Sadisterotica-L'estate torbida dello tio Jess
Franco torna sui passi di
Un caldo corpo di femmina, con la Romay che si aggira per tutto il film in uno stato allucinato tra il sogno e la veglia (splendida-anche se un pò più in "ciccia"-pedina usata come strumento di morte e di piacere), che , in trance, attraversa immensi giardini, ville esoticheggianti, cupe stanze oscure con vetrate ecclesiastiche, in campo lungo in una costruzione quasi argentiana , che avanza seducente verso la MDP.
Non per nulla si chiama Irina (mentre la Carriòn, sacerdotessa intrisa di sintomatico mistero, è Lorna, in un continuo rimando autocitazionistico franchiano, dove si raggiunge il culmine con la vestizione-marchio di fabbrica ritualistico del regista madrileno-della Romay seduta davanti allo specchio), che da "vampira" passa al ruolo di Cesare del
Gabinetto del dottor Caligari.
La Romay deliquia nuda a letto, freme, ansima, si contorce, sempre preda degli incubi lussuriosi orchestrati dal suo pigmalione
Succube di un marito che non la ama e che la usa per i suoi turpi scopi, mentre lei è disposta a fare tutto per lui (non dissimile dalla Martine de Bressac di
Sinfonia erotica, altro squisito eco franchiano)
Franco riutilizza anche pezzi dello score composto da Daniel White per
Un caldo corpo di femmina, e da
Un caldo corpo di femmina vengono anche eros e thanatos, l'accoppiamento prima della morte, e la figura irreale e trasognata della Romay, che appare alle sue vittime come una creatura onirica e carica di desiderio.
Pezzi jazz (la passione franchiana per antonomasia), la Romay che indossa la stessa vestaglia bianca di
Macumba Sexual, la Romay preda a crisi isteriche sul letto con le mani lorde di sangue chiusa in un body trasparente nero che ne accentua le abbondanti grazie
Sicaria mortifera in sandali d'orati con il tacco alto, vestita da deliziosa e succulenta mignotta franchiana (o nuda, a letto, con indosso zoccoloni neri a tacco 12), che appare e scompare davanti ad una vetrata di un hotel prima di carpire sessualmente (eppoi delittuosamente) il vecchiazzo, sgrana gli occhioni durante un blow job (questa volta simulato e parecchio softizzato, come quello fatto all'anziano jazzista, molto simile, come stile di ripresa a quello analogo di
Una spirale di nebbia), e si appoggia ad un tavolino con lo sguardo perso nel vuoto, mentre una musica ipnotica invade l'atmosfera.
Il sesso è meno incisivo rispetto ad altri prodotti franchiani (un principio di orgia nella stanza "psichedelica" dove si passano lo spinello un uomo e due donne, qualche stoccata lesbo tra la Romay, la Prìncipe e la Nieto), se non adirittura ammantato da squarci poetico/surrel/romantici (la scena d'amore contro la vetrata abbagliata da un bianco quasi celestiale che manco
Stridulum, mentre, fuori, un elicottero solca i cieli, per poi essere lordata con uno schizzo di sangue che ne imbratta la purezza). Da antologia le morbidose chiappone della Romay che si pressano contro la vetrata.
L'incipit con Irina chiaroveggente bendata nel locale, il libro con la copertina che raffigura una bocca da donna che tiene tra i denti un pugnale( una sequenza analoga verrà riproposta da Anthony Perkins, tre anni dopo, in
Psycho III) lo stesso pugnale esotico usato da Irina dopo gli amplessi per uccidere i suoi amanti occasionali, la Romay sotto la doccia che si lava via il sangue, i primi piani stretti sulla sua bocca e sul suo sguardo, una cacofonia di voci, suoni e rumori mentre si prodiga in amplessi ritualistici prima della morte dei partner.
Altro momento autoreferenziale franchiano (ancora debitore a
Un caldo corpo di femmina), e nella seducente sequenza di Lina Romay e il giovanotto (prossima vittima ventura) seduti ai tavolini di un bar deserto
Vedere la Romay nuda, sul lettone, che prende in mano il
Necronomicon non ha prezzo per i puristi dello tio Jess
Franco appare come ruolo dello psichiatra che ha in cura la Romay
Uno degli opus franchiani più sobri nella narrazione (alla fine i meccanismi thriller vengono rispettati), meno febbrile che in altri contesti, e tecnicamente ammirevole.
Peccato solo per il bruttissimo e sciapo finale, come se allo tio Jess, improvvisamente, fosse finita la pellicola.