Nella Londra del 1875 un uomo dall'aria eccentrica (Carlini) se ne sta seduto in una taverna a bruciare metodicamente le banconote che tiene in mano, attirando l'attenzione di chi lo osserva. Pare non gli interessi nulla di di ciò che lo circonda, al di fuori forse di una ragazza che lo guarda dalla finestra e sulla quale gli avventori cominciano a fantasticare. E' l'incipit curioso di uno sceneggiato in due parti (l'insieme non raggiunge tuttavia nemmeno l'ora e mezza) che però, nella sua prima fase, si perde in feste e bevute di gruppo che continueranno a lungo non lasciando affatto immaginare la piega molto seriosa che prenderanno in seguito gli avvenimenti....Leggi tutto E' in scene di gruppo di questo genere, con Carlini decisamente troppo sopra le righe a caricare d'enfasi teatrale ogni gesto, che si evidenzia quanto l'opera sia datata, difficile da digerire ai giorni nostri almeno per buona parte della prima puntata. D'accordo, l'origine è il celeberrimo racconto di Robert Louis Stevenson che non troppo poteva offrire sulla lunga durata, ma è l'approccio esageratamente sopra le righe del cast in questi frangenti a rendere poco sopportabile le fasi che precedono l'ingresso nel club del titolo. Da lì in avanti per fortuna l'atmosfera gioiosa, le danze e le celebrazioni si arresteranno come d'incanto per immergerci finalmente nel clima ambiguo, “folle” dello sceneggiato. Lord Nevil (Cortese) e il suo amico accedono al club entrando in contatto col Presidente (Bianchi), che prima stizzito poi più complice spiegherà non tanto le regole per partecipare al grande gioco quanto cosa accade a chi si sottrae agli obblighi sottoscritti. Entrando, in poche parole, si accetta il fatto che il nome del club non sia stato scelto scherzosamente ma perché i partecipanti sanno che la loro vita potrà finire da un momento all'altro. E anzi, come spiegherà a Nevil un altro socio, è proprio la paura l'unico sentimento forte, sublime, non certo l'amore. La paura che il destino attraverso il gioco scelga te consegnandoti a una sorte infelice. E' questo che il film cerca di comunicare, la tensione durante la partita a carte riuniti al tavolo sapendo che in palio c'è molto di più di una semplice vittoria. Intorno al lento scoprirsi delle carte ruota di fatto l'intera storia, che per il resto prosegue tratteggiando con buon gusto (e calcando la mano sulla comunque ottima performance teatrale di Cortese e Bianchi o sull'eccellente cameo di Romolo Costa) la strana mescolanza di terrore, angoscia e passione che occupa la mente dei soci del club. Non può esserci vera plausibilità nell'atteggiamento di chiunque accetti regole simili, ma è proprio la finzione dello schermo (e della pagina scritta, nel caso di Stevenson) a offrire una prospettiva diversa, una visione surreale che si carica passo dopo passo di simbolismi e metafore; senza che però questo riesca a tradursi in qualcosa di davvero godibile, se non a tratti e in qualche fase effettivamente di buona efficacia, in cui l'atmosfera gravida di tensione e mistero anticipa i grandi sceneggiati Rai che verranno.
I vagiti natali di colei che diverrà presto mamma-Rai non si sono ancora estinti quando, nel 1957, Giacomo Vaccari dirige questo essenziale, intenso e inquietante adattamento televisivo di un celebre racconto breve di Robert Louis Stevenson. Sono gli albori dell'indimenticabile era dello sceneggiato-Rai in b/n di cui "Il club dei suicidi" porta, in modo specchiato, tutti i requisiti peculiari più intriganti: matrice teatrale supportata da interpreti di severa estrazione attoriale, intensità espressiva tutt'uno col narrato, atmosfera distillata.
MEMORABILE: Il giro serale delle carte; Il presidente del club che dà le spalle ai suoi nuovi aspiranti soci, sibilando alla loro baldanza fatali parole.
Il racconto di Stevenson sul club dove aspiranti ma pavidi suicidi attendono la morte per mano altrui è immerso in un’atmosfera di sospensione e inquietudine, morbosa e straniata, gravida di una tensione sostenuta dall’incalzante roulette russa del destino. Interpreti eccellenti e una grande e matura regia (di Vaccari, neanche trentenne!) risucchiano il telespettatore in un indimenticabile incubo che trascende l’occorrenza noir per sfiorare l’horror e planare su un esistenzialismo allusivo. Ancora notevole dopo decenni.
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Che non se ne trovi traccia su IMDB, che tuttavia di Giacomo Vaccari riporta varie cose, passi. Mi pare però piuttosto curioso non rilevare l' opera nella sezione sceneggiati del sito dedicato alle teche-rai (molto ben fatta e precisa anche nel riportare le date delle varie messe in onda).
Clamorosa svista o effetto di un criterio che a me sfugge?
DiscussioneZender • 24/05/13 08:27 Capo scrivano - 47782 interventi
Semplice svista direi...
PS Ducaspezzi: posso chiederti anche nei commenti di NON mettere lo spazio tra l'apostrofo e la lettera successiva? Cioè "l'opera" e non "l' opera". Grazie.
Senz'altro Zend, ok!
In effetti ho sempre adottato ovunque lo spazio dopo l'apostrofo per una convinzione grammaticale che invece, grazie al tuo spunto, ho scoperto essere inesatta. Tra l'altro, era anche più scomodo!
P.S.: su tre apostrofi presenti in questo commento, avevo messo lo spazio sugli ultimi due dopo che ero partito alla grande! L'abitudine è una rogna (anche su questo ultimo avevo cileccato, eheheheheeheh).
DiscussioneZender • 25/05/13 16:27 Capo scrivano - 47782 interventi
Come sempre da noi conta la buona fede. Se hai recepito e concordi va benissimo, che poi ogni tanto scappi per abitudine non è un problema...