Ennesimo CoenBrothers-Movie caratterizzato dallo stile di sceneggiatura tipico dei due fratelli registi. I personaggi sono alcuni di contorno altri pronti ad esntrare invece di prepotenza nella storia lasciando il segno e andando poi a "morire" chissà dove. Uno spaccato di vita del disgraziato Davis, che tenta la carriera da solista in un susseguirsi di vicende raccontate in maniera realistica, prive di speranza e con un tipico non-finale. Non male le tracce che accompagnano il film.
MEMORABILE: Il viaggio in macchina a Chicago con un sosia di James Dean e John Goodman nei panni di un arrogante drogato; Davis offende la vecchia che si esibisce.
La galleria di perdenti dei Coen, si arricchisce di un altro
personaggio riuscito e malinconico, splendidamente incarnato
da Isaac. Il film avanza spedito ed agile accumulando tanta amarezza che viene stemperata, o forse accresciuta, da un umorismo tagliente e sarcastico che si rivela riuscito. Il tutto contrappuntato da molta (bella) musica folk: chiaramente chi non ama il genere non so quanto gradirà . Molto divertente
il personaggio di John Goodman. Sicuramente buono e forse anche qualcosa in più.
Un buon film dove regia, direzione degli attori e fotografia sono di ottimo livello ma il grado di coinvolgimento non sempre è quello che ti aspetti, lasciandoti con la sensazione di qualcosa di incompiuto. Buffo, scorbutico, tormentato il personaggio (ottimamente) interpretato da Isaac, al centro di una girandola di eventi al limite del grottesco. Alla fine il nostro (anti)eroe capirà che questo mondo non è fatto per lui: pochi apprezzano veramente la sua anima musicale e qualcuno nemmeno il suo nome, come nell'esilarante dialogo con Goodman.
MEMORABILE: Lo sfogo a tavola e la scoperta che il gatto... manca di qualcosa.
Il talento cristallino dei Coen sembra essersi definitivamente smarrito, principalmente per quanto riguarda il processo creativo, mai così banale nel costrutto narrativo - con piccole sottotrame accennate e mai portate a pieno compimento. Mancano lo smalto nei dialoghi (ad eccezione giusto giusto di due o tre battute) e la genialità nelle situazioni. Basta vedere il personaggio di Goodman per capire la pochezza del tutto: tanto inutile e petulante qui quanto fottutamente geniale in Il grande Lebowski. Di notevole c'è solo la fotografia del talentuoso Delbonnel.
Un uomo, la sua musica, che non lo porta da nessuna parte e il resto del genere umano, che sfrutta per avere quantomeno un giaciglio; il tutto intervallato da più di un gatto. Se da un simile soggetto si riesce a tirar fuori una pellicola che bene o male funziona, non è poco. E bisogna dire che i Coen, in parte, ci sono riusciti, grazie soprattutto a un protagonista convincente nella sua rabbiosa passività artistica e ad alcuni personaggi di contorno piuttosto interessanti, su tutti Goodman, che riesce a rianimare un percorso filmico che si stava ingrigendo più del dovuto. Non male.
MEMORABILE: Le sparate di Goodman; La canzone che canta all'impresario, che sentenzierà "Non ci vedo soldi".
Mezza delusione l’approccio dei Coen nelle pieghe newyorchesi del folk del ‘61, dove il protagonista non buca lo schermo e la sua ellissi chiude stancamente. Un insieme di microsventure o situazioni che implodono una a una lasciando poche tracce (a parte Goodman) e dove si avverte che manca qualcosa in più occasioni. Buona la regia nei primi piani ma senza particolari acuti e fotografia che ne è la parte migliore. Timberlake a suo agio.
Uno dei film meno riusciti dei Fratelli Coen, funziona poco per più di un motivo. Volutamente minimalista e inutilmente citazionista (il gatto che sfugge come a Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany proprio nel 1961 in cui si svolgono i fatti), la vicenda è appiattita da una quasi totale mancanza di profondità degli altri personaggi, da una ricostruzione che non ridona quello che presumo sia stato lo spirito del tempo nel Village a momenti macchiettistici - su tutti l'orribile cameo di Goodman - senza reale incisività . No good!
Llewyn Davis è un perdente, uno dei tanti nella nutrita galleria dei Cohen; personaggio riuscito, finanche sgradevole nella sua supponenza, ma comunque ammirevole nella testardaggine che lo accompagna. Film ellittico nella struttura, difetta però nella sceneggiatura, che dopo un avvio frizzante si perde per strada culminando nell'incontro con il fin troppo sopra le righe e inutile personaggio di Goodman, stramboide creatura tipicamente coheniana. Malinconico e azzeccato l'onnipresente tappeto musicale, seppur innestato in un'opera non del tutto riuscita.
