“La Amistad” è la nave spagnola che trasporta un gruppo di schiavi neri lontano dall'Africa. Guidati da uno di loro, questi romperanno le catene e uccideranno i marinai. Ma non basta. La Marina americana li troverà e li condurrà nel Nuovo Continente in attesa di un processo. Ed è di questo processo che racconta il film di Spielberg, di questa importante svolta nella storia americana le cui conseguenze porteranno poi alla Guerra di Secessione. Siamo nel 1839 e se l'Inghilterra ha abolito la schiavitù, l’America ancora no. L'occasione per un profondo ripensamento la offre questo tormentato processo, che l'avvocato difensore (Matthew...Leggi tutto McConaughey) conduce veemente su incarico di Joadson (Morgan Freeman). I suoi difficili colloqui con Cinque (Djimon Hounsou), capo della ribellione che parla una lingua per lui incomprensibile, caratterizzano l'insolito rapporto avvocato-”cliente”, con quest'ultimo che ricorda attraverso un paio di flashback le disavventure che lo portarono con i suoi compagni sull’Amistad. Spielberg carica della massima drammaticità ogni fase del processo sfociando inevitabilmente in una retorica non sempre accettabile. Il suo film infatti (che sfiora le due ore e mezza!) risente di una pachidermica pesantezza a causa dell’esagerata descrittività di alcuni passaggi (soprattutto riguardanti il dramma interiore di Cinque/Hounsou) e della necessità costante di far intervenire l’interprete di colore spezzando l'immediatezza dei dialoghi. L'ultima parte, con l’intervento decisivo dell’ex presidente Adams (Anthony Hopkins) rilancia la difesa sostenuta nel primo processo caricandola di ulteriore retorica. Confezione di lusso, naturalmente, ma ambizioni che Spielberg non controlla. Tomas Milian è - irriconoscibile - l’ambasciatore spagnolo.
Simpatico ma un po' goffo tentativo di Spielberg di rinverdire, qualche anno dopo, i fasti di Schindler's list. Chiaramente utilizzando strumenti diversi, a eccezione dell'argomento (paragonabile come tragedia storica): il risultato è piuttosto scadente, si finisce spesso nella retorica spicciola e lo stesso accompagnamento musicale risulta parecchio banale. Di eccellente ci sono i costumi e le interpretazioni degli attori: Hopkins notevole, anche se troppo enfatizzato.
Amistad ha il merito di parlare di un episodio poco conosciuto della storia americana: la ribellione di un gruppo di schiavi deportati ed il conseguente processo che ne seguì danno al regista l'occasione per una veemente critica al sistema schiavista americano ma nel contempo (e non in contraddizione) questo film è un elogio al proprio paese che rigettò quello stesso sistema per instaurare (poco dopo) una moderna democrazia. Benché fatto con passione, il film ha il limite di un'eccessiva verbosità che lo rende lungo e difficile da seguire.
Dopo l'Olocausto, Spielberg affronta un altro "mare magnum", che è quello della schiavitù. Stavolta però il risultato è meno riuscito: troppo lungo e eccessivamente verboso, resta nella memoria solo la parte in cui vengono illustrate le condizioni in cui erano costretti a viaggiare gli schiavi. Naturalmente la confezione è impeccabile, ma non basta. Accettabile ma nulla più.
Spielberg come al solito gira un kolossal senza brio. C'e da dire che purtroppo Steven è un regista che molto spesso punta più sull'aspetto scenico che su quello dei contenuti e questo spesso è un male. Hopkins recita discretamente e anche Freeman se la cava, il resto del cast così così. In definitva modesto.
Pellicola coinvolgente e fascinosa, impreziosita da una fotografia a tratti plumbea. Particolarmente drammatiche risultano le sequenze relative alla deportazione di schiavi di colore e quelle inerenti la rivolta sulla nave, rivolta rappresentata con crudezza e verosimilitudine,con momenti strazianti che non lesinano immagini forti da digerire e nudi integrali. Imponente la messa in scena. Epico.
