La "Causa" è il metodo; una cura d'avanguardia che il lungimirante Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman) sperimenta soprattutto sul volonteroso Freddie (Joaquin Phoenix), ex ufficiale della marina la cui stabilità psichica lascia alquanto a desiderare. Il film descrive il confronto tra i due, confuso tra ripetute ellissi, intensi primi piani che sfruttano la grandiosa espressività e presenza scenica dei due protagonisti, azioni talvolta imprevedibili e un gioco di azioni e reazioni che dovrebbe sostenere le oltre due ore di durata. Meglio usare il condizionale per l'appunto, perché all'atto pratico il rischio è quello di ritrovarsi disorientati tra ambienti e sequenze la cui funzione troppe volte...Leggi tutto sembra quella di fungere da fragile sottofondo a dialoghi artatamente ricercati e al contrario privi di vera sostanza, come se per esplicitare concetti semplici si optasse sempre per la via più tortuosa. Ogni scena ad effetto, perdipiù inserita in un contesto scenografico indubbiamente di qualità (impeccabile la ricostruzione storica), si perde con pericolosa regolarità nell'oleosa inconsistenza di quella successiva, dimezzandone l'impatto senza mai dimostrare di poterne valorizzare l'efficacia con la sintesi. L'inserimento di una quantità di eccentricità la cui utilità pare quantomeno dubbia porta poi a far dubitare dell'onestà stessa dell'operazione, manierata nella costruzione al punto da far perdere di vista quello che vuol essere il messaggio. Il fascino dato dall'abilità registica di Anderson, l'indubitabile ricchezza tecnico/estetica di alcune scene colpisce e stupisce, ma non è sufficiente a dare sostanza, a riempire le falle di una sceneggiatura autocompiacente che si crogiola nella frammentarietà, e il film finisce con lo sfinire lo spettatore che non riesca ad entrare (chissà, forse colpevolmente) nei meccanismi di Anderson (non a caso autore unico anche dello script). Davvero troppo dispersivo, The master a causa di ciò stimola involontariamente a una disattenzione destinata col trascorrere dei minuti a concretizzarsi in crescente disaffezione a storia e personaggi, privati dello spessore necessario a sostenere un film impostato in questo modo.
Spiazzante è l'aggettivo più azzeccato per l'ultima fatica di Anderson. Ti aspetti un film e te ne serve un altro, in cui si dimostra regista di razza affrontando le sue tematiche preferite: la solitudine, gli aspetti più ambigui, neri e deviati dell'animo umano. Lo fa a suo modo, a tratti in maniera criptica e, in apparenza, quasi incompiuta. Ma si sente che il film vale molto. Perfetta la confezione che permette di ricostruire in modo molto curato i Cinquanta. Superbo Seymour Hoffman, cui tengono benissimo testa Phoenix e la Adams. Vista la complessità, andrebbe visto un paio di volte.
Uno di quei film che ti si attorcigliano addosso, quasi soffocandoti, come un serpente costrittore. Ne avverti il contenuto e apprezzi le performance dei protagonisti. Ma ben presto ne senti il peso e ti ritrovi in debito di ossigeno. Questo perchè non è un percorso mirato, con uno scopo. E' un incontro-scontro tra un fulminato, più alcol che uomo, che vive di istinto animalesco e colui che ricerca una verità superiore, che colleghi passato e presente, dando un senso al tutto, o almeno, illudendosi. Monolitico, ripetitivo, frustrante, ma riuscito, grazie a un finale che non concede nulla.
MEMORABILE: Le multidomande senza batter ciglio; Il protagonista, incalzato sul perchè del nuovo punto di vista nel libro, perde le staffe (si rivela un bluff).
Master of Ceremony, serpi in seno a una società ingenua, allo sbando. Lo sfondo famelico della congrega ipnotico-religiosa è l’assunto di partenza per raccontare due derive Genitore/figlio-maestro/discepolo vicine ma parallele. Le cavità della mente per fare i conti col proprio Io, per scindere il Bene e il Male da chi il Bene e il Male lo predica e diffonde. Ma è nell’instabilità dell’uomo che si cela il vero coraggio? E’ nella fragilità dell’animo che si indebolisce l’illusione di un presente sereno, alimentando un tragico e solitario futuro?
