Dafne è una ragazza sbandata che finirà in carcere a causa del furto di un telefonino e dove sperimenterà cupamente tutta la sua solitudine. Una storia da "marciapiede" con alcuni vuoti narrativi che si attorciglia intorno alla figura della protagonista, vittima delle disattenzioni di tutti. Valerio Mastandrea qui sembra fuori fuoco e veicolato da una sorta di "pilota automatico" che dirige il tutto verso il niente. Acerbo ed empaticamente povero.
Come nel precedente Alì, Giovannesi pesca ancora nelle pieghe della delinquenza giovanile, stavolta nel disordine sociale di una ragazzina. Il carcere dà adito a momenti diretti e asciutti ma l'impronta è assente: poca cattiveria o un semplice passare del tempo, sfumato, che toglie ogni minimo pathos. La protagonista ha i modi corretti da piccolo ceffo eppure chi le recita intorno elimina anche la componente verace che sarebbe servita. Conclusione con un giudizio che resta come sospeso, ma senza significato.
Pellicola di formazione in cui si nota un discreto ma al tempo stesso scontato sviluppo narrativo che vede la nascita di un sentimento tra due ragazzi all'interno di un carcere minorile. Appropriati i due giovani protagonisti, ben coadiuvati da un buon Mastandrea. Interessanti le scene di vita carceraria tra screzi e scherzi.
Una vicenda carceraria non particolarmente originale fornisce a Claudio Giovannesi l'opportunità di realizzare un bel ritratto di una ragazza colta in un momento della crescita e della quale il regista riesce a cogliere le fragilità ambientali e legate all'età. Sebbene paghi una certa staticità di fondo, il film è meritorio nel trattare il tema sentimentale in modo pudico ed intenso nello stesso momento. Curiosa ed efficace la partecipazione di Valerio Mastandrea. Ottima la prova di Daphne Scoccia.
Ancora una volta Giovannesi dimostra di essere un regista poco capace di "sporcarsi le mani", come già successo con il precedente Alì ha gli occhi azzurri. E così rimane in superficie senza esplorare in maniera più approfondita la realtà di certe periferie e le conseguenze di certe azioni. Mery per sempre è lontano anni luce sia come prodotto che come tematiche trattate. E per quanto brava possa essere Daphne Scoccia, affiancata da un ottimo Mastandrea, la noia presto la fa da padrona e qualche diverbio "carcerario" non aiuta a uscire dal grigiore.
Potrebbe essere una tenera storia d’amore adolescenziale. Ma siamo in carcere. Minorile. Dove l’affetto è un’àncora per chi scalpita con i suoi giovani anni irrequieti. Ritratto di una ragazza d’oggi (eccellente attrice esordiente), la cui inquietudine, ribellione e solitudine rispondono più a una condizione generazionale che non alla marginalità sociale o alla detenzione (che comunque viene sottolineata efficacemente). Un film devoto al linguaggio dei Dardenne, ma che sa trovare spazi di originalità ed emozione.
Vite di ragazzi allo sbando raccontate con uno stile documentaristico impeccabile che però non coinvolge, anche perché la storia ruota principalmente attorno alla protagonista, mentre le vicende delle altre detenute sono appena abbozzate (così come le rispettive personalità). Rimangono da salvare comunque (a parte l'interessante ambientazione), il buon cast (particolarmente brava Daphe Scoccia) e un finale amaro che invita a un'attenta riflessione sull'incoercibilità della natura umana.
MEMORABILE: La rissa in bagno, Il ballo di Capodanno.
Claudio Giovannesi HA DIRETTO ANCHE...
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