Dopo l'Olocausto, Spielberg tratta di un altro crimine contro l'umanità, ma il risultato non è all'altezza del precedente Schindler's List (sebbene gli argomenti siano diversi, è inevitabile fare paragoni). Eccessivamente lungo e verboso e non privo di retorica, Amistad mostra ancora una volta i difetti della produzione del celebre regista. Ma fra i pregi si possono annoverare una diretta rappresentazione della sofferenza (certi passaggi sono molto efficaci) e una visione non superficiale del rapporto fra la politica e il razzismo.
Le ambizioni di Spielberg guardano in alto e riallacciandosi ad un episodio realmente accaduto (quello della nave negriera spagnola Amistad) mette in scena un film che parla di schiavismo, razzismo e di agognata libertà. L'incipit è di quelli forti, con un ammutinamento a suo di urla e sangue. Ma col porsieguo degli accadimenti qualcosa comincia a mancare: il regista si adagia su sentieri innoqui già imboccati dal cinema hollywoodiano, dove pistolotti retorici tarpano le ali alla vicenda. Molto bravo Djimon Hounsou; anonimi Hopkins e Freeman.
Elogio di Spielberg al sistema giudiziario degli Stati Uniti del 1839 e di riflesso a quello attuale e di sempre. Film ricco di azione, azione cruenta e di forte realismo, ma è attraverso le parole (tante), i discorsi, la retorica e l'interpretazione della legge, influenzata pesantemente dalle ragioni di stato, che il film si esprime meglio: in nome della salvaguardia della libertà individuale è da accettare anche una guerra civile. Giusto non tradurre il linguaggio Mende per evidenziare come l'incomprensione sia il primo scoglio da superare.
Non male. Non siamo ai livelli di Schindler's list o L'impero del sole, ma Amistad risulta coinvolgente. Durata eccessiva e a tratti sembra che si perda il filo logico. Fra gli interpreti deludenti Matthew McConaughey e Stellan Skarsgard.
Una pellicola contro la schiavitù e pronta a esaltare il sistema giudiziario americano contrapposto allo schiavismo spagnolo. Una narrazione coinvolgente e drammatica che, nonostante la lunga durata, descrive bene la vicenda. Realistiche e disumane le condizioni degli schiavi africani. Cast imponente con un McConaughey in risalto. Interessanti i dialoghi.
In Amistad Spielberg conferma il suo indiscutibile talento nel realizzare scene di grande impatto emotivo mostrando a più riprese e con grande realismo le condizioni degli schiavi neri deportati in America. Allo stesso modo non smette di inciampare sul piano narrativo concedendosi il lusso di romanzare i fatti perdendo in verosimiglianza. Hopkins è eccellente nel caratterizzare il personaggio, ma nell’arringa sfianca ponendosi come bocca di una retorica faziosa in cui l’America esce comunque con le mani pulite dalla piaga della schiavitù.
Subito dopo Schindler's list Spielberg tratta un'altra enorme tragedia storica, con grandi volti e grandi personalità, giocando facile ma senza utilizzare trucchetti sporchi. Le sequenza a bordo e il crudele maltrattamento ricordato sono memorabili, mentre non possiedono lo stesso brio le scene in tribunale. Freeman è aggiunto solo come contorno e Hopkins è tirato fuori all'ultimo, asso nella manica, ma Spielberg se lo può permettere così come può permettersi di non scendere in sensazionalismi fastidiosi. Niente di eccezionale, ma valido.
MEMORABILE: La Bibbia spiegata (e prima capita) mediante i disegni.
Il film ha il gran merito di raccontare una vicenda più o meno sconosciuta, che fa apprezzare il sistema giuridico americano rispetto a quello delle nazioni europee dell'epoca (si pensi che siamo nel 1841!). E sì, Anthony Hopkins come al solito è bravo. Ma per il resto la noia la fa da padrona per tutta la lunghissima durata del film, la pesantezza è sovrana e si arriva alla fine del processo felici per il termine della sofferenza, più che per il verdetto.