MEMORABILE: Il primo interrogatorio; In carcere...; Il finale.
Film ottimo sotto molti aspetti, a cominciare dalla mostruosa recitazione di Joaquin Phoenix, in trip da Actor's Studios, ma complesso e ostico per i tempi dilatati, lo sguardo profondo nel disagio dei protagonisti, di cui non vengono risparmiate le abiezioni, la visione deprimente di una società dai rapporti umani conflittuali e irrisolti che cerca sempre un'ancora fuori da sé per non affondare dopo una lunga e dolorosa deriva. Bello il gioco di specchi fra opposti estremismi: maestro e allievo esistono uno in funzione dell'altro. Da vedere.
MEMORABILE: La lunga sequenza in cui Joaquin Phoenix si sottopone al primo trattamento e risponde a tutte le domande senza mai chiudere gli occhi.
Anderson critica apertamente le istituzioni di fanta-religione e lo fa con questo film colmo di significati: la dialettica sottomissione/dominazione, i rapporti di sudditanza psicologica immersi in una ricostruzione storica ad hoc e in una confezione limpida. Anderson ci mostra luci e ombre di un personaggio (Phoenix, bravissimo) a metà strada tra redenzione e dipendenza. Straniante e per certi versi ridondante nella sua lunghezza, arriva e colpisce da lontano e forse in questo senso non si compie al 100%. Comunque ottimo film con ottimi attori.
La cornice c'è, il quadro pure: quello che manca è la pittura. Il film di Anderson è buono dal punto di vista estetico, ma assolutamente inconsistente da quello narrativo. Infatti le promesse della prima parte della pellicola, che tutto sommato, scorre abbastanza bene, non vengono rispettate nella seconda, che si perde in scene e dialoghi inutili e noiosissimi. Inoltre la durata del film (137'), a mio avviso eccessiva, appesantisce il tutto. Una nota lieta: le interpretazioni di Phoenix e Hoffman.
MEMORABILE: Phoenix che parla con un solo lato della bocca e picchia chiunque esprima giudizi negativi sulla "Causa".
Francamente sfiancante: Anderson ci fa piombare in un infinito colloquio tra vittima e carnefice da cui si esce con le ossa rotte; i due protagonisti sono troppo gigioni per non sembrare artefatti. Resta un'indubbia capacità nella ricostruzione dei costumi e gusto nell’arricchire di nuance poetico-pittoriche le scene, ma non basta per dare ricchezza alla pellicola. Il tema è banale solo che è furbamente presentato con meccanismi artificiosi. Si potevano esprimere questi ed altri concetti senza stancare e mortificare lo spettatore.
Il dispotismo spirituale americano che svezza pargoli e discepoli, incarnazioni del fallimento dei padri-mentori. L'incoerenza sintomatologica del disorientamento sociale; la dittatura dell'anima e la sua ribellione. Ancora alle prese con i torbidi della collettività americana, Anderson dipana un'altra storia senza donne, in cui il femmineo è alieno e remoto, come il sentimento di appartenenza. Regia d'ineccepibile, rinnovato classicismo; rapporto tra musica e immagini esemplare; interpreti stratosferici. Ma l'accesso è eventuale, e non era davvero necessario arrivare a 144 minuti. Ombelicale.
Protagonisti eccellenti: la loro capacità di immedesimazione nei rispettivi ruoli è totale e sorprendente. Il rapporto tra il reduce di guerra, folle, violento e votato all'autodistruzione e il fanatico capo di una setta che lo vorrebbe, a suo modo, curare, è indecifrabile, sfugge ad ogni comprensione logica. Entrambi esprimono un profondo disagio e rimangono irreparabilmente avvinti, divenendo dipendenti uno dell'altro. Lento, richiede una discreta dose di vocazione al sacrificio da parte dello spettatore che ne rimane, comunque, lontano.
