Quartier generale della più illuminata animazione sperimentale a venire (e non): BakshiEdelmannScarfe, ServaisPlympton e i più cruenti e scabrosi presagi di Urotsukidoji vorticano in un pastiche dai plurimi riferimenti pittorico-culturali (Klimt in testa), caratterizzato per più di metà da una spossante assenza di dynamia: ma laddove la movida è finalmente concessa, gli sprazzi figurativi lasciano stupefatti; tuttavia, malgrado impennate formali e deflagrazioni estetiche che fanno brillare il film di luce propria, una linea narrativa incapace di oltrepassare la tautologia lascia tutto al desio.
Stupefacente da un punto di vista stilistico e visivo, con tanti riferimenti pittorici (alcune di quali chiarissimi: Klimt) e con elementi che in futuro daranno spunto a più di una pellicola. Peccato non lo sia affatto sul piano narrativo: la storia, infatti, va avanti un po' troppo faticosamente tra pause e reiterazioni. Alla fine la sensazione è quella di aver assistito ad un film che sicuramente ha qualità, ma a cui manca più di qualcosa per stagliarsi pienamente nella memoria. Occasione mancata.
Un matrimonio tanto sognato ma mai realizzato (per un'ingiustizia perpetrata dalla collettività) squarcia Belladonna in due; una volta ricompostasi, la vendetta la possiede per intero. In un tripudio di colori, una donna dalle moltitudini forme, erotica ed eroica, capace di un'evoluzione direttamente proporzionale alla rabbia che cova in cuore, si muove in un mondo che pullula di demoni, dove non è facile distinguere tra bene e male. Graficamente sublime (la nuova versione restaurata è incredibile) e con musiche che arricchiscono l'esperienza.
Opera notevole, incredibilmente pervasa dallo spirito lisergico degli anni settanta, che celebra la figura della donna attraverso un'ambientazione medievale e senza tempo allo stesso momento. La sessualità e la psichedelia si fondono tramite un'animazione essenziale ma efficace, sorretta da una ottima colonna sonora. C'è ben poco da capire: tutta l'esperienza sta nell'immersione nelle atmosfere, un culmine delle quali si raggiunge durante l'unione della protagonista con il demonio.
Il disegno, rotto in bozzetti istantanei dal sapore di carbonchio, che esplodono in vertigini di colori e si asciugano in accostamenti di audace astrattismo; la musica, tra solidi groove prog-funk, stille acid jazz e melismi nipponici, persino oltre i migliori episodi della library italiana degli anni '70. E la storia? Un amore impossibile in un medioevo indefinito, frastagliato da fatti di sangue e tentazioni demoniache (e quindi fortemente erotiche). Basta poco per perdere il filo, ma è forse nel lasciarsi trasportare la chiave dell'opera.
Piccolo capolavoro dell'animazione nipponica, sperimentale attraverso l'impiego di tecniche fascinose e originali, femminista in modo costruttivo e stuzzicante (perdoniamo i didascalici fermoimmagine finali), traboccante intuizioni e con una OST da urlo, degna di essere ascoltata nelle migliori condizioni possibili. Avvalendosi di un soggetto tutto sommato esile, Yamamoto ci regala un fantasioso inno alla vita e a tutti i suoi piaceri, contro ogni oscurantismo, in cui a risultare osceno non è il sesso bensì la sua repressione.
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Facendo un po' di ricerche su Italia taglia mi è apparsa, con mia somma sorpresa, la scheda della versione italiana del film in questione, intitolato Belladonna.
Cercando ulteriori informazioni ho scoperto che su internet qualcuno si era già occupato, con un accurato lavoro sulle fonti, di Belladonna in Italia. Riporto qui il link dell'ottimo articolo in questione.