Spielberg racconta un episodio interessante e da noi poco conosciuto; lo fa con la solita bravura nell'alternare immagini fortemente drammatiche e discorsi intrisi di retorica ma ficcanti. Nonostante una certa verbosità il film è riuscito, grazie anche alla splendida messa in scena, alle buone musiche di Williams e a una sceneggiatura che quando racconta solo visivamente non può fare a meno di commuovere e indignare lo spettatore. Ottimo il cast, in cui svetta il mimetico Hopkins.
Tra gli Spielberg "impegnati" uno dei migliori e sicuramente superiore a Lincoln. E' vero che il film è lungo e la vicenda giudiziaria complessa e ovviamente molto parlata (sicuramente più digeribile per un giurista), però risulta intercalata da momenti spettacolari (come il racconto della tratta degli schiavi) che tengono il ritmo alto. Anche le parti più verbose risultano coinvolgenti. Ottima colonna sonora. Grande cast in cui spiccano per bravura un magnifico Anthony Hopkins ma anche Hounsou, Postlethwaite e Hawthorne. Emozionante.
MEMORABILE: La tratta degli schiavi sulla nave; L'arringa finale di Hopkins.
Molto ben diretto con un grandioso Djimon Hounsou (una presenza cinematografica sensazionale che permea tutto il film), mentre Anthony Hopkins è un notevole John Quincy Adams. Il grande Steven Spielberg non evita gli orrori e alcuni di essi sono veramente strazianti. Un po' lungo, forse, visto che l'ultima parte del film si trascina a stento. In definitiva un film solido, sebbene non sia uno dei capolavori del regista.
Rudimenti di un vademecum su come non affrontare a livello narrativo un tema delicato e problematico come quello del sistema schiavistico in America: no alle divisioni manicheistiche tra protagonisti buoni e cattivi (qui abbondano), no alla retorica spicciola del pro e del contro (i dialoghi ne sono qui impregnati a livello quasi parodistico), no alla verbalizzazione continua e sfiancante di ogni nesso logico (tratto distintivo che giustifica la durata pachidermica). Poteva venire fuori un gran film: ad essere partorito è un mastodonte inoffensivo incapace di smuovere massa critica.
Cronaca giudiziaria dell’ammutinamento degli schiavi sulla nave del titolo. Discreta l’analisi del trasporto e delle condizioni in cui versavano gli oppressi, perde d’emotività la resa nelle aule di tribunale. Confusionarie le udienze con diverse parti che intervengono simultaneamente, pesante la visione nell'ultima parte per la lentezza narrativa. Anche il parallelo religioso tra la passione di Cristo e la condizione di prigionieri appare piuttosto forzato. Hopkins il migliore, gli altri sembrano in un film d’avventura.
MEMORABILE: Il dente di leone; Gli schiavi buttati a mare con le catene ai piedi; I segni delle catene sui polsi.
Film appartenente al filone impegnato nella filmografia del regista: ispirandosi a fatti storici, narra la rivolta degli schiavi a bordo di una nave negriera spagnola, la loro cattura e il conseguente processo in terra americana. Opera dagli intenti nobili, diretta ed interpretata con alta professionalità, anche se carente sotto il profilo della capacità di emozionare e coinvolgere: la rappresentazione delle condizioni in cui erano trasportati i prigionieri fa inorridire, ma l'estenuante parte processuale con le sue disquisizioni legali rischia di disperderne l'impatto emotivo.
MEMORABILE: Gettati in mare incatenati come merce di cui bisogna disfarsi.
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La pellicola è stata girata in varie lingue, con un conseguente sottotitolato, per rendere l'idea delle infinite incomprensioni tra popoli e culture diverse.
CuriositàDaniela • 3/02/16 09:41 Gran Burattinaio - 5927 interventi
Sceneggiatura ispirata al romanzo di Barbara Chase-Riboud "La rivolta della Amistad" incentrato sull'ammutinamento, avvenuto nel 1839, dei prigionieri africani stivati da commercianti schiavisti nella nave spagnola Amistad.
Una breve descrizione degli eventi si può leggere qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Amistad_(nave)