Continua l'analisi di Anderson delle Cause, dei Fini, delle Dinamiche dell'americano nel racconto di questi individui. Due uomini (interpretati da due grandi attori) violenti, incoscienti, affamati e in preda a deliri che si aggirano nell'America più bella e affascinante del nostro immaginario. Il regista vuole impegnare lo spettatore: montaggio e inquadrature criptiche, errori quasi premeditati (la scena onirica su tutti), significati che si rincorrono (troppo). Un ottimo film della nuova (?) Hollywood.
MEMORABILE: Il fantoccio matriarcale di sabbia abbracciato dal protagonista: un'immagine archetipica da cui iniziare una possibile, se possibile, interpretazione.
Non un brutto film, ma lungo, pesante, ripetitivo e zeppo di scene del tutto inessenziali. Ci si può aggrappare alla buona confezione, alle ottime interpretazioni (anche se Phoenix vitocorleoneggia un po' troppo) e a qualche finezza psicologica, ma ci vuole ben altro per far decollare un film che sembra risvegliarsi solo quando cambia direzione (l'imbarco, la svolta "ipnotica" ecc) e che pone tanti interrogativi senza rendersi conto che, quando il coinvolgimento manca, non tutti sono disposti a cimentarsi in riflessioni. Da non sopravvalutare.
Anderson costruisce una faraonica sovrastruttura che funge da mero elemento narrativo per sviscerare le verità assolute e pessimistiche della condizione umana: in effetti dipingendo due personalità complementari una l'evoluzione dell'altra il regista americano non fa altro che declinare la solitudine e la necessità di colmare i vuoti dell'esistenza. Forma di gran classe nella quale c'è un predominio netto di primi piani dal gusto molto classicheggiante. Non del tutto riuscito per colpa di una sceneggiatura non immediata. Notevole!
Credo non sia difficile capire essere un film dove tecniche e interpretazioni sono ad alti livelli. Ciò che lascia perplessi è il perchè guastare quanto detto con una sceneggiatura così smaccatamente (e volutamente) contorta e spiazzante fino al punto di innervosire. Forse l'intenzione non è quella di sondare la psiche di Freddie (Joaquin Phoenix), ma quella dello spettatore. Un commento sentito durante l'intervallo è stato: "Di semi ne sono stati gettati molti, speriamo si raccolga qualcosa". Solo alcune belle scene, da trailer, sono il raccolto.
MEMORABILE: Le volate in moto nel deserto; Il finale, finalmente liberatorio e sincero.
Una fotografia superba e una grande prova attoriale (a partire da un memorabile Phoenix) caratterizzano un film che denuncia più di una pausa e che pare non concretizzare il grande sforzo di raffigurazione e di indagine fatto da Anderson sui rapporti di dipendenza umana, sul conflitto interiore, sull'ipocrisia, sugli istinti animali. Sforzo portato avanti con un taglio meno dinamico e più teatrale che in altre occasioni. In parte The master delude, va detto, ma avercene di delusioni così.
MEMORABILE: Freddie che davanti alle macchie di Rorschach non riesce a vedere altro che simboli sessuali; La sfida: "Se chiudi gli occhi riparti da zero".
Il film, nella sua glacialità, si snoda in questo rapporto discepolo-maestro con livelli ben distinti: da una parte la possibilità finalmente di evolvere, di emancipare o semplicemente di crescere e diventare altro da ciò che si è stati, dall'altra lo studio di una personalità difficile, complessa, anarchica, ribelle, scontrosa, ma naturalmente fragile e indifesa. Il tutto giocato fra le imponenti interpretazioni di Joaquin Phoenix, tutta fisica e irruente e di Philip Seymour Hoffman, tutta intellettuale, sottile, vibrante.
Anderson dimostra di saper girare anche se stavolta la cura nei dettagli lo porta ad avere un approccio piatto e sequenziale che non stupisce. La musica di corredo annoia e il doppiaggio è monocorde. Certamente Phoenix (il migliore) e Hoffman danno una buona prova e la fotografia rimanda al tempo passato. Seconda parte che si sfilaccia ma, in definitiva, l’approccio psicologico non cattura mai.
