La tigre del sesso - Film (1977)

A mio avviso il miglior capitolo dell'intera saga che, cambiando regista, cerca nuovi approcci (ed è questo il motivo per cui non è molto amato, neanche tra gli appasionati), ovvero dividere in due distinti parti il film: prima torture assortite in russia durante l'epoca stalinista e poi gran finale a Montreal più di 20 anni dopo. La Thorne rimane una piacevolezza per gli occhi e le torture sono sempre efficaci. Da amare.

Quasi-capolavoro, specie la prima parte ambientata nel gulag più squallido e con meno personale (ma tutto allupatissimo) della storia del cinema: quello allestito da Bava per Le spie vengono dal semifreddo era molto più credibile, e quando si sente dire "aprite i cancelli" riferito alle due assi in croce all'Abetone o su di lì il film ha già fatto breccia nei cuori. Impagabile la tortura con diapositive di Stalin e scarica elettrica per il rifiuto di dire una coglioneria che diceva anche Pertini. La Thorn sempre immensa. Cult

Per la par condicio ci troviamo in un gulag siberiano dove la Thorne può dare libero sfogo alle sue passioni sadiche. Purtroppo nella seconda parte ci spostiamo in una moderna Montreal dove il film perde tono e non vi sono più trovate interessanti. La recitazione nelle scene più cruente sono credibili, da sottolineare che di fronte alla dotata protagonista scompaiono le altre presenze femminili del film. Sangue in abbondanza ed effetti splatter non così male. Due pallini.

Ilsa passa dai lager dell'estrema destra ai gulag dell'estrema sinistra, ma quel che resta è la faccia (là Hitler, qui Stalin) della dittatura. Lungi dal farne un discorso politico ché tutta la pellicola (dire film è poco essendo diviso in due fasi, la seconda non estrema e pertanto molto noiosa) è una rincorsa alla brutale violenza, al sesso orgiastico - la Thorne si fa due maschi per volta: altro che Alexa! - e alla dissennatezza garantita da dialoghi che qui, proprio, è meglio non riportare. L'effetto paradossale è che il mix diverte.

L'ultima avventura della perfida Ilsa, questa volta nelle mani del poco attivo LaFleur, parte in quarta: il primo atto, ambientato come il titolo originale suggerisce in un Gulag staliniano, è violento, erotico e buffonesco come la tradizione impone, fra torture brutali (le più splatter dell'intera saga) e sesso sguaiato (la Thorne neanche dispone di maschioni piacenti con cui sfogarsi a questo giro). Passiamo poi dalla Russia del '53 alla Montréal del '76 (!) e lo script prende la via dello spy-thriller, addirittura con venature di sci-fi: svolta bizzarra, ma sin troppo snaturante.

Ormai teletrasportata da un'effigie del male storico all'altro, Ilsa prende la transiberiana e si dà ai peccati di Gulag: tra un ridurre in poltiglia i corpi e l'altro si abbandona a sandwich coi compagni che di alzato non hanno solo il pugno chiuso; ma il vero threesome lo fa con due mediometraggi: nel primo, yeti della storia sovietica, rende vermiglie e cimiteriali le nevi e nel secondo naufraga nel più guazzabugliato e visionario spy-fi chiudendo nella confusione narrativa l'episodio più efferato e psicotronico. Si prende o si lascia, si prende e ti lascia, si lascia e ti prende.