L'Italia che morì due volte, fingendo di vivere, tirando a scampare a se stessa. Ciprì matura una visione del mondo se possibile ancor più avvilita e apocalittica di quella, tutto sommato comica, di zii e totò, lascia ogni speranza entrando nelle ulcerate viscere di una Sicilia leucemica, non concede mezzo millimetro di spiraglio e di appiglio a chicchessia, rifiuta di fare l'analogico verso satirico alla contemporaneità, ci lascia col facio rictus di chi ha riso della propria morte, fotografa il tetro col tetro, lascia l'italia agli itagliani, fa del grande Servillo un polarizzato papposileno.
Graditissima sorpresa filmica in cui Ciprì (già bravo altrove) mostra una grande spigliatezza tecnica e narrativa. Dirige con stile (e "fotografa" al solito con pregevoli risultati) e sa passare disinvoltamente da un registro all'altro. A dominare su tutto è una comicità nera e al vetriolo. Sembra di essere dinanzi a una vera, vecchia commedia all'italiana. C'è anche una discreta galleria di mostri (nell'animo e nel fisico). Ottimo tutto il cast. Uno dei film più neri e cattivi del cinema italiano (degli ultimi tempi e non solo), con un finale agghiacciante. Spietatamente "naturalistico".
Il protagonista assoluto è Ciprì: regia con ottimi spunti e fotografia da cartolina senza tempo regalano un girato apocalittico contornato da un'umanità da brivido. Servillo è bravo ma con qualche sbavatura nelle accentuate movenze. La trama gira bene a parte qualche piccolo incespicamento narrativo (tra cui l'episodio dell'usura, non resa bene nel suo sviluppo, e le riprese girate alla Posta, un livello sotto).
Mai dare retta alle apperenze... specie quando si guarda un film come questo. Molte perplessità nella pima ventina di minuti, poi siparte e lo spettatore non puó far altro che lasciarsi incantare da questo sottobosco lercio. Bisogna ammettere che Toni Servillo é davvero molto bravo, cosi come tutto il cast del resto, in cui spicca in un cameo il grande Martino Meuli. Grandissimo il tragico finalone a sorpesa. Certo le perplessità dei primi minuti non rendono questo film un capolavoro, ma va visto!
Quando il film entra nella sua fase pregnante, con tutta la famiglia attorno al tavolo dove troneggiano i soldi, gli agognati soldi, allora colpisce duro, allora fa veramente male, quasi da non sostenerne la visione. E' come guardarsi allo specchio: c'è un pezzetto di ognuno di noi in ciò che riflette, bisogna ammetterlo. Non è il danaro che alimenta il male nel mondo, ma è l'uso che se ne fa. Un cast notevole, una fotografia e una scenografia che diventa personaggio, permettono di sorvolare su qualche momento blando. Superbe le presenze femminili.
MEMORABILE: La nonna (Aurora Quattrocchi) e la madre (Giselda Volodi) nel finale.
Una storia di degrado e morte in una Sicilia (in realtà il film è girato in Puglia) non certo turistica, raccontata con gli usuali toni tra il grottesco e il drammatico, da un Daniele Ciprì in gran forma. Lo stile surreale ne accentua paradossalmente la veridicità e il tema riporta alle antiche storie di destini atavici, dove alla norma pubblica si sostituisce la legge privata.
Tragicommedia per la serie "ricchi, ricchissimi...magari...praticamente in mutande", che può contare su attori in parte e sulla giusta ambientazione (si tira a campare dove il lavoro non piove certo dal cielo e ignoranza e vecchi codici soffocano tutto). Ben resa la principale caratteristica (vivere di espedienti, aggrappandosi a qualunque cosa, anche ai fatti più tragici, per ricavarne un profitto, o trovare la conveniente via d'uscita). Qualche rallentamento c'è e non tutto è all'altezza delle aspettative, ma nel complesso è una pellicola riuscita e qua e là sinistramente graffiante.
MEMORABILE: "Ma mai c'è stu caz d'avvocato! Stu cornuto!"; Lo strozzino che cambia aspetto; L'arrivo della Mercedes (viene benedetta); La nonna prende le redini.