Fondamentalmente, non si può sperare di poter costruire un film interamente sull'innata capacità istrionica degli attori che vi recitano. È il caso dei mostri sacri Hoffman e Phoenix, qui all'apice della maestosità, nei confronti dei quali Anderson tenta di modellare la fuffa: gli assunti totalmente disattesi in un brodo riscaldato. Quel che rimane è la classe registica che dona invidiabili perle di cinema riassumibili in talune sedute ipnotiche (la prima, quella sulla nave, è davvero sublime). Come lanciare un salame in un corridoio vuoto... **
Anderson è un ottimo regista e non evita di farlo notare con questa ennesima opera drammatica e misteriosa. Il problema principale del film è che si vuole fare portatore di una tematica forse troppo pesante, tanto da far calare inesorabilmente l'attenzione dello spettatore soprattutto nella parte che divide la metà dal finale. Ciononostante è forte di un cast meraviglioso (Phoenix e Hoffman), di una regia che sa il fatto suo e di una fotografia che appaga l'occhio. Notevoli alcune scene.
Imperfetto e troppo enfatico per essere coinvolgente, The master è la documentazione all'ennesima potenza dei rapporti maestro e allievo o se preferiamo tra manipolatore e plagiato. Tecnicamente superbo (fotografia, ambientazione e interpretazioni sono da manuale), risulta nello stesso tempo narrativamente contorto e spiazzante, tanto da richiedere probabilmente più visoni per essere compreso a fondo.
Anderson continua il processo di (c)astrazione filmica che già ne Il petroliere si era prepotentemente affacciato nel suo orizzonte autoriale. Il rischio più grande, corso peraltro con indubbia consapevolezza artistica, è ridurre il rapporto maieutico tra Seymour Hoffman e River Phoenix, come il dialogo tra regista e spettatore, a un alienante terapia claustrofobica nella quale trovano spazio quasi essenzialmente spunti extra-filmici. Operazione ambiziosa ma troppo in fieri per potersi dir riuscita. Di tangibile carisma i due protagonisti e Amy Adams.
Spiazzante nel soggetto: si parla di una setta, ma non è una stigmatizzazione delle sette come preannunciato. Spiazzante nello svolgimento: per tutta la durata, tende la corda del rapporto fra i due uomini - il reduce alcolizzato allo sbando, il "maestro" manipolatore - fino ad un punto di rottura violenta, ma poi percorre altre strade, più difficili perché aperte al dubbio, nell'incertezza di un futuro non scritto. Visione impegnativa, può risultare frustrante, ma stimola la riflessione e conferma la statura autoriale del regista, oltre alla straordinaria bravura dei due protagonisti.
MEMORABILE: Le due sequenze, in apertura e in chiusura, con Joaquin Phoenix accanto ad una figura di donna modellata con la sabbia
Quel che poteva diventare un facile e semplicistico pamphlet contro guru alla Hubbard o psicomaghi alla Jodorowsky, diventa nelle mani di Anderson materia narrativa di rara infiammabilità, un tornare a far di conto sulla Solitudine cosmica che prende fuoco in continui giochi di leve attoriali tra un Phoenix vero master che sprigiona intensità radioattiva a ogni primo piano e un Hoffman solo apparentemente dimesso. D'intorno è la raffinatezza figurativa a farla da monarca, con una mdp usata come un pennello impressionista, capace di far diventare quanto accalappia amniosi o vastità del vuoto.
MEMORABILE: La donna di sabbia; I numerosi aplomb dall'alto.
Il guru e il caratteriale: accoppiata esplosiva per le possibilità narrative e cinematografiche. Il film sfrutta bene i due eccellenti protagonisti, dando loro libero sfogo in lunghe sessioni di primissimi piani. Meno bene sul fronte della storia che, in buona sostanza, non evolve mai ma si contorce, finendo col fornirci due maschere potenti ma inossidabili. Il fulcro vero sta semmai nelle profonde relazioni impalpabili dell'attrazione, che trascendono il tema delle sette per approdare a quello della misteriosa complessità dei rapporti umani.
