Una commedia nera e sofisticata per un Roberto Benigni da esportazione, capace di caratterizzarla completamente pur non essendone il protagonista. Jim Jarmusch, che la scrive e dirige, vuol vedere in Benigni lo stereotipo dell'italiano: estroverso, fondamentalmente buono, furbo e un po' mammone (a giudicare dall’indimenticabile monologo davanti al coniglio sullo spiedo, quando ricorda come la madre uccidesse i conigli con un colpo secco sul collo). Benigni accetta, ma riveste il suo personaggio di quella simpatia e genialità distintiva senza la quale il film, già piuttosto pesante, finirebbe per annoiare terribilmente. Basta seguire la prima mezz'ora, nella quale ci vengono raccontate le ore che...Leggi tutto precedono il resto di Tom Waits e John Lurie, i due solitari cronici che divideranno la cella con Roberto. Entrambi depressi, cupi come la città in cui vivono, si lasciano trasportare dalla sceneggiatura senza reagire, rendendo il primo tempo oltremodo insopportabile. Quando nella loro cella irromperà un Benigni più controllato del consueto il film avrà un’impennata, che tra alti e bassi riuscirà a mantenere fino in fondo. Il bianco e nero, le musiche delicate di Lurie (sua la colonna sonora, con interventi di Tom Waits), i boschi e le paludi della Louisiana che fungono da set per la fuga dei tre evasi, sono l'accompagnamento ideale per le mire (alte) del regista. Costruito come una serie di sketch uniti da una storia molto semplice, DOWN BY LAW si fa apprezzare per l’indubbio gusto della messa in scena e per aver saputo integrare alla perfezione la figura di Benigni (con il suo inglese stentato ma fortunatamente lontano dai soliti “Noio volevam savuàr”) con le altre due, tra loro molto simili. Raro caso di film impossibile da doppiare in italiano.
Non necessariamente un film molto originale è un bel film. Questo è originale ed è, appunto, un film di medio livello. Senza Benigni, a dirla tutta, sarebbe un brutto film. Il suo arrivo è una specie di terremoto. Non nel senso che egli travolge tutto: entra quasi compostamente, invece, ma lo fa in una palide stagnante, per cui l'effetto è visibilissimo. Da vedere, più che altro, per curiosità.
MEMORABILE: Il disegno della finestra sulla parete della cella: altrimenti che cella sarebbe?
Buon film, nel qual regna la personalità dei tre personaggi. Un italiano e due americani si ritrovano in carcere. Dopo un introspezione approfondita dei personaggi molto curiosi, il film prende forma. Un dj triste e depresso, uno sfruttarore di prostitute ed un turista italiano fuggono dal carcere e fra litigi e risate arrivano alla salvezza. Il merito va, oltre che ai registi, anche ai tre attori che involontariamente lasciano intendere un'intesa (un'amicizia) esistente oltre i confini del film.
Ci sono molte cose che mi piacciono in questo film: innanzitutto Benigni. Inutile, è lui il protagonista ed anche il personaggio meglio caratterizzato, probabilmente perché rappresenta con efficacia lo stereotipo dell'italiano umile. Mi piace che Benigni, in un film straniero, ogni tanto ne dica qualcuna in italiano. Mi piace quel bianco e nero che aumenta il grigiore della vita dei tre e in cella. Lo scorrere delle sequenze e delle varie gag scandisce il tempo di prigionia quasi come per farci sentire insieme a loro. Un buon lavoro.
Che Benigni sia un gran marpione si evince da questa pellicola, che non ha raccolto quanto merita. Forse il cast è troppo da east side. Il nostro è certamente il più volitivo ed intelligente, la gag del block notes per comunicare in un inglese alla Speedy Gonzales (ricordate? Guardando una "ship" sul mare in realtà dice "sheep"). Il film gli ha aperto la strada della notorietà in America, che gli sarebbe servita più avanti.
MEMORABILE: Gioco di parole: "ice cream-i scream". Volpesco!
Film abbastanza particolare che vede come protagonisti un trio di improbabili ladri che riescono a evadere. C'è da dire che non ci troviamo di fronte a un grandissimo film, anche se originale nella sceneggiatura. Più volte si ha l'impressione che il film si trascini nella sua durata. La presenza di Benigni regala qualche bella battuta e niente più. Appena sufficiente.
Fuga senza soluzione di continuità nell’America degradata fra scalcinate periferie e un’insidiosa natura selvaggia. Tre fantastiche figure tipicamente jarmuschiane, emblemi del perdente, per un apologo noir, surreale e grottesco sull’evanescenza del sogno americano. Indipendente e minimale fino al midollo, il morbido b/n del maestro Robby Muller disegna uno straniante tutt’uno tra personaggi e contesto in cui l’eclettismo istrionico di Benigni domina la scena a suon di esilaranti soliloqui. Da imparare a memoria. ****
MEMORABILE: L’incipit con Waits e Lurie in sottofondo; “Arregg the dog!!!”
Poco meglio ma molto più sottovalutato di Dead Man, forse proprio per la presenza di Benigni. Infatti, se entrambi sono destinati a un tipo di pubblico colto, in Italia è Roberto ad aver attirato in sala tutta la popolazione. Non è un film comico, nemmeno una commedia (se si esclude qualche battuta), ma un drammatico. Forse un po' pesante, non facile come tutto Jarmusch ma bellissimo. Dialoghi brillanti, lunghe inquadrature, stile scarno, monocromia; l'ennesima prova del genio del regista.
