Vantaggi e svantaggi di un'educazione "hippy", la cui validità va soppesata una volta a contatto col mondo "normale"; perché certo tale non può essere considerato quello in cui vivono Ben (Mortensen) e i suoi sei figli, abituati a cercar cibo nella foresta e a leggere saggi e testi conservati nel bus/casa di famiglia (che ha pure un nome, Steve!). Invece del Natale festeggiano il compleanno dell'anarchico Noam Chomsky, discutono di sistemi politici e la piccola di otto anni gestisce con stupefacente padronanza la terminologia medica. Non il massimo della credibilità, a dire il vero, e anzi non c'è dubbio che tutta la prima parte evidenzi forzature che sfiorano il grottesco, al solo rifletterci...Leggi tutto un po'. Il periodo di confino nella foresta si interrompe definitivamente quando la famiglia deve muoversi fino in città per partecipare al funerale della loro madre, morta suicida da poco dopo un periodo di malattia (e dopo aver condiviso col marito le singolari scelte di vita). L'impatto con la civiltà comunemente conosciuta si sviluppa secondo dinamiche prevedibili, che giocano a divertire sfruttando le particolari abilità dei piccoli ma anche le loro difficoltà di rapportarsi con un universo totalmente sconosciuto. In chiesa, però, i ricchi genitori della defunta (segnatamente il padre, interpretato con bravura da Frank Langella) non possono accettare di vedere il funerale trasformato in un one-man show di Ben in cui questi spiega come lei desiderasse essere cremata per poi essere dispersa nello sciacquone. Sono le prime vere frizioni a dare finalmente la dimensione del dramma, a farci leggere le diversità non più come eccentriche qualità ma come reali difficoltà d'inserimento nella società, gravi freni inibitori. La svolta drammatica regala spessore alla vicenda, fa apprezzare ancor di più la già ottima performance di Mortensen (che regala alle sue fan pure un prolungato full frontal) e ci allontana dalle tante banalità dissimulate da una sceneggiatura qualitativamente di buon livello. Così la seconda parte si fa più arguta, sfumata nelle differenze tra due visioni della vita contrastanti ma non necessariamente prive ognuna di valori importanti. Si sfiorano qua e là tasti di romantica poesia (l'allegro funerale "privato", con i figli in coro a cantare vicino al mare "Sweet Child O' Mine" dei Guns'n' Roses), si cade a tratti nel lacrimevole, si vede che c'è poco di veramente nuovo nel soggetto, ma la regia di Ross (più ancora della sua sceneggiatura), aiutata da una bella colonna sonora e da un cast ben scelto (deliziosa la piccola Shree Crooks/Zaja) sa come rendere godibile il film; soprattutto nella seconda parte, quando la storia acquista valore e porta a riflettere meno superficialmente sull'importanza del contesto in cui crescono i figli. La durata non comune si sente solo nell'epilogo, quello sì tirato troppo per le lunghe.
Sovraesposto, caricaturale, schiavo di un'idea pedagogica utopistica la cui forza è puramente oppositiva, ma pronto ad accogliere il compromesso come presupposto all'inclusione sociale: se si abbandona l'ascia da guerra anti-sundance e si ricevono gli stilemi indie come una forma espressiva contemporanea, il film di Matt Ross accoglie la nostra emotività ponendosi al servizio dello spettatore e conducendolo ad una catarsi che esorcizza senza oltraggio dalle eredità genitoriali. Smagliante Mortensen: conferisce umanità ad un personaggio altrimenti destinato al macchiettismo.
Cacciatori autosufficienti, esperti di guerriglia boschiva, scalatori provetti, ma anche pozzi di scienza e sapienza, poliglotti, filosofi in erba: sono i sei figli scalari di un tardivo figlio dei fiori. Per fortuna, il quadro idilliaco mostra ad un certo punto qualche crepa, giusto il tempo per riprendere fiato, prima di immergersi nuovamente nella più convenzionale anticonvenzionalità, sia pure alleggerita da qualche compromesso. Sundance al 100%, con tutti i pregi ma anche tutti i difetti che ciò comporta, fatto per piacere al colto e all'inclita, un film più furbo che ispirato.