Siamo al Village nel 1961 e i fratelli Coen, aiutati da una fotografia bellissima anche se nella penombra dei locali notturni, raccontano la storia di un cantante folk che potrebbe farcela o forse no, uno che viene definito al termine di un provino "uno da seconda fila". Potrebbe sembrare che a questo bel film minimale manchi qualcosa, invece è nella vita di Llewyn Davis che qualcosa manca, gira in tondo, fa autostop, si sposta in metro da un divano all'altro, è stanco, sempre un po' stupito e assonnato.
MEMORABILE: La canzone incisa con l'amico Mike; Ovviamente il gatto e il viaggio in metropolitana secondo il suo punto di vista.
Malinconica e intimista odissea di un Ulisse randagio, cantautore e uomo deluso, cinico e illuso, fermo sui propri ideali a costo di affogare nell’egoismo, nell’incapacità d’intraprendere relazioni umane, nello spauracchio di rimanere per sempre un perdente. Lavoro di cesello per i Coen dove surreale e grottesco plasmano i toni di questo viaggio nell’America degli anni ’60, pittoricamente fotografata, in cui solo la musica sembra dare un senso all’errare perpetuo di un individuo in fondo già consapevole del suo oscuro e circolare destino.
Llewyn Davis è un aspirante musicista nella New York anni 60. La vita è dura e si tira avanti a fatica: personaggio puramente coeniano quindi. La sua storia prosegue inesorabilmente in una difficile scalata al successo. Uno dei lavori più riusciti dei due fratelli, probabilmente per l'intimità della pellicola, che rende ancor di più se si apprezza il genere folk o comunque il mondo che ne fa parte. Isaac perfetto nel suo ruolo, costantemente in un limbo di solitudine e di disillusione. Fotografia cupa azzeccata.
Un Ulisse che in fondo ritrova la propria itaca (se tale può essere considerata la strada, la città , un insieme di divani su cui dormire, un mood), al pari dell'omonimo micio, compagno di sventura. Un tema caro ai Coen, già esplorato in Fratello dove sei?, non a caso altro film musicale. Qui a farla letteralmente da padrona è la struggente voce folk di Oscar Isaac, che ci fornisce interpretazioni di ben altro livello rispetto a quelle dei coprotagonisti ben più baciati dalla dea bendata. È un film un po' senza ossa, uno di quelli che trasmettono un sentire, più che raccontare. Persino il grottesco e l'assurdo sono un po' ai margini; qua e là in qualche battuta sporadica ma soprattutto nell'apertura e nella chiosa.
Viaggio nel mondo della musica folk, nell'America anni '60. Un cantante perdente in tutto fa un viaggio da New York e Chicago per cercare un ingaggio, ma non ci riesce e torna a fare la vita di prima. Elogio della musica folk americana, con tanti pezzi cantati dal protagonista. La musica folk, come quella country, non è il mio genere, però in questo film ci sono diversi momenti surreali, a cominciare dalla sottotrama del gatto, che danno davvero sapore. Fra le tre comparsate di Goodman, Timberlake e Abraham, ho apprezzato sopratutto la prima.
Due ore di folk anni '60 metterebbero a dura prova la pazienza della stragrande maggioranza della platea; va ricordato che in cabina di regia siedono i Coen, vati sacrali della transustanziazione. Presto fatto, Davis incarna iconicamente e da precursore l'insoddisfazione per eccellenza, weltanschauung opprimente dell'odierno, all'inseguimento di un'irragiungibile stella cometa di appagamento sensoriale. Da segnalare l'inconfondibile fotografia di Delbonnel e un finale che ricorda molto quello di A serious man nella nefasta e ciclica essenza. ***1/2
Ramingo e concentrico. Sincero pellegrinaggio di un loser, tipica figura spesso rimbalzante nella filmografia dei terribili fratelli. Per dirla un po' banalmente, una summa del loro modo di far cinema. Centro nevralgico ed esorcizzante dell'operazione è ancora una volta - e in maniera inequivocabile - la musica (splendida). Bravissimo Oscar Isaac; per quanto riguarda Goodman, inutile sprecare elogi (anche se il suo personaggio è piuttosto evanescente). Il gatto fuggiasco e il disco, visto l'anno (1961), potrebbe essere un omaggio a Colazione da Tiffany.
Per forza, avendolo visto di recente, devo pensare a Fratello dove sei? Se non altro per la musica, per il gatto Ulisse e per la ricerca di Davis (non della casa, anche se ne avrebbe bisogno, ma di se stesso). Al contrario del citato lavoro dei Coen, qui permane un freddo, non solo atmosferico, che non riesce a suscitare nessun tipo di emozione, nemmeno di tipo rabbioso, ma solo noia. Come osservare una scultura e apprezzarne le tecniche di lavorazione ma rimanere freddi come il pezzo di metallo usato. Evoluzione artistica dei fratelli?
