenti

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Disarmante pellicola horror tratta da Stephen King. Garris è un mestierante in grado di girare, certo, ma è la storia (pur dalle belle premesse) ad essere prolissa, tediosa e mai coinvolgente. Qualche personaggio bizzarro è anche vagamente carino, ma è decisamente troppo poco al cospetto di una sequela di sequenze piatte e noiose, senza mai un momento di tensione, senza mai un dialogo degno di nota. Da vedere e da dimenticare cinque minuti dopo. Sconsigliato.

Buiomega71 5/04/13 00:27 - 2901 commenti

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Come se "Sulla strada" di Jack Kerouac fosse filtrato da incubi lynchiani, imballato da un Carpenter sotto acido o da un Romero all'lsd. Garris firma il suo capolavoro, tra schegge visionarie di assoluta follia (la morte bergmaniana che incita al suicidio, i volti disegnati che sibilano come i manichini di Maniac) e fulminanti crudeltà (il cane spatasciato dal camion, il corvo parlante) anticipando il grindhouse tarantiniano con la sequenza del film nel film. Kinghiano sino al midollo e onirico viaggio/incubo sulla strada dell'inferno con picchi macabri e poetici.
MEMORABILE: La Hershey senza volto; La Hershey che cinguetta lynchianamente; Il cagnaccio investito; Il suicidio nella vasca incitato dalla morte; Il macabro racconto della Cadillac.

Jena 19/10/13 20:42 - 1550 commenti

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Non ho letto l'originale kinghiano e forse per questo non sono così severo con il lavoro di Garris. La prima parte a modo suo regge anche con alcuni momenti azzeccati (il tentato suicidio, il vecchiaccio di Robertson) e una atmosfera nostalgica ben servita dalla colonna sonora, poi il motore perde colpi, in particolare da quando entra in scena Arquette, completamente fuori parte in un ruolo di malvagio con quella faccia da giuggiolone. Regia televisiva, vedibile ma meglio leggersi il libro. **

Rambo90 7/09/15 16:05 - 7675 commenti

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Niente di che. Il breve romanzo di King non era particolarmente originale o impressionante, ma il film risulta anche più piatto, per colpa di una fotografia televisiva e di una regia piuttosto incolore. Le parti più riuscite sono quelle che rappresentano le visioni del protagonista, anche perché sono le uniche a suscitare qualche brivido. Il cast se la cava bene, ma nel complesso si tratta di un film mediocre e senza nerbo.

Mick Garris HA DIRETTO ANCHE...

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  • Curiosità Undying • 27/02/08 09:16
    Risorse umane - 7574 interventi
    Dall'E-Book al Cinema

    Tratto dall’omonimo e-book di Stephen King (poi giunto in stampa, in Italia, per Sperling & Kupfer) il film affronta in senso metaforico il viaggio iniziatico di un adolescente, posto di fronte a scelte e destini del vivere quotidiano: nei quali il senso di sopravvivenza predomina sul concetto “morale”. Ed è questo aspetto – la banale e prevedibile moralità di fondo - che mina completamente la riuscita della pellicola.

    Nonostante le valide interpretazioni -di Jonathan Jackson, David Arquette, Barbara Hersey (già vista in Ore 11:14 Destino Fatale)- e l’ottima regia di Mick Garris, nel complesso la pellicola appare troppo monocorde e spesso prevedibile.

    La sceneggiatura è opera di una figura molto importante per il cinema horror: Mick Garris (in tal caso anche regista) è infatti un collaboratore di fiducia di King, al quale lo scrittore del Maine ha più volte fatto trasporre su pellicola i suoi romanzi: celebre -ad esempio- il remake (televisivo) di Shining.

    Ma Garris è, soprattutto, l’artefice del ciclo televisivo che si configura “fondamentale” per il genere, attualmente giunto alla seconda edizione (2005 e 2006): Masters of Horror. Dopo una serie di riunioni (e cene) con i più importanti registi del cinema Horror, si è configurato il progetto della serie nata per pura coincidenza.

    Da segnalare, inoltre, che la versione “elettronica” di Riding the Bullet venne scritta da King nel 1999: il soggetto per il romanzo era tremendamente realistico; quell’anno, infatti, lo scrittore rimase infortunato a seguito di un incidente stradale.
  • Discussione Buiomega71 • 5/04/13 10:51
    Consigliere - 25933 interventi
    E il grande Mick partorisce il suo capolavoro

    Un denso e bizzarro viaggio on the road, tra veglia e onirismo, come se Sulla Strada di Jack Kerouac fosse innestato da incubi lynchiani, o meglio un Carpenter sotto acido o un Romero dopo una bella tirata con l'arghilè.