MEMORABILE: Irruzione in piena cerimonia funebre per sbandierare le ultime volontà della defunta (e poi stupisciti se Langella si incavola)
Una bella utopia, o “Un bellissimo errore”, a detta del protagonista. Ma come per tutte le utopie, la fragilità non tarderà a manifestarsi. E' anche una sorta di paradosso ("selvaggi" decisamente più colti e istruiti della media dei cosiddetti cittadini civilizzati). L'arroganza del protagonista nell'imporre il suo credo persino nella società è tangibile (questo può urtare) e non tutto funziona (si resta troppo in superficie). Una equa distribuzione delle colpe (padre non certo esente e civilizzati comunque brave persone) lo rende però più apprezzabile, anche se non completamente riuscito.
MEMORABILE: "Gesù...". "No, Pol Pot"; Insegnare a rubare non è mai giustificabile (se non altro, il nonno sottolinea); "Tu ci hai reso dei mostri".
Su un piatto della bilancia metterei il cast, ottimo (in primis Mortensen, una garanzia), la fotografia e una buona regia. Sull'altro invece una storia non propriamente originale e un sentimentalismo un po' forzato che pesano non poco sulla riuscita finale del film. In sintesi un buon impasto, con ottimi pasticceri, che però confezionano un'accattivante torta... stucchevole. Nonostante il film duri due ore scorre bene, è una storia utopistica dal finale credibile. Ma non memorabile, a mio avviso.
Tema della filosofia cinica, quello del contrasto tra physis (natura: condizione di vita elementare, riduzione dei bisogni, franchezza nell'esprimersi) e nomos (legge: consuetudine, regola, insieme dei valori acquisisiti da una comunità). Trasporlo negli Stati Uniti di oggi, attraverso le vicende di un padre vedovo con sei figli, non era facile. Intrigante per certi versi (sfondo ambientale, personalità alternative dei protagonisti, confronto con i parenti della moglie), accusa forzature nella sceneggiatura, approdando a una visione di compromesso.
L'ostentazione della ricchezza dei nonni (a cui noi tutti "civilizzati" siamo abituati e che consideriamo normale) ma anche tutto il sistema occidentale, si scontra con lo stile di vita della famiglia più che anticonformista di Ben. Matt Ross spinge eccessivamente sull'utopia di Ben, non si capisce se per creare una metafora che meglio faccia comprendere o per scopi meno nobili, legati unicamente al successo del suo lavoro. Il compromesso aggiusta frettolosamente il tutto, riconfermando l'importanza dell'unione della famiglia. Ben interpretato.
MEMORABILE: Steve, il legame tra foresta e civiltà; Steve senza ruote.
Una famiglia non tradizionale, guidata da un padre che può sembrare matto ma che in realtà si dimostra più di una volta il più sensato di tutti in un film piccolo, ma che coinvolge a livello emotivo fin dalle primissime scene grazie alla naturalezza dei dialoghi e alla semplicità della messa in scena. Mortensen perfettamente calato nella parte, ma anche il resto del cast è in parte, con menzione d'onore per lo stuolo di figli che accompagna il protagonista. Qualche momento morto c'è, ma il tutto è così sincero e armonioso da colpire. Notevole.
La scelta utopica e drastica di crescere i propri figli fuori dal cosiddetto mondo civilizzato, rifiutando i condizionamenti imposti dalle convenzioni sociali e dalla società dei consumi, è una efficace provocazione che induce a riflettere e a farsi domande impegnative sugli aspetti educativi. Film ben recitato, che sfrutta un'idea certamente non nuova ma la articola in modo originale grazie a una sceneggiatura che sa abilmente alternare momenti divertenti a situazioni istruttive e struggenti. Toccante.
