La fine del mondo secondo la regista che sentiva le sirene cantare, in una diversa (e intimista) rappresentazione, tutta al femminile, del survivor movie dagli acri sapori post atomici.
Un pò romanzo di formazione, un pò fiaba, un pò manuale per la sopravvivenza, questa delicata (e a volte straziante) piccola apocalisse colpisce per la sua intensità e il suo realismo, dove l'ecatombe (che inizia con un totale blackout, come succedeva in
Effetto blackout di David Koepp) non viene spiegata, o meglio non si sà bene l'origine, di quella che diventerà una pandemia a tutti gli effetti, con saccheggi nei supermercati, gente che impazzisce e si brutalizza tirando fuori il peggio di sè, utopici viaggi verso "terre promesse" (Boston), mancanza dei beni primari (corrente elettrica, acqua, benzina, cibo), vissuta da due sorelle rimaste sole al mondo, che ritornano alle origini, con l'aiuto di una natura incontaminata, Il fatto che il disastro ambientale non abbia una vera motivazione (la radio gracchia qualcosa in merito, ma senza reali fonti attendibili, un attacco terroristico?, rende la pellicola ancor più inquietante e straniante.
La Rozema dona grazia e delicatezza uterina agli eventi, come la danza di Eve a tempo di monomentro, il legame tra le due sorelle, il parto, i particolari sui loro volti o sulle loro mani "rovinate" dal lavoro fisico, la sensibilità e la discrezione con cui entra nella loro intimità (a questo punto degna di nota la sequenza in cui Nell si appresta a fare pipì sulla tazza, e sulle mutandine scorge una chiazza di sangue mestruale), rendendo partecipe lo spettatore, anche nelle mansioni più quotidiane (andare nel bosco per mirtilli, la caccia, il mangiare, il dormire, i piccoli lavori per rendere la casa in mezzo alla foresta un posto un pò più sicuro, le incomprensioni, le liti, le riappacificazioni).
A volte ricorda
Testament (e non solo per la "fine del mondo" vista da occhi femminili) come nella sequenza notturna dei due saccheggiatori in mezzo alla strada, o per la vana "sicurezza" tra le mura domestiche, nonchè per l'intimismo della catastrofe vissuto dal nucleo familiare e quel finale della casa che prima và in pezzi, poi viene data alle fiamme, con un atmosfera che pare anticipi, di due anni, quella di
Madre.
E anche se la Rozema cerca di evitare l'exploitation, non rinuncia a picchi di crudeltà (straziante, comunque, la morte del padre e la visione del filmino di famiglia), non mancano momenti che colpiscono durissimo, come la feroce e brutale sequenza dello stupro ai danni di Eve (dove la Rozema insiste sul primo piano della ragazza, con inquadratura verticale e sulla sua sconvolgente sofferenza che sembra durare un'eternità), sul lancinante dolore post violenza che affligge la ragazza (le onde nere che la travolgono), la gamba tranciata dalla motosega e una macellazione suina al pari di quella dell'
Albero degli zoccoliFanno capolino anche alcuni accenni horror, come l'incubo notturno di Nell che riguarda enormi maiali neri (dai terrifici grugniti) che sembrano usciti direttamente dalla
Promessa di Satana.
Straordinarie le due attrici protagoniste in un affiatamento che toglie il fiato, le location nature del British Columbia, la villa hi tech in stile new age sperduta nel bosco dai riverberi alla fratelli Grimm e una chiusa speranzosa che non sembra poi tanto dissimile da quella profetizzata da Romero nel
Giorno degli zombi (il nuovo, ipotetico Eden, e non per nulla una delle due sorelle si chiama Eve e ha appena dato alla luce un bambino), in un rifugio ricavato dal tronco di un albero, proprio come nelle favole, circondato dal fitto della vegetazione.
Passato in sordina, quasi invisibilmente, merita una riscoperta anche a dispetto di titoli più blasonati sullo stesso tema e magari meno meritevoli (o sprovvisti della stessa intensità dell'opera della Rozema).
Da confrontare con
Come vivo ora.