    Kinghiano sino al midollo (non può non far venire alla mente i ritornanti "truzzi" di A volte ritornano-nella figura del ghost-rider di David Arquette- che guarda caso guida una Plymouth Fury del '58 (Christine), che viaggia su una strada che e poi l'inconscio, o meglio, l'anticamera dell'inferno con sapori dickensiani del fantasma dei natali futuri

    Mortifero, allucinato, bizzarro e notturno, come se il Cuore Selvaggio lynchiano (gli incidenti stradali notturni, i personaggi bizzarri e "fuori di testa"-penso all'hippie con parrucchino a bordo del suo furgone Wolkswagen così simile a Bill Moseley, il vecchio di Cliff Robertson che continua a grattarsi le palle per un imbracatura dovuta all'operazione alla prostata, in un abitacolo che puzza di piscio-incontrati durante il cammino solitario in autostop sulla strada oscura) si sposasse con Il settimo Segillo (i discorsi con la morte, la morte che incita al suicidio, il tentare di beffare la morte) con sprazzi ora assolutamente macabri, ora divinamente poetici (il finale, così indissolubilmente kinghiano)

    Dal bellissimo prologo con i filmati amatoriali, alle visioni della morte stessa (bergmaniana, ma che ha il look dell'imperatore del Ritorno dello Jedi), al tentato suicidio nella vasca da bagno previo lametta, con la morte che incita "Taglia, taglia", il sibilo dei volti di donna disegnati alle pareti, che si animano come i manichini di Maniac

    Di visioni angeliche, del concerto di John Lennon in Canada, del 68 e degli hippie, dei bellissimi hit di pezzi d'epoca (e qui torna la musicofilia garrisiana), delle schegge visionarie prettamente lynchiane (la Hershey che emette grotteschi cinguetii) sino ai flashback dell'infanzia con la madre (sempre la Hershey) che ha un sapore quasi incestuoso (e anche qui ritorna il Garris dei Sonnambuli e di Psycho 4)

    Garris non rinuncia a picchi crudeli (il cane rabbioso spatasciato sulla strada da un camion in corsa dopo una scena da animal-attack, il corvo "poeiano" che divora qualcosa ridotto in poltiglia sull'asfalto, e si rivolge al protagonista che lo osserva con un " Che cazzo hai da guardare?", un pò come la volpe di Antichrist che annunciava "Il caos regna", il padre che si spara in bocca, il terrificante e macabro racconto della Cadillac), crea angoscia e inquietudine (le sequenze del cimitero, i flash mortiferi di Alan e il suo funerale-quasi più Poe che King) e regala ancora sprazzi visivamente disturbanti (la Hershey senza volto all'ospedale, la Hershey che appare sulla strada al figlio con la flebo, il cervello esposto di Arquette come quello di Ray Liotta in Hannibal)

    Tocco di genio, poi, il piccolo film nel film con l'incidente di Arquette che lo porta alla morte, che anticipa di due anni i Grindhouse Rodriguez/Tarantiniani

    Perde di mordente nelle battute al Luna Park, dove subentra la convezionalità e la banalità, con Arquette trasformato in una specie di Freddy Kruger, che snocciola battute citazionistiche alla Notte dei morti viventi

    Odore di morte e di formaldeide, che non và più via dagli abitacoli delle auto, redneck furiosi e violenti come quelli di Easy Rider, ricordi d'infanzia si amalgamano con incubi e deliri, sogni e visioni (la Hershey che ripete al figlio, sul letto di ospedale "So cosa hai fatto!" non poteva non farmi venire alla mente la Zelda di Cimitero Vivente, altro piccolo tocco kinghiano.

    Funzionali gli sfx del magico trio KNB, e da antologia i dialoghi tra Alan e il ritornante di Arquette nell'abitacolo della Plymouth, che puzza tremendamente di cadavere.

    Un viaggio incubotico, dove non sai mai dove Garris ti voglia portare, ai confini della realtà e oltre...

    Piccolo ruolo dello stesso Garris (il primo dottore che accompagna Allan al suo arrivo in ospedale) e per sua moglie Cynthia (l'infermiera che accompagna Alan nella stanza di sua madre), e dedicato ai suoi genitori, nonchè al fratello Craig

    Non mi si venga più a dire che Garris non e un gran regista, perchè qui realizza uno degli horror (ma sarebbe riduttivo definirlo tale), più visonari, bizzarri e originali degli ultimi anni.
    Ultima modifica: 5/04/13 17:34 da Buiomega71
  • Discussione Raremirko • 5/04/13 20:49
    Call center Davinotti - 3862 interventi
    Non male, piacque anche a me.

    E' uno dei titoli del regista che ricordo meno, però lo trovai un buon adattamento da King.

    Molto filosofico più che orrorifico, è in effetti un approccio differente al genere.