Corretto ma del tutto anonimo. Giorgio Stegani, regista più noto per la lunga militanza nello spaghetti western, si cimenta nel noir-poliziesco all'italiana assegnando al protagonista Antonio Sabato un ruolo molto simile a quello che già aveva interpretato in MILANO ROVENTE, ovvero il boss malavitoso di chiare origini meridionali. Evidentemente, tuttavia, come idea non era sufficientemente originale, così gli autori del copione (tra cui Camillo Bazzoni) ci aggiungono una variante desunta da classici stile BANDIERA GIALLA: Sabato viene morso da una cavia sulla...Leggi tutto quale si stava sperimentando un virus letale e avrà solo una ventina d'ore per procurarsi l'antidoto. Il problema è che nel frattempo le bande rivali lo stanno braccando e un commissario di polizia (Pier Paolo Capponi) lo sta a sua volta cercando per impedirgli di diffondere il virus. Attorno a Sabato si fa presto terra bruciata e la corsa contro il tempo e gli inseguitori diventa it leitmotiv di un film fiacco, di routine, discretamente recitato ma privo di vero dinamismo. Toni Ucci che filosofeggia al commissariato sulla triste condizione dei meridionali a Milano sembra suggerire una chiave sociologica interessante che però poi nessuno segue: conta l'azione, ma essendo questa banalizzata da una regia modesta, il film non decolla mai. Personaggi poco interessanti e stereotipati, nessun tocco personale, stupri come da prassi (il primo addirittura sui titoli di testa) e sparatorie d'ordinanza. L'ambientazione milanese non si percepisce, così come non si avverte la tensione nelle pur numerose scene di violenza.
Niente affatto male, ma non è un poliziottesco quanto piuttosto un noir, genere che mi piace un po' meno. Ottimo Sabato, belle le musiche (ma mi hanno fatto venire in mente quelle di Cipriani per La polizia è sconfitta...)
Noir reso meno ordinario dall’inconveniente del morso della cavia, che scatena la lotta contro il tempo, la polizia e i compagni traditori. Stegani aggiunge il tema dell’emigrazione dei meridionali a Milano attraverso la violenta rabbia arrampicatrice di Sabàto e la rassegnata emarginazione di Ucci, che si conclude in un finale che anticipa quello di La polizia è sconfitta. La storia fila via liscia, tra parentesi drammatico-sociologiche e crudi regolamenti di conti tra criminali. Buono.
Brutto film che si rifà, esplicitamente ma in malo modo, a Bandiera gialla di Kazan senza avere neanche la decenza di dirlo. Naturalmente il modello è inavvicinabile in primo luogo perché Stegani non è Kazan ed anche il resto del cast, tecnico ed attoriale, non è all'altezza. L'innesto del noir sui moduli del poliziottesco all'italiana avrebbe potuto essere un'operazione interessante e meritava una sorte migliore. Così non è stato a causa del pressapochismo dell'insieme. Peccato!
Questo film poggia sulla pretesa di fondere il noir di Milano calibro 9 con il ritmo di Milano rovente e la suspance di Milano violenta. Il risultato è una variazione sul tema stantia, goffa, decisamente impresentabile. Non basta assemblare caratteristiche singolari saccheggiando altre pellicole né scimmiottare stilemi di registi ben più preparati. Stegani non è certo Lenzi o Di Leo. Forse i produttori in cerca di facili bis commerciali avrebbero dovuto prevederlo.
Pellicola "minore" ma senz'altro apprezzabile, discreto ritmo e girato con buon mestiere da Stegani che fa chiaramente capire, in alcune sequenze, la sua provenienza dal filone western. Sabàto impersona un fetente veramente detestabile che, a differenza di altri "cattivi", non si riesce proprio a guardare con benevolenza. Buona la prova anche di Capponi nelle vesti del commissario e la solita carrellata di caratteristi che però, in questo caso (fatto salvo Bruno di Luia), non lasciano più di tanto il segno. Per completisti ma godibile.