Una disgrazia può rivelarsi una fortuna, una fortuna può rivelarsi una disgrazia. Una famiglia di poveracci annusa un'improvvida ricchezza quando la figlia minore resta uccisa in un regolamento di conti mafioso, ma... Commedia nerissima, ilare e feroce, in cui un campionario lombrosiano di personaggi si muove in paesaggi metafisici fra lo squallore e l'anonimato, illuminati da una luce di accecante nettezza. Nel cast, oltre al bravo Servillo, restano impresse la faccia stralunata di Castro e quella di Quattrocchi, nonna a cui il calcolo asciuga in fretta le lacrime. Originale.
MEMORABILE: Persi in un labirinto di cemento, alla ricerca della casa dell'usuraio
Tra grottesco e buffoneria Ciprì conduce il disegno di questa famiglia nelle piaghe di una realtà che si dimena fra povertà, mafia e disperazione; nessuno può emergere quale martire, tutti sono vittime e carnefici del proprio destino: il capo famiglia che perde tragicamente una figlia ma guadagna una Mercedes, suo figlio inetto e influenzabile causa di tutta la precarietà di queste esistenze, la nonna, la figura più terrificante ma l'unico scoglio al quale aggrapparsi per poi ricominciare a nuotare in questo mare di disperazione.
Una bellissima fotografia che ha il merito di conferire personalità, ma senza togliere squallore, a questo ritratto di famiglia tormentata e tormentosa, afflitta da una serie di eventi sfortunati ma capace di tutto per andarseli a cercare. Gioca con stile grottesco e senso dell'ineluttabile Ciprì e riesce a lasciare il segno, pur con qualche pausa narrativa o vezzo poco utile. Servillo e compagnia si muovono bene in un contesto che sembra quasi concepito da un autore di favole nere anglosassoni.
Racconto di ordinaria miseria (ambientato in Sicilia, ma collocabile facilmente in un posto qualsiasi del sud Italia), realizzato da Ciprì in modo totalmente conforme al suo stile. Si rischia l'effetto "macchietta" in parte evitato da un racconto tutto sommato misurato, che ruota intorno alla pura sopravvivenza dei protagonisti. L'automobile è il simbolo del falso riscatto e come tale strumento di rovina e perdizione. Convincente la prova del cast, con il solito ottimo Toni Servillo.
Nessuna pietà per gli "ultimi": osservate con il distacco dell'entomologo, attraverso le lenti di un microscopio che ne enfatizza i tratti mostruosi, le classi subalterne ed emarginate sono connotate da una inesorabile commistione di arretratezza, grettezza. Altro che "poveri ma belli" e nemmeno "brutti, sporchi e cattivi": solo ripugnanti. Puro cinema della crudeltà; gli uomini (e le donne) fanno schifo e la povertà non è una attenuante, né tantomeno apre le porte della salvezza.
Grande e piacevole sorpresa questo film di Daniele Ciprì (senza Maresco). Commedia nerissima con molta carne al fuoco (dai problemi famigliari a quelli sul lavoro passando per la mafia, la povertà, gli usurai e il lusso) gestita benissimo e in maniera spigliata e fresca, in un continuo crescendo dall'inizio alla fine. Ottima come sempre l'interpretazione di Servillo. Da notare due chicche di Nino D'Angelo nella colonna sonora.
Quando le aspettative sono altissime, il 99% delle volte sono clamorasamente disattese. Il film, curato oltremodo nella forma, è una cocente delusione soprattutto per quanto riguarda il tessuto narrativo, eretto su una irritante costruzione a flashback come se il narratore fosse un cantore medievale di vizi e virtù (che ridicola arroganza). Scade troppe volte nel grottesco e nella macchietta (per Servillo i bei tempi sembrano passati...). Opera da solletico.
Racconto decisamente noir ma con tratti fortemente ironici, da cui escono fuori tutte le sporcizie di una mentalità non necessariamente legata al sud del paese. L'ambientazione nel degrado dei quartieri ultrapopolari è suggestiva, ma soprattutto Ciprì mette in risalto i segni duri dei volti protagonisti e all'inizio del film non risparmia neanche i bambini dal suo nero ritratto. Scelte molto interessanti e prove attoriali decisamente ottime, soprattutto nel finale.
