Ferro3 è l'apotesi della solitudine urbana, che è alienante e costruita in negativo a differenza dell'eremo di autoricerca che era in "primavera estate autunno etc" sempre di Kim-Ki-Duk. La perfezione dell'immagine è superba, e ben rende la sterilità della vita comune. Da notare la maniacale presenza scenica e SCENOGRAFICA del cibo: sempre accuratamente tagliato e disposto su piccoli perfetti piatti e ciotole. Film che ha in parte sdoganato l'autore in italia, merita.
Ferro 3 è il cinema del silenzio, è il cinema della gestualità. Un silenzio rumoroso, quasi assordante. Un silenzio che avvicina due persone tanto diverse tra loro. Un amore espresso solo attraverso la gestualità del corpo. Kim Ki-Duk riesce ad esprimere in modo meraviglioso i pensieri, le emozioni e i disagi dei protagonisti. Nulla è forzato e la comprensione è naturale: è come se parlassero. Magnifico il finale metafora della leggerezza dell'animo.
Film che fa del silenzio e dei piccoli rituali gesti quotidiani il proprio manifesto. 90 minuti quasi senza dialoghi, illuminati da una fotografia meravigliosa e da un taglio registico eccellente, che specie nel finale incanta. La prima ora (per quanto bella) non stufa ma affatica gli occhi e la mente, ma la visione degli ultimi trenta minuti vale il prezzo dell'attesa. La leggerezza del bacio e l'impatto del "ti amo" ad uccidere il silenzio è incantevole.
MEMORABILE: Il bacio d'amore nascosto nei 180° di non visione.
Un giovane entra nelle case vuote per il weekend, senza rubare, anzi custodendole, finché in una non trova una giovane donna che coinvolge nel suo giro. L’idea è straordinariamente bella, così come la scelta di annullare le parole e lasciar parlare sguardi e azioni. Però lo splendido soggetto a un certo punto declina in una storia d’amore senza originalità fino a un finale quasi farsesco, alla Donna Flor. Il troppo non-detto diventa autocompiacimento, peraltro con una sensibilità visiva piuttosto piatta. Recitazione da sorvolare.
Film difficilmente inquadrabile e catalogabile ma affascinante e ricco di poesia. Il fascino risiede nella storia molto particolare e suggestiva. In un contesto metropolitano, una vicenda che fa del silenzio (non vuoto ma assolutamente partecipe) il suo contesto e disegna due personaggi straordinari curandone in modo particolare la caratterizzazione psicologica. Scenografia molto curata e recitazione degli attori "sospesa". Bellissimo il finale.
Pellicola incredibilmente poetica, delicata e romantica. È sorprendente quanto le espressioni dei protagonisti e i loro lunghi silenzi trasmettano molto più di qualunque dialogo mirato a dare spiegazioni, perché qui di spiegazioni non ne servono, bastano i volti degli attori a dire tutto. Kim Ki Duk è davvero un moderno poeta e i suoi film sono come dei quadri che incantano lo spettatore. Per tutta la durata del film sono stato rapito da quest'aura di magia che pervade Ferro 3. Incantevole!
Un amore che esiste soltanto in un punto cieco, invisibile,nascosto, forse nel punto di fuga di una prospettiva, dis-locato in case vuote che non appartengono ai due amanti ma, temporaneamente, neppure a chi vi abita. Un amore che esiste nell'orizzonte tra due dimensioni riconciliate, un tempo e uno spazio sospesi tra la vita e la morte. L'unico spazio possibile per un amore felice in un mondo infelice. Lirico e spettrale, apprezzabile soltanto se si entra in empatia con i non facili protagonisti, con il loro silenzio che è un grido di ribellione. Ottimo.
Capolavoro assoluto: Kim Ki-Duk ci dimostra come per fare un film sulla solitudine e sull'amore non siano necessari i dialoghi, ma basta la carica espressiva del volto, degli occhi.. la forza dei gesti, silenziosi. A rompere l'equilibrio di questa coppia, formatasi per caso, il mondo reale, parlante, irruento... magnifico il finale. Bella la cura formale che pervade il tutto, bella la delicatezza della storia. Un gioiello per chi ama il cinema, quello vero.
Il ragazzo semi-muto, seguito dalla ragazza triste semi-muta, colpisce le palle (da golf), mentre Kim Ki-Duk le fa venire (allo spettatore). Racconta il regista: alienazione urbana, solitudine esistenziale, violenza familiare, incomunicabilità, onnipresenza delle segreterie telefoniche, usanza assurda di lavare i panni accovacciati sul pavimento del bagno ecc. Tanto e nulla, raccontato con eleganza, un raffinato prologo distillato di pura noia cinefila, per approdare alla parte dall'arresto in poi, bellissima e romantica (! per questa), ma purtroppo ci si arriva un pò estenuati...