MEMORABILE: La strettoia finale del corridoio che porta all'appartamento della ragazza.
Cantante folk di scarso successo e ancor più scarse prospettive, senza contratto, senza letto, senza cappotto, Davis non ha una casa in cui tornare, a differenza del gatto Ulisse, e la sua è una Odissea minimalista circolare fatta di incontri casuali e occasioni perdute. Film sommesso e malinconico, a cui la bellissima fotografia dona un certo fascino, anche se la sceneggiatura sfilacciata lo rende poco incisivo. Se Isaac ha uno sguardo intenso che gli consente di sostenere i frequenti primi piani, fra i personaggi di contorno risalta Goodman, coeniano anche quanto dorme.
MEMORABILE: David chiude la portiera dell'auto in faccia al gatto, così, dopo aver inseguito la fortuna, la respinge e poi la mette pure sotto le scarpe (ruote)
Siamo sul versante più intimista della produzione Coen, che predilige il flusso emozionale al cristallizzarsi delle forme, stempera le iperboli grottesche nell'accurata ricostruzione d'ambiente, lasciando forse inappagati i sostenitori del loro virtuosismo più intenso. Totalmente immerso nel languore della musica folk, il film disegna un'ellissi narrativa, si perde nelle traiettorie del passato, nei corridoi angusti, riaffiora sulla strada per restituire indizi, brandelli di autenticità , trasformando l'odissea introspettiva di un outsider nel clima culturale di un'epoca. Isaac convincente.
L'abilità ultima dei Coen sta tutta in una "classicità " che pure, come capita in questa occasione al contrario che in A serious man o Burn after reading, riesce a smarcarsi dalle convenzioni cinefile in virtù d'un disincanto pervasivo e soggiogante. Così qui la "rilettura" del Village degli anni '60 è sì mitica ma pure soavemente crudele, come il Destino che avversa lo Schlemiel Llewyn (Isaac di eccezionale intensità emotiva). Film che proprio dal suo apparente non saper dove andar a parare trae linfa, personaggi, storie, insomma il suo fragile carisma.
MEMORABILE: Il gatto "scambiato"; Carey Mulligan perennemente incazzata con Llewyn; Il musicista Goodman che si ferma in ogni wc on the road per drogarsi.
Sympathy for the Davis: suonare e/o essere suonati, imbracciare uno strumento o farsi strumentalizzare, note musicali o demeritorie sul registro: così è la vita del musico che prima di affiorare deve lottare contro l’embolia. Per i Coen il cinema è parente stretto dei principi fondanti la bellezza secondo gli Egizi, e il loro faraone è un Oscar Isaac avente Keaton codificato nei geni, che stando a un nomen et cognomen omen di coestensiva reciprocità , elargisce un sacrificio interpretativo da premio. Goodman sull'orlo del paranormale. Da ascrivere ai più pregiati regalia mai donatici dai F.lli.
Elogio (?) dell'elusione dalle responsabilità : non solo Llewyn Davis incarna tutte le caratteristiche e le paturnie del loser a stelle e strisce, ma non fa nemmeno nulla per nasconderlo, ripercorrendo all'infinito un'esistenza ricorsiva (un traccheggiare verso Itaca senza un approdo definitivo) che lo intrappola fra una scazzottata al pub, una strimpellata di canzoni altrui, un'evasione disperata dal padre (con cui non riesce a comunicare) e dai figli (illegittimi, abortiti, non riconosciuti). Film di rara, lucida, splendida amarezza.
MEMORABILE: La O.S.T., meraviglia delle meraviglie.
Ispirato alla biografia del cantautore folk Dave Van Ronk, è un tipico film alla Coen per regia, tipologia dei personaggi e soprattutto per fotografia. La pellicola ha momenti di grande interesse, specie per gli amanti della musica folk americana. Però il tutto, per quanto interessante, non scorre benissimo, ha diversi momenti morti e alcune ripetizioni fini a se stesse. Un'operazione non totalmente riuscita, manca qualcosa. Ottima la colonna sonora. Vedibile, ma occhio alla delusione.
Puro cinema coeniano, con una trama molto esile tutta atta a seguire il protagonista nel suo peregrinare di divano in divano, ma dalla sceneggiatura fortissima che alterna dialoghi sagaci a situazioni decisamente amare. Molto bravo Isaac, supportato da una schiera di interpreti ben scelti tra cui uno spassoso Goodman (sue le scene migliori). Il folk si addice al tutto, con la sua malinconia insita, e fa da vero e proprio co-protagonista. Notevole.