MEMORABILE: "Sweet child o' mine" cantata e ballata durante la cremazione della madre.
Alla fine il racconto tiene, vuoi per la simpatia e le capacità espressive di piccoli e grandi protagonisti, vuoi per il modo caricaturale di raccontare le gesta del gruppo degli anticonvenzionali. Questo compensa quella incredulità che può derivare dalla contrapposizione tra l'ideologia freak sul piedistallo e il grezzo materialismo degli altri. Suoni e colori in tipico stile indie e abbastanza efficaci.
Affascinante storia di libertà e ribellione agli schemi della società odierna, che mette ancora una volta in luce le doti interpretative di un bravo Viggo Mortensen, ingiustamente ignorato da buona parte della critica. Romanzato sotto molti aspetti (quelli pratici della vita nella foresta non vengono ben descritti), il film porta in scena comunque un'interessante favola moderna sul concetto di libertà e sul conflitto tra quella personale e quella che coinvolge chi ci sta intorno e dipende da noi. Ben girato e scritto.
Ottimo film di Matt Ross che, con modesta semplicità, mette in scena una famiglia atipica capitanata dal meraviglioso Mortensen, padre idealista e anarchico/antisistema. Le scene migliori sono le esterne, in cui la lotta per la sopravvivenza del corpo fisico e lo sviluppo libero della mente e del pensiero trovano la massima espressione. Bravi tutti i ragazzini; così così il finale e alcune parti di sceneggiatura, ma il risultato finale è davvero sorprendente e inserisce il film di diritto tra i migliori dell'annata.
L'utopia di uno stato di natura e di un'educazione non istituzionalizzata - tra Rousseau e i nuovi figli dei fiori - fa da sfondo a questa storia "familiare" in cui si alternano attività fisiche, caccia, scalate e pillole di cultura politicizzata e radicale. Sarà un modello destinato a mostrare i propri limiti di fronte alle variabili e alla struttura della società. Storia astutamente sentimentale che sfuma sulle difficoltà per puntare sul folklore hippie colorato e on the road, per un finale politicamente corretto e moderato. Bravi Mortensen e "figli".
MEMORABILE: I sei figli eruditi ma inesperti del mondo; Il bus "Stewie"; L'esumazione della mamma e la fine delle ceneri.
Un'opera da Sundance più nelle tematiche che nella realizzazione (quest'ultima abbastanza canonica e spersonalizzata a dire il vero). Ci si esalta per la prova di Mortensen che riesce a rendere incredibilmente carismatico un personaggio che in mano ad altri poteva risultare altamente improbabile. La sceneggiatura, nonostante si poggi su dialoghi e situazioni che poco hanno a che fare con il reale e il quotidiano, ha il gran pregio di generare empatia con lo spettatore. Un'opera che intrattiene e che induce più di una riflessione sull'educazione e sulla genitorialità.
MEMORABILE: L'esperanto; Gli insegnamenti di Mortensen per sopravvivere in situazioni estreme; Il divario culturale fra cugini.
Un film autoreferenziale come i peggiori esempi di cinema indipendente. La storia è quella della famiglia di un figlio dei fiori fuori tempo massimo. Poco accattivante lui, davvero insopportabili i suoi figli, saccenti e saputelli. Il film puzza di falso e si intuisce la sua natura di prodotto costruito a tavolino. Alla fine si arriva a preferire la parte di famiglia per così dire "normale" che riesce in un'accoglienza, questa si sincera e spontanea a differenza del resto del film.
Into the wild incontra la coralità di Little miss Sunshine? Riduttivo ma ci restituisce quanto meno il tono. Captain Fantastic trasuda Sundance da tutti i pori ma lo fa bene, bilanciando le sue esagerazioni con dei contrappunti drammatici che lo rendono assai digeribile e lasciandosi andare a una serie di immagini deliziose e a qualche momento di poesia. Rimane un senso di fantastico che perdura oltre i titoli di coda.