MEMORABILE: Non è una buona idea introdursi di soppiatto nell'appartamento di un pugile... - Prove di fuga
L'amore non pesa nulla e soprattutto non ha bisogno di parole, ma di gesti e di sguardi. Le parole sono importanti ma spesso rovinano tutto, questo sembra voler dire Ferro 3. Ma vuol dire anche tante altre cose, alcune incomprensibili, altre solo furbe. Originale e fuori dagli schemi. L'attuale si sposa con la tradizione, l'Oriente diventa Occidente. Ottima regia, buona fotografia, dove le fotografie sono importanti a mostrare una bellezza muliebre costantemente presente. Nella realtà e fuori dalla realtà. Conosciuto leggendo Stefania. Grazie.
Da uno spunto reale, il regista osservando i volantini nelle cassette postali di questi stracolme, deducendo così l'assenza del padrone di casa, realizza una sceneggiatura originale e al contempo poetica. Un giovane decide di entrare nelle case e nelle vite degli altri per goderne, non rubando ma vivendo in queste come in una nuova identità. Regia affascinante per una pellicola sublime nelle immagini.
Un film che merita di essere visto attentamente come del resto tutti i film di Kim Ki duk: sono opere d'arte della comunicazione visiva. Sempre poche parole, lunghi e interminabili silenzi e fermi immagine che danno profondo respiro ad una poetica intrinsecamente presente nella rappresentazione di una realtà più triste di come riesce a dipingerla. Bel finale, che in parte riscatta la sensazione di alienazione che scorre per tutta la durata del film.
I film di Kim Ki-Duk sono capaci di trasmettere un intenso calore. Le case occupate dal protagonista vengono proprio riempite di questo calore. Un altro protagonista muto (i dialoghi sono quasi inesistenti) che comunica con l'intensità degli sguardi e con la semplicità dei gesti. Da un lato vi è la violazione dello spazio a noi più intimo e caro (la casa), dall'altro questo spazio trascurato, viene riempito, coccolato e preparato per essere di nuovo amato e nel mezzo l'amore dei due protagonisti. Intenso.
Film sospeso tra sogno e realtà, tra realismo e sprazzi di consueto lirismo. Kim ki-duk racconta una storia d’amore, quella più radicata e profonda, sfuggente ed intensa, che non necessita di molte parole ma che fa leva sugli sguardi, le piccole cose. I protagonisti silenziosi ed imperturbabili, rispettosi di ogni casa che violano, ma che poi riassettano. I personaggi di contorno che soffrono, scalpitano, gridano, simbolo di estraneazione e di caos. Espressivamente intenso nel narrare un amore etereo, ma con qualche sospetto di manierismo.
Tra le pellicole di Ki Duk, una delle più squilibrate. Dopo una prima parte un po’ statica e ripetitiva (ma non brutta), il film prende il volo nella seconda parte che è bella e “poetica” come molte delle pellicole del coreano che al solito costruisce, scrive e racconta in maniera “estrema” e personale. All’estetica curatissima si aggiunge anche una buona dose di emozioni. Forse il migliore della seconda fase del regista, ma comunque non del tutto convincente.
Ferro 3 (Kim Ki Duk) è il paradigma di "certo" cinema asiatico e di "certo" modo di intendere e fare oggi e ancora film d'Autore. Respingente se non addirittura urticante nel suo leziosismo laccato come nella ricerca di metafore all'apparenza fruste, La casa vuota mostra tuttavia un incredibile vitalità proprio quando lo daresti per morto e saresti pronto "criticamente" a seppellirlo. Ecco così il colpo di reni del Regista coreano, capace di trasformare il vuoto filmico in metafisica eppure totalmente piena storia d'amor fou. Jae Hee ha un bello swing.
Questo film passa continuamente dalla cruda realtà alla pura metafisica ed è pazzesco che il presupposto di una vicenda così profonda nasca da due personaggi così trasparenti e dall'arcaico bisogno di ognuno di avere un posto dove stare, un posto dove posare la mente e le terga, perchè Kim ki Duk è così, parla dei pensieri alti di chi deve pensare al contingente e della bassezza che può portare l'avere tutto; se si passa la prima parte lievemente (e necessariamente) ripetitiva si viene premiati da un finale stratosferico.
Per lunghi tratti sei tentato di spengere, tanto sono preponderanti i silenzi e la vicenda sospesa tra il grottesco e la sterile poesia. Alla fine ti lascia un retrogusto niente male e riesci a empatizzare un minimo con la coppia di protagonisti senza favella, costretti ad assorbire le vite altrui perchè noi non li capiamo, siamo grettamente terreni e insensibili. Un film dove palle e palline sono spesso in movimento, sicuramente particolare ma non memorabile.
La particolare ossessione di un giovane e il nascere di un sentimento. Una pellicola riflessiva e sognante che vive con i gesti e le immagini tralasciando le parole che spesso sembrano un inutile orpello. Interessante attenzione verso i particolari e finale molto poetico. Bravi gli interpreti e appropriata la colonna sonora.
Le ampie riprese hanno un forte impatto, la fotografia fa sì che ogni sequenza sia dolce, morbida, il clima raffinato. La trama romantica, pur particolare, si segue in modo fluido, scandito; merito anche dei dialoghi portati a zero (e in generale tutto è ridotto all'essenza). Un film dipinto, poetico, sebbene pur affezionandoci ai protagonisti in pochissimo tempo la scelta di non farli parlare mai - quando si è già visto molti film optare per questo stile - appaia tutt'altro che geniale e forse un po' forzata. In definitiva emozionante.