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DiscussioneBrainiac • 23/05/14 18:09 Call center Davinotti - 1465 interventi
Didda23 ebbe a dire: In realtà proprio non lo sopporto e da un lato spero non faccia successo, perchè al solo pensiero di vederlo all'opera in altri film mi viene l'orticaria..hai la (comprensibile giusta e da un certo punto di vista tenera) sicurezza tipica dei vent'anni-something, ma oh, nella vita si cambia d'opinione a volte in un zap. Here's my esempio: Martin Freeman. La prima volta che l'ho visto (in Guida galattica-nda) non potevo soffrirlo. Rivisto in Sherlock ho detto "però". Ora ho appena finito di spizzarmi (ironia del caso) la serie tv di Fargo. Bene, nell'Annus Domini 2014 per me Martin Freeman è il migliore attore del mondo per distacco: ha una gamma di espressioni facciali da far spavento. Nel frattempo sono passati 10 anni dal film di Garth Jennings, magari nel 2024 Oscaruccio "cane-bastonato" Isaac sarà nella top-five dei tuoi attori del cuore. :-)
DiscussioneDidda23 • 23/05/14 19:07 Contatti col mondo - 5798 interventi
Guarda è più probabile che tu possa cambiare opinione su Sorrentino. Magari venti e qualcosa...
DiscussioneBrainiac • 23/05/14 19:27 Call center Davinotti - 1465 interventi
Didda23 ebbe a dire: Guarda è più probabile che tu possa cambiare opinione su Sorrentino C'è un limite a tutto, anche anche per i matusa come me.
Brainiac ebbe a dire: hai la (comprensibile giusta e da un certo punto di vista tenera) sicurezza tipica dei vent'anni-something, ma oh, nella vita si cambia d'opinione a volte in un zap.
Sottoscrivo quello che ha scritto il mio "beniamino/fratellino". Vedi il sottoscritto col dossier remake
DiscussioneBrainiac • 24/05/14 08:54 Call center Davinotti - 1465 interventi
Zender ebbe a dire: Beh, penso sia più facile cambiare opinione su un regista come Sorrentino che su un attore...Attendiamo quindi anche il prossimo step evolutivo di Brainiac, che giustamente con l'età sta cominciando a capire l'importanza dell'assunto declamato a gran voce dal celebre filosofo in mutandoni, padre spirituale di tutti noi veri matusa certificati dall'anagrafe: "Se io posso cambiare, e voi potete cambiare... tutto il mondo può cambiare!" Mah, che le devo dire, Padre Darwin, qualora il Sorrentino mi azzeccasse un film su misura sarei più uno da:
"Quindici anni fa
avevo un'altra religiositÃ
pensavo che la gente
non ci capisse niente
in tutto quello che facevo
in tutto quello che pensavo
poi ho incontrato te...".
(un Gambardello d'oro a chi indovina per primo la facilissima fonte della mia ipotetica-futura Paenitentiae).
DiscussioneZender • 24/05/14 09:00 Capo scrivano - 47730 interventi
Purtroppo con internet questi indovinelli non han più senso... E l'alba dell'evoluzione diventa chiara come la luce della nostra stella. Parola di Padre Darwin. Non so se il Gambardello lo si consegna anche a chi ammette di aver barato :)
DiscussioneBrainiac • 24/05/14 09:22 Call center Davinotti - 1465 interventi
Zender ebbe a dire: il Gambardello lo si consegna anche a chi ammette di aver barato :) Solo a chi bara, lo si consegna. Agli altri verrà somministrato un pippotto di 2 h e mezza sui seguent argomenti:
1) quanto fa schifo Roma.
2) quanto sono coatte le feste di Roma.
3) quanto è bello essere il fulcro di feste che sono coatte in una città che fa schifo.
4) quanto fanno pena i salottieri della Roma-bene, i coatti della Roma-borgatara, gli artisti criptico-intellettualoidi.
5) quanto è bello frequentare i salotti della Roma-bene, come è bello far l'amore con le borgatare, com'è bello rimpinzare il proprio film di sequenze criptico-intellettualoidi.
Brainiac ebbe a dire: Zender ebbe a dire: Il cinema ha anche altre esigenze, e Lebowski aveva un gusto per la battuta sì, infatti, proprio questa ricerca me l'ha sempre fatto poco digerire. Lo trovo un personaggio "piacione" e "ggiovane", proprio nel suo essere all'apparenza anti/ modaiolo e freak. Davis invece è proprio un poveraccio: senza appeal per le etichette discografiche, antipatico persino ad amici e familiari (colleziona sputi, cazzotti e figuracce). Mai benvoluto traballa fra divani inospitali e gatti prestati. E' l'essenza del Perdente con la pi maiuscola. Il finale antispettacolare, poi, mi ha trafitto il cuore. Un consiglio per chi non l'ha apprezzato: date a Llewyn Davis una seconda chance!
double high five bro!! ma io direi anche una terza, quarta e quinta...