Dopo aver visto alcuni lavor di Mizoguchi ero convinto di aver visto molti buoni film, magari ottimi, ma nessun capolavoro assoluto. L'ho trovato finalmente ne "L'intendente Sansho", film del 1954 su una famiglia potente smembrata e caduta in disgrazia. Per un film giapponese di quell'epoca, "L'intendente Sansho" presenta una tensione narrativa e un vigore drammatico veramente inaspettati, con alcune scene di rara ferocia. Il finale è uno dei più strazianti che si siano visti al cinema.
Capolavoro colmo di afflato e calore, raro esempio di cinema integralmente umanistico, in grado di dar conto delle tragedie più immani (il distacco dai propri figli/genitori e la perdita della libertà) con una misura e un rispetto lontani da qualsiasi indulgenza spettacolare, ma anche da ogni concessione al fatalismo. Mizoguchi gira col suo caratteristico stile epico-trascendente, partendo da un episodio storico per arrivar al cuore delle passioni e dei sentimenti, fornendoci un esperienza d’arte rarefatta ma partecipata che è pure una lezione di vita.
MEMORABILE: La indimenticabile lezione del padre governatore ai due figli; La nenia della madre: leitmotiv del film; Lo straordinario finale di trattenuta commozione.
Sublime affresco sull’umanità, di come la storia e il potere possano irrompere nella vita delle persone (nobili, famiglie, contadini) segnandola nel profondo. Bestiale crudeltà e infinita bontà si contrappongono per un dipinto epico lirico e tragico che trae linfa dalla coralità degli eventi. Struggente percorso sull’infanzia rubata, sui legami (dilaniati) e i valori (tramandati) famigliari e la povertà materiale; ma soprattutto immensa parabola etica in cui la giustizia e l’amore femminile prevalgono, benché a carissimo prezzo, sopra ogni cosa.
MEMORABILE: "Senza pietà un uomo non è un essere umano"; Il finale, tra i più intensi e toccanti mai visti.
Una favola morale di straordinaria intensità sulla pietas che resiste nonostante le avversità: quelle che conosce il ragazzo (venduto come schiavo) nella lotta per affermare i princìpi paterni. Un affresco di grande respiro, che attraversa le stazioni di un dolore quasi biblico in quel medioevo della storia e dello spirito che era l’alto feudalesimo nipponico, che metaforicamente ricorda i tempi attuali nei quali deve rimanere la luce dell’umanità. Film di spessore, anche per la potente sapienza narrativa e la struggente sensibilità filmica.
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