L'idea del morso del topo da laboratorio è coraggiosa e simpatica... Peccato che a seguire non ci sia una regia o qualche attore (Sabàto non è nemmeno aiutato dal doppiaggio scadente e Nicoletta Rizzi sembra appena uscita da A come Andromeda). Così il film si trascina come un fumetto scadente che neanche il finale riesce a salvare. In mano ad un Lenzi forse avremmo visto qualcosa di meglio. N.b.: Pier Paolo Capponi avrebbe meritato ben altro.
Discreto poliziesco con venature quasi da noir metropolitano. La storia dell'uomo-solo-contro-tutti è raccontata bene, peccato solo che qualche elemento del cast sia davvero spaesato (Donen su tutti) e l'ambientazione milanese, comunque solo parziale, sia ben poco sfruttata. Insomma qualcosa di diverso rispetto ai tipici polizieschi italiani del periodo, tant'è che il commissario interpretato dall'ottimo Pier Paolo Capponi non si lamenta nemmeno di avere le mani legate.
Pura routine peraltro abbastanza gradevole, senza troppa (anzi nessuna) originalità (stupri, sparatoria allo sfacciacarrozze, sequestro di uno Scuola-bus...). Curiosamente il grande Capponi è ingessato in un commissario privo di carattere, mentre il noto cane Sabato stavolta mostra la grinta giusta. Gli altri attori neanche a parlarne e i set più interessanti sono le baracche.
MEMORABILE: Un bel saggio di come rubare una Fiat 500 in sette secondi netti.
Buon noir/poliziesco con venature sociali. Ottima la prova di Sabato attore che non sempre ho apprezzato, bene anche il resto del cast (Capponi, Di Luia, Ucci). Ci sono belle scene d'azione e uno spaccato sulla condizione dei meridionali, alcuni dati alla malavita altri rassegnati a fare i "camerieri delle puttane". Bello.
MEMORABILE: Il discorso del Merenda a Sabato, l'omicidio del dottore.
Dal titolo ci si aspetterebbe il solito film con bande rivali l'una contro l'altra armate, sconfinamenti, esecuzioni, traffiti illeciti ecc...e invece ci si ritrova ad appassionarsi alle vicende di un boss contagiato da un virus letale, braccato sia dalla polizia che dai compagni "traditori". Milano: il clan dei calabresi è un guazzabuglio che mescola con nonchalance elementi polizieschi, horror, melodrammatici, "sociali". Violento, gratuito, sporco, sbagliato, in una sola parola "eccitante". La regia di Stegani è solida e ben ritmata. Antonio Sabato è bravissimo.
Il guaio è che dopo solo 20 minuti c'è la scena clou, ma c'è qualche elemento interessante da valutare... intanto alla fine ci sarà una spietata rivincita dei reietti contro chi è divenuto rispettabile e potente, passando da loro come strada obbligata e avendone subito preso le distanze, mentre nel mezzo ci sta tutta la codardia e la falsità di picciotti, amanti o che dir si voglia che non esitano a girar le spalle nel modo più odioso... Mancuso era ben più umano rispetto ad altri carnefici che han fatto la stessa fine. Una visione la consiglio.
Deja-vù nostalgico per baffone Sabato, di nuovo emigrato meridionale che scala i ranghi gerarchici della criminalità milanese come macrò nel giro grosso della prostituzione. Nettamente in debito verso il Lenzi di Milano rovente, Stegani dirige un decoroso police/noir che si sofferma sull'intenso prolungamento di scene violente e cariche di attesa, contando innazitutto sull'innesto ansiogeno del bizzarro espediente "virale". Tra l'imbarazzo di un cast teatralmente sopra le righe, Capponi si riattesta nel ruolo già esperito dell'ispettore dai buoni propositi, lucido e indignato. Passabile.
MEMORABILE: Il corpo stecchito di Sabato coperto dalla polizia con un telo di cellophane... trasparentissimo (!!!)
Un prodotto davvero da bassifondi, malgrado lo spunto insolito (o meno banale del solito, a scelta). Ci sono particolari così poco credibili da risultare involontariamente umoristici, come la baraccopoli (quasi una bidonville) che dovrebbe ospitare calabresi arrivati a Milano. Sabato è tutto sommato abbastanza efficace, aiutato dal doppiaggio di Giancarlo Maestri. Ma tutto il film puzza di "non finito", di raffazzonato.
