Saulnier continua la sua personale (e viscerale) rivisitazione dei (de) generi, in
Blue ruin era il noir misto a revenge movie, quì il cinema d'assedio e della sopravvivenza.
Parecchi punti in comune tra le due opere (l'antieroe perdente e impacciato che si butta, suo malgrado, nella mischia di sangue, le opposte fazioni che si combattono in maniera feroce e ferina, le sparatorie splatter e quel mood primitivo e violento così para-peckinpahniano e dai riverberi rurali).
Rispetto a
Blue ruin (che era più autoriale e meno sfacciatamente di "genere") c'è più convenzionalità e un finale molto meno nero e pessimista, ma quel che conta è la tensione (che non manca assolutamente), la claustrofobia (l'angusto stanzino che da il titolo al film) e un'esplosione di violenza grafica davvero notevole tra mani spezzate a penzoloni, sventramenti al taglierino, gole squarciate, facce devastate a fucilate, ferocissimi pitbull che fanno a brani giugulari, colpi in arrivo devastanti e braccia fratturate.
Ma Saulnier non si trincera dietro lo splatter fine a sè stesso, perchè sa giostrare abilmente la suspence, non da un attimo di tregua e soprattutto i suoi neonazisti (capitanati da un luciferino Patrick Stewart, che sfoggia una finta diplomazia da antologia ) non sono solo ombre indefinite (come . per esempio, gli assalitori carpenteriani del
Distretto 13), ma un gruppo di esaltati non propriamente organizzati e soprattutto disagiati (la morte per overdose, guardando la tv in stato catatonico con il cucchiaio di minestrina colante in mano).
Notevoli le tinte autunnali e spoglie degli esterni (che mi hanno ricordato quelle decadenti e malinconiche un pò
I Ragazzi del fiume, e un pò
I guerrieri della palude silenziosa) e il gusto melomane del suo regista (qual'è la band o il/la cantante che ti porteresti sull'isola deserta? Senza dimenticare che Saulnier, da giovine, ha militato in una band punk, suonando in postacci non dissimili da quelli che si vedono nel film), nonchè quell'aurea settantiana senza speranza che già si respirava a pieni polmoni in
Blue ruin.
E tra un massacro e l'altro fanno capolino i due giovani skin gemelli che si accoltellano in stile
Scream, Pat che si rade come Tommy Jarvis nel quarto
Venerdì 13 e imbraccia il machete passando ad un goffo e isterico attacco, il girovagare, sulla strada, del pitbull che va ad accucciarsi sul cadavere del suo padrone e la resa dei conti finale/boschiva.
Non proprio simpaticissima la band musicale (da antologia il rovinoso debutto simil
The Blues Brothers sul palco, tra sputi e insulti da parte del manipolo di poco raffinate- e raccomandabili- teste rasate) e davvero degni di nota gli SXF gory "saviniani" di Mike Marino, alcuni di impressionante iperrealismo.
Sconta una chiusa più rassicurante e meno cinica del precedente (e ottimo) lavoro del regista, ma la defribillazione, la cattiveria e la bestialità umana colgono nel segno.
Sempre ottimo Macon Blair (con quella faccia un pò così, che non nasconde il suo disappunto sull'eccidio ordito dal suo capo), looser saulneriano per eccellenza.