"Si stava meglio quando si stava peggio", il motto sugli scudi araldici di tutti i reazionar-radicalchic. Questo è il retrogusto che rimane alla fine del film, racconto di un viaggio sud-nord con le improbabilmente auliche parole di un bambino italiano del 1960 che ha la voce di Giuseppe Cederna. Dello slancio di un paese povero e arretrato verso la modernità non resta nulla, solo un pasolinismo di ritorno, elegia della campagna fatta da chi della vita dei campi nulla sa. Peccato perché le immagini e il lavoro di montaggio sono pregevoli.
Non brutto, ma senz'altro sotto le aspettative. Perdente l'idea di costruire un racconto con voce fuori campo (un Giuseppe Cederna non proprio ispiratissimo) come raccordo delle immagini. Non dico che sia un mediocre escamotage per collegare cose non troppo unite, ma il sospetto è difficile da annullare completamente. Bruttarella e banalotta la conclusione su Milano. Niente male, invece, le citazioni televisive (la fiaba narrata da De Sica è di Oscar Wilde), le interviste alla popolazione, l'alternanza di momenti di ricchezza e di povertà. Ma, come detto, era lecito attendersi molto di più.
Un viaggio per trovare un fratello genera un racconto dell'anno 1960 foriero di grandi eventi. Salvatores, con il grande ausilio dei telegiornali e trasmissioni del periodo racconta un viaggio che trova le città interessate. La Napoli dei guaglioni, Roma meravigliosa, Rimini vacanziera e Milano tetra. Del regista, personalmente c'è poco, tuttavia le visioni sono piacevoli.
Excursus di Gabriele Salvatores in un epoca forse troppo mitizzata nei ricordi italiani. Per ricordarla, il regista ricorre all’espediente di una finta vicenda costruita con immagini di repertorio e la vice fuori campo del bravo Giuseppe Cederna. Risultato non disprezzabile con momenti curiosi, ma anche un po’ troppa retorica. Forse, visto il nome del regista, il risultato poteva essere migliore.
Se la storia del fratello perduto è un evidente pretesto narrativo per restituirci uno spaccato documentaristico dell'Italia del boom, perché chiudere il film sulle aspirazioni professionali del regista bambino? Come se, alla fine di un'escursione emozionante, la guida turistica dichiarasse che tutto ciò che avete visto e sentito è suo... Ennesimo finale trombone per Salvatores, incapace di mettere da parte smanie d'autore e ingombranti egocentrismi una volta intercettata l'emozione-cinema. L'indiscutibile abilità nel manipolare immagini, suoni e testo finisce solo con l'indispettire.
Un lavoro in cui Gabriele Salvatores fa i conti con la storia italiana degli anni del boom economico, quelli che hanno cambiato per sempre il nostro paese. Si racconta soprattutto il cambiamento epocale che trasforma l'Italia da paese agricolo a potenza industriale. Fatto con cura, con spunti non banali, un uso interessante del repertorio e una voglia sincera di narrare, di capire.
Gabriele Salvatores HA DIRETTO ANCHE...
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