Buon prodotto di genere, che si avvale di una trama interessante e dinamica. Poche pause, un lungo conto alla rovescia farcito di cruenti omicidi. Capponi ben disegna ancora una volta la classica figura del commissario, Sabàto se la cavicchia. Non un capolavoro, ma senz'altro da vedere per cultori e non.
Attingendo idee a destra e a manca, compreso il filone del contagio letale, contiene caratteristiche da poliziottesco (violenza, inseguimenti, ambienti degradati), ma il protagonista è un delinquente per il quale lo spettatore finisce per parteggiare. Nulla di originale, quindi; anzi, si calca la mano anche sui sentimenti pur di destare l'attenzione ma, per Giove, quante pellicole del genere ci hanno annoiato fino allo sfinimento? Questo almeno lo scopo di intrattenere lo raggiunge, merito anche di un bravo Sabàto e un efficace commento sonoro.
MEMORABILE: Sabato, ripreso simbolicamente dall'alto in mezzo a un incrocio, non sa cosa decidere.
Stegani fonde poliziottesco e noir con esiti altalenanti. Il suo maggior difetto è quello di miscelare ingredienti disparati (alcune trovate - il rapimento dei mocciosi, a esempio - sono davvero di troppo) col risultato di soddisfare pochi palati. Il film è, quindi, efficace a sprazzi: nel desiderio di vendetta sui traditori, nelle caratterizzazioni da perdenti di Ucci e Rizzi, nella voglia di vivere, a qualunque costo, di Sabato. Il tratteggio sociale dell'emigrazione meridionale rimane allo stato di bozzetto.
Analogie con Milano rovente, ma il contagio virale lo rende un unicum nel poliziesco italiano, portandoci quasi a tifare per un personaggio negativo, ma solo contro tutti. Le rivendicazioni sociologiche sono inevitabilmente schematiche e il finale può apparire ingiusto, ma Stegani dirige con bravura, Sabato è sorprendente nei panni dell'immigrato meridionale che trova un effimero riscatto nella delinquenza, Capponi è un convincente commissario dai modi bruschi, la Monti e la Rizzi disegnano due opposti caratteri femminili. Buona la confezione.
MEMORABILE: I dialoghi Sabato/Rizzi e Capponi/Monti; Tutti gli omicidi.
Film che si lascia seguire, a patto di non avere troppe pretese. Stegani parte da una storia originale (anche se a tratti poco credibile) e da una produzione modesta e riesce a cavare una vicenda interessante, con un buon ritmo e con attori (chi più chi meno) piuttosto in parte; una menzione la meritano la Rizzi, Ucci e Capponi. Forse avrei evitato di mettere di mezzo i bambini ma si sa, quando scarseggiano i denari tutto fa brodo. Il tentativo di critica sociale è troppo vago per essere preso sul serio. Per curiosi e appassionati del genere.
Film piuttosto grezzo e prevedibile, con il contesto della "malattia" che gli regala un minimo di originalità (anche se, personalmente, trovo le immagini del laboratorio di vivisezione assolutamente deplorevoli). Poi la pellicola si trascina un po' ripetitiva, anche se ogni tanto ci sono momenti di discreta sostanza. Location non valorizzate e anche bravi attori non sempre sfruttati al meglio. In particolare Capponi, grande altrove, qui si trova a volte spaesato e la recitazione appare, spesso irrazionalmente, troppo sopra le righe.
Decisamente approssimativo nella messa in scena (forse perché girato in fretta e con pochi denari) e negli snodi, ibrido perché innesta elementi di varie provenienze, confuso come logica narrativa, si salva dall'ignominia per la correttezza di Capponi e di Sabàto, per la smagliante bellezza della Monti e per la sorprendente immedesimazione nel ruolo della Rizzi. Forse quello di Gino in questo film è il ruolo più corposo nella carriera di Mario Donen.
MEMORABILE: Nel finale, i sassi chiaramente di cartapesta...