Un reduce di guerra alcolista e con problemi psicologici incontra il capo di una setta con quale si instaura un rapporto di dipendenza. Un film complesso e coraggioso, al limite del claustrofobico, che esplora gli abissi dell'animo umano. Confezione curata, ma si arriva alla fine un po' stremati. Grande recitazione della coppia Phoenix-Seymour Hoffman.
Con il padre scomparso e la madre in manicomio, la rete di rapporti sociali del marinaio Freddie Quell si regge sulle dipendenze: dall'alcol e dagli intrugli chimici, dal sesso, dalla giovanissima fidanzata Doris, dalla poliforme personalità del capo di una setta mentalista. Non è il migliore film di Anderson, ma è unico il taglio che viene dato al rapporto di amore-odio tra Hoffman e Phoenix: un gioco di sguardi, battute, detti e non detti, in un diapason che va dalla fedeltà canina all'assoluta nemesi, verso un'impossibile libertà. Ambizioso.
MEMORABILE: Le esplorazioni parapsicologiche cui Hoffman sottopone Phoenix: andrebbero viste in originale, non fosse altro per il fantastico scontro di accenti.
Raramente nel cinema film lenti, freddi e monotoni si sono fatti apprezzare come The Master di Paul T. Anderson. Storia impegnativa, che non ha una vera e propria evoluzione col passare dei minuti (almeno fino al finale) ma solo conferme sul rapporto tra i due protagonisti, interpretati eccezionalmente da Joaquim Phoenix e Philip S. Hoffman, che fanno a gara a chi è più bravo.
Non è un boccone da mandar giù tutto insieme perché si rischia di rimanere disorientati dalla complessità che si nasconde dietro il muro verbale contro il quale ci si imbatte. Un santone e uno scapestrato, con le cicatrici di un’esistenza ostica, sembrano ergersi a figure diegetiche destinate a incontrarsi. Necessità di predisposizione, onde evitare di trovarlo sfibrante, in quanto non risulta sempre facile contestualizzare ogni sfumatura o passaggio. Phoenix è sbalorditivo nel trasmettere il tormento psicologico del suo personaggio con un’interpretazione a dir poco magistrale.
MEMORABILE: "E se trovi il modo di vivere senza servire un maestro allora vieni qui a raccontarcelo perché saresti la prima persona nella storia del mondo".
Per inserire un commento devi loggarti. Se non hai accesso al sito è necessario prima effettuare l'iscrizione.
In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.
DISCUSSIONE GENERALE:
Per discutere di un film presente nel database come in un normale forum.
HOMEVIDEO (CUT/UNCUT):
Per discutere delle uscite in homevideo e delle possibili diverse versioni di un film.
CURIOSITÀ:
Se vuoi aggiungere una curiosità, postala in Discussione generale. Se è completa di fonte (quando necessario) verrà spostata in Curiosità.
MUSICA:
Per discutere della colonna sonora e delle musiche di un film.
DiscussioneZender • 21/02/13 18:23 Capo scrivano - 47698 interventi
Sai, come sempre le emozioni sono la cosa più soggettiva che esista. Nemmeno a me devo dire ha smosso un grammo di emozione (con tutto che non mi sarei sognato di uscire da una sala, mi ci devono portar via i carabinieri prima che una cosa simile accada), per cui mancando quella...
Devi tener conto che non è che in sala ci va solo chi conosce i registi o chi si informa preventivamente dalle fonti giuste... E aggiunto a questo, c'è chi magari apprezza Anderson e può ugualmente trovare questo film mortalmente noioso, perché nessuno va a vedere un film sapendo esattamente ciò che lo aspetta. E siccome in fondo uscire dalla sala non è finora reato non mi stupirei troppo che ciò sia avvenuto, solo questo volevo dire.
HomevideoDidda23 • 28/04/13 23:37 Contatti col mondo - 5798 interventi
In dvd e blu-ray per la lucky red disponibile dal 4/06/2013
Se mai avessi il coraggio di rivederlo potrei anche alzare il mio voto oltre le due palle.