Come esemplificare il concetto esistenzialista di peregrinazione dell'essere. Strutturalmente piuttosto lineare; tuttavia ogni dettaglio (dai dialoghi alle location) ha un suo significato intrinseco. Interamente costruito sul carisma dei tre protagonisti e sui loro fascinosamente retrò scambi d'opinione che tracciano una stile di vita irrequieto normalmente biasimato dal pubblico, ma infine clamorosamente agognato. Il furore attenuato da una forma prettamente statica e da luoghi opprimenti e claustrofobici dona al film un mood inconfondibile. ***!
Il punto di forza è la stupenda fotografia associata a un b/n che mette in evidenza la polverosa e paludosa New Orleans. La storia procede senza fretta accelerando grazie alla vis comica di Benigni e dando spazio alla presenza di Lurie e alle performance di Waits. Regia senza grandi colpi che descrive bene gli spazi ristretti. Musiche che traggono beneficio dai due artisti americani.
Un'inedita perfezione formale, agli antipodi rispetto alla forma indie dei film precedenti, è la prima cosa che colpisce di questo celebratissimo lavoro jarmuschano. La seconda è che, per quanto sia difficile comprenderne le ragioni, l'impianto fatica parecchio a ingranare. L'entrata in scena di Benigni dà una scrollata al film, che comunque stenta a spiccare il volo. Non si eccelle dunque, anche se la pellicola è permeata da quel certo non so che tipico del regista che rende comunque piacevole la visione.
Fin dall'entrata in scena di Benigni, Lurie e Waits si rendono conto che il loro ruolo sarà quello dei comprimari, in questo splendida storia ai margini del sogno americano girata da Jarmusch con il solito talento visionario. La storia è originale e il b/n le conferisce il carattere delle favole senza tempo. Buone la colonna sonora free jazz di Lurie (soprattutto nella scena della fuga) e le canzoni di Tom Waits. Il sottobosco della prostituzione è reso con molta efficacia e certe citazioni di Tom Waits hanno un sapore classico che conquista.
MEMORABILE: La scena con i tre protagonisti in cella insieme; Il monologo di Benigni sulla sua famiglia (i nomi dei parenti sono tutti veri!).
Particolare. Si trascina per più di mezz'ora stancamente annoiando un po'. L'arrivo di Benigni dà un po' di vivacità a un film che in ogni caso volutamente non fa del ritmo sostenuto il suo punto di forza. Piace la contrapposizione che si crea tra il personaggio dell'italiano vivace con i suoi stereotipi e i due altri prigionieri ombrosi. Bella l'ambientazione e il bianco e nero che dà una connotazione "senza tempo". Alcuni guizzi nella sceneggiatura. Direi non male, nel complesso.
MEMORABILE: "I scream, you scream, we scream... for an ice cream."
Una storia fuori dal tempo, che rende questo film impermeabile allo scorrere degli anni: Daunbailò potrebbe essere stato girato nei favolosi '50 di Cary Grant, oppure ieri, non ha importanza. Jarmusch ci regala il viaggio verso la libertà di questi tre galeotti: Jack e Zack rappresentano in realtà la stessa cinica e disincantata persona, Bob (Benigni) invece è l'ingenuità, la poesia, la speranza di trovare qualcosa di migliore. Regia monolitica, splendida la fotografia in bianco e nero.
MEMORABILE: I take a ball, number 8, black ball, and stuuum! At the ground, first stroke. A very big man, dead, at the ground.
Un gioiellino divertente e sorprendente, che si distingue per spontaneità e imprevedibilità. Jarmusch riesce a mettere insieme tre personaggi unici che non faticano a interpretare la parte dei balordi, immersi nel surreale contesto prima delle prigioni e poi delle paludi della Louisiana. Ma ciò che eleva le sorti del film è sicuramente la presenza di Benigni, l'italiano ingenuo ma intraprendente che con il suo atteggiamento stranito e l'uso stentato dell'inglese risulta a tratti irresistibile.
MEMORABILE: "I scream, you scream, we all scream for ice cream!"
A un indie puoi mettere smoking e cilindro d'ordinanza, ma sempre indie nell'animo rimarrà. Così un cortometraggio lo puoi stirare, diluire, allungare, gonfiare sino alla tripla cifra, senza che tuttavia diventi un vero lungometraggio. Fulminante in avvio (gli arresti di Lurie e Waits, la frizzante O.S.T.) e in coda (i surreali dialoghi a quattro con Benigni e la Braschi), questa celebrata operina di Jarmusch perde fatalmente quota nella parte centrale, nonostante la verve cartoonesca di un Benigni in forma. Piacevole, ma un po' pedante.
MEMORABILE: La O.S.T.; L'arresto di Waits; "I scream, you scream, we all scream for ice-cream" (o "for I scream"?).
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CuriositàZender • 6/04/14 20:13 Capo scrivano - 47804 interventi
Dalla collezione "I flanetti di Legnani" (con contributo di Zender al restauro), il flanetto di Tv Sorrisi e Canzoni della prima tv di Daunbailò (10 novembre 1988, grazie a Didda per la ricerca):