Un hippy coltissimo e despota e i suoi sei figli addestrati e preparati come pochi, ma l'insidia può emergere dietro l'angolo. Una narrazione forse utopistica realizzata in maniera discreta anche se poco approfondita. Talvolta i giovani interpreti appaiono saccenti e antipatici, se paragonati alla semplicità dei loro coetanei. Bravo Mortensen, che regala un'intensa interpretazione.
A cavallo tra un hippie degli anni 60 e un moderno socialista libertario, Ben Cash riesce a vivere fuori dagli schemi con sei figli, addestrandoli alla cultura, al pensiero filosofico e alla resistenza fisica. Quello che fa grande questo film non sono solo la sceneggiatura alternativa e la grandissima performance di Mortensen; è la dolcezza con cui Ross riesce a raccontare una storia anche cruda, se vogliamo, riuscendo a trasformarla in una sorta di favola moderna. Regia quindi impeccabile con un cast giovanile di grandissima espressività.
MEMORABILE: I bambini interrogati sulla Carta dei Diritti; I "concerti" familiari.
Il padre fa crescere i figli nel corpo e nello spirito lontano dalla civiltà: sopravvivenza nella natura e cultura libresca, mix ideale ma solo apparentemente. Il film è un discorso (ma troppo superficiale) sulla forma migliore di educazione (in linea di principio o in rapporto alla dura realtà?) e sull’utopia sociale/politica del mondo perfetto, ma soprattutto sulla crisi di un uomo di fronte alla crescita dei figli e alla complessità di una realtà che voleva evitare. Passabile, ma l’ultima parte scivola nella caricatura. Occasione sprecata.
Fin dalla sua prima scena il film di Matt Ross sa come catturare l'interesse dello spettatore e va detto che nel suo insieme è un continuo alternarsi di emozioni, sia positive che negative. Una famiglia fuori dal tempo e dallo spazio, impensabile, quasi impossibile si può arrivare a dire, che però nella sua assurdità ha comunque un qualcosa di reale.
Una famiglia contesta la modernità vivendo nei boschi ma delle circostanze tragiche la obbliga ad affrontare la realtà. Film abbastanza ambiguo, in cui l'utopia si scontra con il "muro" della società che pretende che l'uomo si sottometta a tutti i doveri impostagli. Viggo Mortensen impersona un padre presuntuoso e al limite dell'arrogante in modo eccelso. Così così la colonna sonora.
Delizia più che convincere! Classico film che fa piacere vedere, soddisfacendo il nostro (superficiale!) spirito liberal ma con cui è necessario simpatizzare a prescindere e col quale, al contrario di quanto vorrebbe far credere, è complicato sviluppare un discorso dialettico per reticenza del pubblico di riferimento non meno che per scelta registica. Così questo Little mr Sunshine poggia eccessivamente sulle spalle "bigger than life" di Viggo Mortensen, eccellente (troppo) guida e vate di questa disfunzionale famiglia, fino ad avere coscienza dei suoi stessi limiti di padre padrone.
MEMORABILE: Frank Langella; La dichiarazione d'amore di Bo alla ragazza.
Padre e figli vanno al funerale della madre morta suicida. Quello che a prima vista sembra un confronto tra chi vive in modo anticonvenzionale e chi no, si limita solo al concetto di conformismo. La famiglia fuori dal mondo coi figli “filosofi” che cacciano a mani nude è esasperante. Molto meglio quando i dialoghi si consumano tra adulti che vivono in realtà diverse; quando la storia riguarda i ragazzi, le forzature sono eccessive. La presa di coscienza successiva abbassa i toni ma il prefinale sul bus è da ospedale psichiatrico collettivo.
MEMORABILE: Il furto al supermercato; Il saluto dei cuginetti col dito medio; La freccia lanciata in casa; La bara sul bus.
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