Discreto e ingenuamente spiazzante. Stegani procede per accumulo di elementi ma, come talora accade in questi casi, la tendenza all'eccesso finisce per esser cinematograficamente simpa(teti)ca, divertente e coinvolgente. Così all'incipit torrido (lo stupro in apertura), fa seguito la succedanea ma intrigante scena del contagio (da Bandiera Gialla), per proseguire con la narrazione alla Di Leo dell'uno (Sabato sugli scudi) contro tutti e arrivar ai colpi di coda della Rizzi femme fìdele (molto da noir franzoso) e del contrappasso nella baraccopoli "terrona".
MEMORABILE: I capelli della Monti; La lapidazione di Sabato.
L'effimerità del potere, conquistato a suon di favori, concessioni, inganni e ogni sorta di attività illecita. Sabàto ne è incarnazione massima in questo film crudo e violento, che non risparmia nulla alla vista dello spettaore, compresa una trapanata mortale. Dallo sfrecciare in fuoriserie alla fuga in Cinquecento (rubata) il passo è fin troppo breve per chi si credeva invincibile (rectius, intoccabile). Oltre all'attore di Montelepre vanno ricordati Toni Ucci, miserabile dal monologo facile e la Rizzi, di gelida bellezza. Gran bel film.
MEMORABILE: Il Merenda (Ucci) al commissario (Capponi): "Tutti vogliono aiutare il Mezzogiorno... poi arriva mezzanotte e nessuno di noi ha ancora mangiato".
Noir con sprazzi polizieschi del filone poveristico, insolito nel tema della contaminazione. Capponi e di Luia sono in forma, splendida la Monti, Sabàto se la cava meglio che altrove e coinvolge vederne il rabbioso declino solitario, dalla posizione di boss affermato e guascone. Ritmo costante, tra omicidi violenti e tradimenti non ci si stufa, ma si fa sentire tanto la mancanza di un buon polso in regia.
Un boss della ndrangheta viene morso da una cavia, rischia di contagiare milioni di persone e poi di morire. La trovata è originale, ma il film fatica a decollare. Un Lenzi o un Di Leo avrebbero cavato qualcosa in più, specialmente dal cast (sprecatissimo Capponi nel ruolo di un commissario con le mani legate). Sabàto se la cavicchia, rivedibili gli scagnozzi tranne l'esperto Di Luia, come sempre una garanzia. Qualche scena viene tirata per le lunghe, segno forse di poche idee (i monologhi di Merenda, il sequestro dell'autobus). Un'occhiata la vale, ma si dimentica in fretta.
MEMORABILE: La terrificante recitazione di Donen, pochi istanti prima di essere ucciso!
Per arginare l’avanzata di giovani senza scrupoli nel racket della prostituzione a Milano, un boss calabrese non esita a usare i metodi più cruenti, ma…”chi semina vento raccoglie tempesta”. Il film a tratti ha lo stile della tragedia napoletana, ma ha il pregio di preconizzare epidemie virali (per fortuna qui scongiurate) e assassini violenti pasoliniani, vista l’ultima scena all idroscalo di Ostia. Sabato ha la faccia troppo buona per passare da crudele mammasantissima e, nota di merito, la presenza di Nicoletta Rizzi che ne eleva il valore complessivo.
Poliziottesco che si discosta leggermente dal canone per l'innesto di elementi noir, per la buona trovata del virus latente e per una certa riflessione, seppur ingenuotta, sul destino dei meridionali emigrati a nord. Per il resto la storia è piuttosto comune e i volti sono quelli del genere. Per una volta non è male Antonio Sabato, a cui fa da contraltare il rigoroso Pier Paolo Capponi, sempre bravissimo. Il resto del cast vivacchia. Nel genere è un film che un'occhiata la merita per qualche piccola ventata di novità e per il buon ritmo.
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HomevideoZender • 19/10/10 15:15 Capo scrivano - 47786 interventi
Dalla prestigiosa collezione vhs del nostro amicoVincenzo Scala la rarissima vhs Cinehollywood di Il clan dei calabresi:
C'è un gioco di nomi, quando Capponi e il suo assistente (Giulio Baraghini) irrompono nella finta sartoria: il primo dice alla tenutaria che in occasione di un altro suo incontro con la giustizia lei si faceva chiamare Baraghini...
DiscussioneNeapolis • 3/06/17 20:40 Call center Davinotti - 3080 interventi