Insieme a Reality di Garrone, il film che “inquadra” in maniera più precisa, impietosa, ma anche senza nessun moralistico predicozzo e anzi con uno sguardo soave seppur mai condiscendente l’inarrestabile disfacimento antropologico del Belpaese. Ciprì smussa il suo cinismo ma il ritratto di questa famiglia apparentemente astorica, inscritto invece in una spazio-temporalità contestualizzatissima, possiede un intima ferocia disarmante, di indelebile persistenza. L’improbo registro farsesco è tenuto da tutti gli attori con ammirevole intensità. Applausi.
MEMORABILE: La busta con le bollette di Castro; La camminata di Servillo; La gita al mare; Vitale e Servillo dagli strozzini; Nonna Quattrocchi prende il "comando".
La famosa cifra stilistica di Ciprì al servizio di una storia che non poteva che rivelarsi brutta, sporca e cattiva; ci si spinge all'inosabile, ovvero a mostrare ciò che succede dopo una tragedia (di mafia!) che da dei diritti... Servillo si mette a servizio e disegna una figurina "settantiana" giustamente, tristemente ignobile, attorniato da altri bravi attori in contesti giustamente claustrofobici. Bellissimo il finale "col botto". Sottotitolato, ma si capisce tutto.
Cinico ritratto italiano, in questo caso siciliano, in cui si sbertuccia il comportamento al limite dell'assurdo di una famiglia. Trovate interessanti con un'escalation di colpi di scena nel finale. Servillo guida gli interpreti con la sua solita e istrionica capacità.
Dopo aver "abbandonato" il sodalizio con Maresco, Ciprì si cimenta in un'opera ambiziosa e sicuramente riuscita. Ciò che non abbandona è lo spirito "cinico" che accompagna tutta la prima parte del film, sia nella trama che nella scelta delle inquadrature. Poi di punto in bianco si apre un altro cinema, sempre cinico ma ferocemente crudele, che mostra uno spaccato dell'animo umano pronto a tutto pur di rimanere a galla in qualche modo e a qualsiasi prezzo.
Un film crudo e spietato di ordinaria sopravvivenza in quel sud desolato e frustrato dalla criminalità. Un racconto scorrevole che non annoia e per come è costruito diventa piacevole per lo spettatore. Un po' fuori luogo le musiche napoletane in un ambiente siciliano.
MEMORABILE: Lui col sorriso a 32 denti che guida la Mercedes.
Dramedy inquietante, ben costruito e addirittura più disagevole dei classici ciprì-mareschiani: si è spinto meno sul pedale del grottesco per così dire "visivo", rifacendosi però su quello del contenuto. La descrizione di un angosciante microcosmo di squallore dove si cercano risposte semplici, non importa se sono sbagliate e dove non c'è speranza di salvezza.
Dal punto di vista della commedia nera è tutto ben orchestrato, con un tipico intreccio che si chiude svelando un prevedibile orrore familiare. Servillo gigioneggia ma per lo spirito del film ci sta tutto; quello che però rovina e soprattutto appesantisce il film è, secondo me, la fotografia troppo carica e artefatta: riesce pure a rovinare il bel finale chiudendo con musica strappalacrime e inquadrature a caso per cercare di sottolineare l'ovvio.
Il vero difetto/rischio del film è rimanere connotato dal (o peggio, confinato nel) ghetto sottoproletario in cui Ciprì ha scelto di ambientarlo. L'equivalenza tra povertà materiale e spirituale-culturale è scivolosa per quanto tristemente plausibile, ma rischia di "assolvere" lo spettatore, creando troppa distanza rispetto agli sciagurati protagonisti. La cifra stilistica è quella nota, grottesco spinto, qui attenuata rispetto alle sortite di CinicoTv. La messa in scena è elegante (eh sì) e il cast efficace.
Ci vuole un po' per arrivare al cuore della storia, ma lo stile grottesco si adatta benissimo alla vicenda di questa famiglia atomizzata dalla fame dell'oro, pronta a sfruttare la morte della figlia per guadagnare un po' di prestigio. Servillo funziona al meglio quando è accompagnato da un cast altrettanto efficace, in questo caso una raccolta di maschere lombrosiane tra le quali spiccano il gioviale usuraio e la Quattrocchi, inizialmente relegata allo sfondo ma mostro di avidità nel finale. Imperfetto ma efficace.
