La quintessenza del cinema godardiano più snob e intellettualoide, guazzabuglio di "metacinema" in salsa teatrale che sfocia nella sublime sciocchezza d'autore. A parte le invernali location elvetiche c'è ben poco da salvare in questo masturbatorio "giochetto" d'auteur che si sfilaccia in dialoghi narcolettici, passioni amorose vecchie come il cucco (Godard sembra fermo ancora alla Nouvelle Vague) e rappresentazioni teatrali finto-provocatorie. Siamo dalle parti di Prénom Carmen, ma almeno là c'erano i nudi della Detmers. Insopportabilmente spocchioso.
MEMORABILE: La rappresentazione pittoriche di "Passion"; Gli scioperi nelle fabbriche come nei film sessantottini e l'operaia della Huppert.
Metacinema visto e rivisto già all'epoca (anche nella stessa filmografia di Godard) e tonnellate di dialoghi vacui per un'ora e mezza di torpore al quale il buon cast fatica a rimediare. Se non altro Godard, rispetto a taluni orrori passati, si sforza di mettere in piedi una confezione decente e il film alterna così lunghi passaggi di medietà tipicamente francese con squarci artistoidi di innegabile suggestione. Mezza palla in più per questi ultimi, ma resta una pellicola trascurabile.
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