DiscussioneDaniela • 12/02/14 12:13 Gran Burattinaio - 5925 interventi
"il coraggio"? Capperi, Galbo, ma è così noioso? Sai l'ho messo in programma nell'ambito della retrospettiva casalinga dedicata a Hoffman, così mi spaventi...
Se è davvero noioso, devo star attenta a non vederlo insieme al marito, già mi si addormenta nel mezzo degli action più scatenati, non vorrei mi entrasse in coma con questo ;oP
Daniela ebbe a dire: "il coraggio"? Capperi, Galbo, ma è così noioso? Sai l'ho messo in programma nell'ambito della retrospettiva casalinga dedicata a Hoffman, così mi spaventi...
Se è davvero noioso, devo star attenta a non vederlo insieme al marito, già mi si addormenta nel mezzo degli action più scatenati, non vorrei mi entrasse in coma con questo ;oP
Se tuo marito tende all'abbiocco, con questo non c'è storia, scommetto nell'addormentamento entro i primi 30 minuti. Diciamo che il film manca del dono della sintesi......
DiscussioneDaniela • 12/02/14 12:55 Gran Burattinaio - 5925 interventi
Farò tesoro del consiglio e riserverò The Master alla visione in compagnia del solo figlio contestatore... :o)
DiscussioneDidda23 • 12/02/14 13:50 Contatti col mondo - 5798 interventi
Daniela, io l'ho visto al cinema con la mia ragazza e lei dopo 20 minuti ha iniziato ad infastidirsi e voleva mollare.
come si evince dai commenti è un film che ha diviso e l'unica cosa che ti posso consigliare e di vederlo solo se hai una gran voglia di immergerti nel mondo di Anderson.
L'opera è molto ambiziosa e va seguita con attenzione ed ha spunti interessanti. Certo che due ore e passa possono risultare pesanti.
La forma è elegantissima e certe inquadrature raggiungono la perfezione. Gli attori sono veramente in parte, soprattutto Hoffman.
Tutto ciò per dire che se decidi di vederlo, sperando in un intrattenimento leggero e fruibile opta per quacosa di diverso, altrimenti c'è il rischio che tu non lo possa godere appieno.
Non è immediato e fruibile come Magnolia e il Petroliere, ma ne vale la pena.
DiscussioneDaniela • 12/02/14 15:27 Gran Burattinaio - 5925 interventi
Lo vedrò certamente, ma ho capito dai vostri commenti che ci vuole la serata e la compagnia adatte...
Didda23 ebbe a dire: Daniela, io l'ho visto al cinema con la mia ragazza e lei dopo 20 minuti ha iniziato ad infastidirsi e voleva mollare.
come si evince dai commenti è un film che ha diviso e l'unica cosa che ti posso consigliare e di vederlo solo se hai una gran voglia di immergerti nel mondo di Anderson.
L'opera è molto ambiziosa e va seguita con attenzione ed ha spunti interessanti. Certo che due ore e passa possono risultare pesanti.
La forma è elegantissima e certe inquadrature raggiungono la perfezione. Gli attori sono veramente in parte, soprattutto Hoffman.
Tutto ciò per dire che se decidi di vederlo, sperando in un intrattenimento leggero e fruibile opta per quacosa di diverso, altrimenti c'è il rischio che tu non lo possa godere appieno.
Non è immediato e fruibile come Magnolia e il Petroliere, ma ne vale la pena.
sicuramente la "forma" del film è di ottimo livello. Personalmente contesto l'idea che i "contenuti" debbano sposarsi alla "barbosità", i grandi cineasti riescono a mio parere a coniugare impegno e fruibilità ma questo è appunto una caratteristica dei grandi; in questo caso Anderson a mio modesto parere non ha trovato la quadra come direbbe Bossi. Il film andrebbe visto a mio parere più di una volta ma per adesso non me la sento di cimentarmi.....
DiscussioneRaremirko • 12/07/19 23:25 Call center Davinotti - 3862 interventi