Ispirato alla storia vera del giornalista-scrittore Mark O’brien affetto da poliomelite dalla tenera età di 6 anni, il film di Lewin è un sensibile approccio verso la malattia e le conseguenti privazioni-pulsioni che essa può scaturire. La sessualità surrogata, unico modo per evadere assaporandola candidamente come un bambino che per la prima volta assaggia una caramella. Non mancano scelte facili e conciliatorie, nonché un certo buonismo di fondo. Ma la scrittura è pulita, umilmente toccante e poetica, gli interpreti in gamba; su tutti Hawkes.
Una storia tutto sommato semplice ma non proprio comune e che si prestava a grossolane chiavi di lettura, visto che combina sesso e disabilità. Il merito degli autori è avere invece trattato il tema col giusto tatto e aver dato così modo ad Hawkes e alla Hunt di sfoderare una prestazione fuori dal comune, lasciando lo spettatore con la sensazione di essersi goduto il classico piccolo grande film.
Non è semplice entrare in sintonia con The sessions, prima di tutto perché l'approccio alla "finzione" cinematografica non esiste; c'è un racconto documentale, la cronaca delle conseguenze della scelta di perdere la verginità per un tetraplegico prigioniero di un polmone d'acciaio, senza "cinema", senza regia cinematografica, un semplice racconto; altro problema è Helen Hunt, coraggiosissima nel donarsi completamente a un personaggio, purtroppo costruito. Se si riesce a guardare al di là il film apre il cuore, senza pietismi o ricatti morali.
Il senso di delicatezza è la base di tutta la sceneggiatura, che si avvale di un narrato elegante che rimanda sentimenti di coraggio e non sfocia nella compassione. Hawkes si aiuta con lo sguardo e la voce e anche il contorno attoriale è sopra la media. Il palleggio tra il sacro (inteso come istituzione Chiesa) e gli appuntamenti sessuali, lascia scorrere gli eventi senza sussulti, fino a sublimare il canto di un corpo fatto di mattoni.
Sono molte le riflessioni sul sesso, sull'amore, sulle relazioni sentimentali, sulle religioni, che questo film, tratto da una storia vera, porta in superficie. Certo approfitta di una situazione molto speciale, ma è proprio questa eccezionalità che permette di rivedere in modo meno scontato, addirittura di riscoprire un argomento sul quale si pensava di sapere tutto e di aver visto tutto. A questo proposito basta la scena con il curioso portiere del motel che non sa di cosa si parla quando sente parlare di raggiungere l'orgasmo contemporaneamente.
I film sulla disabilità sono un terreno minato, figuriamoci se si abbina il tema del sesso e quello della religione. La particolarità di The sessions è il tono naturale e poco compassionevole della narrazione, almeno nel senso tradizionale del termine, nonché la capacità di avere evitato la retorica dell'invalido, spesso pescata a piene mani dal cinema. Straordinaria a questo proposito la naturalezza e la bravura dei due attori protagonisti (senza dimenticare il grande Macy). Il risultato è un film che è insieme godibile e fonte di riflessione.
In fase di scrittura si è compiuto un piccolo miracolo, perché fondere con così tanta eleganza e naturalezza "sesso e disabilità" non era compito facile. Gran parte della buona riuscita della pellicola va data al regista, che dirige con convinzione un gran cast d'attori: la Hunt mai così in forma, Hawkes strepitoso nell'uso della voce e Macy gustosissimo nei panni del prete progressista. Nonostante la tematica "pesante" il film risulta leggero, ma non superficiale. Ironico e intelligente.
Il film ti rapisce e ti coinvolge sin da subito. La curiosità e la stranezza della situazione fanno sì che l'interesse, che in un primo momento sembra quasi morboso, si trasformi per empatia nei confronti del protagonista. Non c'è più un uomo sofferente di fronte a noi ma tutta una serie di emozioni struggenti che lasciano il segno. Bello e intenso.
Un film di notevole impatto che affronta delicatamente i temi della disabilità e soprattutto della sessualità. Non divertente come il francese Quasi amici, che del resto non si spingeva così in là, ma certamente di grande portata nel coraggio e nella riflessione che suscita nello spettatore. Bravi i protagonisti Hawkes e Hunt, interessante specialmente il ruolo di quest'ultima per quanto non se ne intuisca fino a fondo l'interiorità. Alcuni limiti nella sceneggiatura come ad esempio l'insistenza monotona dei colloqui col prete. Comunque un bel film.
Un poeta tetraplegico e il suo incontro con il sesso a circa trentotto anni. Una narrazione delicata e toccante che senza facili pietismi centra il bersaglio. Perfetti Hawkes e la Hunt che si mostra splendidamente nuda. Tutto lo svolgimento appare veritiero e culmina con una bella poesia.
Patetico e indelicato. The sessions è un film che vorrebbe raccontare con la massima sensibilità la sessualità delle persone disabili ma che non convince. Al di la dell'apprezzabile originalità dell'argomento trattato rimane ben poco: battute scontate e scene di intimità gratuite e inopportune. Qualche sorriso lo riescono fortunatamente a strappare il prete William H. Macy e il simpatico portiere del motel.
Tetraplegico dall'infanzia e costretto a vivere quasi sempre in un polmone d'acciaio, alla soglia dei 40 anni il protagonista vuol perdere la veriginità e per questo si rivolge ad una specialista... Accoppiata a forte rischio quella tra handicap e sessualità, soprattutto se entra in ballo anche la religione, qui rappresentata da un prete comprensivo interpretato da Macy, ma il film di Ben Lewin, ispirato ad una commovente vicenda reale, schiva le trappole del patetico grazie al tono pudico condito da un'inaspettata dose di umorismo e alla prova particolarmente ispirata degli interpreti.
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