Film quasi muto del coreano Kim Ki-Duk che si fa apprezzare per delicatezza e bellezza di immagini. Due protagonisti silenziosi, case vuote, "selfie" (non so se nel 2004 esisteva già questo termine), palline e mazze da golf (da cui il Ferro 3 del titolo): questi gli elementi, poco altro. Se si riesce ad apprezzarlo la visione è una bella esperienza ma, va detto, il ritmo è davvero lento. Molto poetico.
Analisi metaforica e politica di come viene esercitato il potere coreano, con la reazione silenziosa del popolo. Chi viola i domicili per ristorarsi e aggiustare i piccoli danni mostra il valore della tradizione (la sepoltura, il riposo nel giardino zen) in antitesi ai soprusi della polizia (false incriminazioni, le botte). La violenza viene mostrata con l’uso geniale della mazza da golf contrapposta all’avvicinamento gentile della pallina tra i due. La coppia protagonista ha i visi giusti, meno in parte gli altri. Finale assoluto.
Film molto poetico, di un romanticismo particolare ma accattivante. Purtroppo squilibrato nella narrazione, con una prima parte veloce ma in fondo semplice e una seconda affascinante ma troppo lenta. Qua e là ci sono anche alcune incongruenze o momenti inutili, ma nell'insieme la trama colpisce lo spettatore per tenerezza e delicatezza. Molto bravi i due protagonisti. Buono.
Non è il migliore film di Kim, in quanto teso spasmodicamente a ricercare la poesia dell'estetica e l'estetica della poesia in ogni inquadratura, in ogni gesto, in ogni silenzio. Rappresentativo di certi modi di intendere il rapporto con lo spaziotempo cinematografico - come e dove porsi, quando e in che modo inserirsi. Interessante la trattazione del linguaggio semioticamente inteso (verbale e non verbale), sul quale si innestano prima il dramma dell'arresto e poi, dopo le surreali sequenze del carcere, il finale metaforico.
Film intelligente e delicato, girato con maestria e affidato a una coppia di attori davvero all'altezza. Storia d'amore e di solitudine, di violenza e allegria. Allegoria di quell'altalena emozionale che è la vita nella quale è possibile stare in equilibrio solo diventando invisibili, o visibili solo a chi realmente ci ama. Il cinema per niente banale di Kim Ki-Duk ci regala un'altra piccola grande vicenda umana.
Un film non facile, lento, ma di un fascino impressionante, come molti film sudcoreani. Incomunicabilità, solitudine, proprietà privata, simbolismo: c'è tanto in questa pellicola di non spiegato ma che traspare anche solo dai gesti e dagli sguardi dei due (bravissimi) protagonisti, che riescono a tenere viva l'attenzione per un'ora e mezza senza dire una parola. C'è un che di amatoriale anche nelle riprese, ma questo non fa che contribuire al fascino misterioso del film. Splendido.
Affascinante film coreano giocato completamente sui silenzi, con uno dei due protagonisti che non emette alcun suono durante tutta la durata. Un viaggio forse solo in piccola parte reale nel mondo di due reietti impregnato dalla violenza in sordina, di genere in un caso, della "proprietà" nell'altro. La rabbia, le speranze represse, la tenerezza, vengono rivelate con qualche espressione accennata, un'inquadratura riflessiva, uno schiocco di pallina da golf, in un esperimento registico mai fine a se stesso. Non un capolavoro, ma molto bello e soprattutto mai banale.
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Il regista per la sua sceneggiatura ha realmente preso spunto dai volantini presenti e non all'interno delle cassette postali.
Fonte:intervista a Kim Ki-Duk
HomevideoGestarsh99 • 20/02/11 00:13 Vice capo scrivano - 21546 interventi
Disponibile in dvd dal 03/03/2011 per la Dolmen Home Video, con i seguenti contenuti extra:
- Trailer cinematografico originale
- Schede biografiche e filmografiche
- Making of
- Interviste
- Premiazione al festival di Venezia 2004
Scusa Gesta, ma questo, come "La samaritana", "City of violence" e "La farfalla sul mirino", non erano già stati editati, sempre per Dolmen, due o tre anni fa?
HomevideoGestarsh99 • 20/02/11 16:49 Vice capo scrivano - 21546 interventi
Buiomega71 ebbe a dire: Scusa Gesta, ma questo, come "La samaritana", "City of violence" e "La farfalla sul mirino", non erano già stati editati, sempre per Dolmen, due o tre anni fa?
Si, sono riedizioni di articoli andati fuori catalogo.
Gestarsch88 ebbe a dire: Buiomega71 ebbe a dire: Scusa Gesta, ma questo, come "La samaritana", "City of violence" e "La farfalla sul mirino", non erano già stati editati, sempre per Dolmen, due o tre anni fa?
Si, sono riedizioni di articoli andati fuori catalogo.