MEMORABILE: Nicola che si avvicina macchina, ancora ignaro del graffio sulla vernice; Nonna Rosa nel finale.
Dopo il fruttuoso sodalizio con Maresco, Ciprì si cimenta con ottimi risultati in un film più articolato e complesso; tuttavia le influenze "ciniche" sono ben presenti e sostanzialmente anche qui ci si focalizza sui reietti, su coloro che vivono ai margini del vivere civile. Servillo si disimpegna con discreti risultati in un dialetto non suo, mentre fra le presenze palermitane da segnalare Civiletti che per stazza mi rimanda a Paviglianiti.
Esordio solista di Ciprì in stile Brutti, sporchi e cattivi. Il regista siciliano conferma il suo stile surreale e grottesco ma in contesto più potabile per il grande pubblico che a tratti ricorda i Mostri di Risi e il Germi degli anni 60. Grande Servillo che nei panni del capofamiglia sembra la versione siciliana di Homer Simpson. Azzeccata anche l'ambientazione in un paesaggio quasi post-atomico con ammassi di ferraglia arrugginita, cani randagi, spiagge desolate ed edifici fatiscenti, malgrado una fotografia del tutto incolore in linea con i più scialbi trend del cinema attuale.
MEMORABILE: Busu all’ufficio postale come un novello narratore alla Forrest Gump; Le visite dall’usuraio; L’avvocato difensore; Il discorso finale della nonna.
Guarda dentro l'abisso e l'abisso guarderà dentro di te, diceva qualcuno. E cosa si vede guardando dallo specchietto retrovisore di una Mercedes nuova di zecca? Un'Italia di calcoli, piccinerie, nimb, un paese che crolla in pezzi assieme a ogni facciata sociale. Esagerazione? Macché: consci del fatto che stiamo assistendo a qualcosa di più vero del vero, l'orrore cresce inesorabile col passare dei minuti. Baciamo le mani: la commedia nera italiana più feroce, corrosiva e tragica degli ultimi decenni. Chi vuole sentire una storia, si accomodi!
Il film coinvolge grazie a una sceneggiatura che riesce a dosare bene, in stile Ciprì, tragedia e commedia, regalando un effetto di grottesco che stimola la visione e l'interesse verso le (s)fortunate vicende dei personaggi. Ognuno è artefice del proprio destino e in Sicilia più che mai, evidentemente, si riesce a fare della sfortuna una virtù (e viceversa). Fotograficamente almeno un paio di inquadrature risultano memorabili: quella della locandina e il campo lungo coi palazzi della periferia palermitana. Un buon film che intrattiene e stimola.
MEMORABILE: La reazione della nonna verso la fine del film.
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Rivisto poche sere fa: si conferma un bel film. Il finale mi è sembrato persino più agghiacciante della
prima volta. Peccato che Ciprì pare non si sia ripetuto a questi livelli nel successivo "La buca".
Cotola ebbe a dire: Rivisto poche sere fa: si conferma un bel film. Il finale mi è sembrato persino più agghiacciante della
prima volta. Peccato che Ciprì pare non si sia ripetuto a questi livelli nel successivo "La buca".
Quando l'avvocato Modica (Spitaleri), fa cadere la propria forfora sul tavolo del suo studio, mi viene in mente il Dott.Spaziani (Valli), nel film "Un Borghese piccolo piccolo".
DiscussioneZender • 9/05/18 14:44 Capo scrivano - 47727 interventi
Mah non è che vedo tutta sta somiglianza, a dire il vero. Il naso del nonno è grande tre volte, per dire. Poi scriverei cose così su davibook, a dire il vero.
DiscussioneRocchiola • 10/05/18 08:59 Call center Davinotti - 1238 interventi
Bè, con le dovute differenze ovviamente, ma il volto rugoso, i pochi capelli e gli occhi infossati sono abbastanza simili.
Prendo atto del tuo consiglio, ma come faccio ad accedere al Davibook?
DiscussioneZender • 10/05/18 17:31 Capo scrivano - 47727 interventi
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CuriositàZender • 21/04/20 18:06 Capo scrivano - 47727 interventi
Fa un po' pensare la somiglianza della locandina con la stessa del film "Perfect Day" di Fernando León de Aranoa di tre anni successivo e ripresa, come fa notare Didda, anche in "Non ci resta che vincere"...