Miniciclo:
Quegli amori balordi
Capitolo ottavo: la passione malsana del delitto
Per la sua opera prima Scardigno (classe 1982 e alcuni cortometraggi alle spalle) sceglie di basarsi (liberamente non poi molto, visto che ne ricalca passo a passo gli eventi) sul fattaccio di Novi Ligure e sul vuoto esistenziale che attanaglia la gioventù odierna
Se da un lato il film parte bene, mostrando la rabbia repressa, l'assenza di valori, il vuoto pneumatico che avvolge la giovane Katia (ben reso anche dagli ambienti degradanti e squallidi, come il rifugio dei due ragazzi o gli stabili abbandonati ridotti a discarica abusiva, che ne amplificano il disagio e l'alienazione) dedita a fare la sgualdrinella su internet (la chat, sbirciando baci lesbo tra ragazzine) o nei bagni della scuola (con il ragazzo , mentre lei fà pipì e si fà fotografare impudica-anche se con il reggiseno addosso-) per colmare il suo baratro fatto di apatia, per poi pianificare, con il suo fidanzatino, il massacro dei suoi genitori che la tengono in "prigione" soffocandola con i loro rimproveri e le loro "punizioni"
L'opera prima di Scardigno, fin lì, avvolge in un malsano
Tre metri sopra il cielo andato in acido, che, in alcuni frangenti, ricorda qualcosa del Gus Van Sant "giovanilistico alienante" o di un Larry Clark , dove i discorsi deliranti e inquietanti che Katia rivolge a Andrea hanno un chè di malsano e disturbante.
Una volta commesso il matricidio (nemmeno girato benissimo, che lascia parecchio indifferenti, non riuscendo a creare il dovuto pathos che una scena così richiederebbe) il film si sgonfia inesorabilmente, seguendo per filo e per segno le orme di Erika e Omar, con le indagini dei Carabinieri, la colpa addossata agli extracomunitari, le interrogazioni ai due giovani, e l'intercettazione finale che li inchioderà alle loro terribili responsabilità
Pian piano (da buon giovanilistico tormentato) si entra in zona fiction televisiva che, a tratti, sembra quasi, di assistere ad un episodio serioso di
Carabinieri, mostrando, purtroppo, la difficoltà del nostro cinema di elevarsi dai soliti standar prestabiliti e di non riuscire a scrollarsi di dosso la patina paratelevisiva di una fiction della Rai.
Un vero peccato, perchè il materiale era interessante e i due giovani protagonisti (la Ferrazzo e Degirolamo) sono davvero bravi (la prima gelida e impenetrabile, quintessenza del malessere giovanile, il secondo pieno di sensi di colpa , dubbi, tormenti, nervosismo e fragilità emotiva), ma i difetti stanno nella gestione della storia, che non riesce a emozionare, smorzando il tutto in un involucro vuoto dall'acro sapore televisivo, non osando più di tanto, restando nel limbo dei vorrei ma non posso (non bastano il cambio dei vestiti sporchi di sangue, qualche coltellata, qualche schizzo di sangue sulle pareti o le vomitate)
Girato a Torremaggiore nel foggiano, dove fanno da contrasto le villette, i campi, le discariche, le cabine elettriche in disuso, la scuola, la "tana", tutti tasselli che mettono in evidenza l'insoddisfazione di Katia e il suo male di vivere.
Scardigno non gira affatto male, ma manca il bersaglio su di una storia che avrebbe meritato maggior approfondimento (il tutto sembra un pò insipido e indolore) e una buona dose di ferocia (anche nel delitto) che viene a mancare, restando dentro le regole dello schematismo più convenzionale.
Altro esempio di come il cinema italiano (eccettuato rari casi) fatichi a carburare (pur avendo buone potenzialità).
Sequenza cult amorbalordiana: Andrea ammira Katia che parla su messenger, chiuso nella sua stanzetta, si tira giù la lampo dei pantaloni e comincia a masturbarsi...