Oro rosso - Film (2003)

Il film inizia da dove finisce, espediente certo non nuovo ma comunque funzionale al racconto e poi parte il lungo flashback che ci fa conoscere i fatti che porteranno all'epilogo. Con ritmi molto lenti, il regista Panahi (recentemente arrestato perché preparava un documentario sulle proteste al regime iraniano) ci fa partecipi non solo delle vicende del suo protagonista, ma anche di una realtà per noi occidentali non molto conosciuta. Un film che vale la pena conoscere, anche se la sua lentezza potrebbe allontanare più di uno.

Attraversa le contraddizioni sociali di Teheran a bordo della moto con cui consegna pizze di notte: ricchezza e povertà, divertimento e repressione, esterofilia e provincialismo. Coi riflessi lenti, imbottito di cortisone, assiste e subisce: ma nell’incipit vediamo già la tragica fine di questo perdente della vita e della storia, segnata da un’indignazione che non sa o non può indirizzare positivamente. Potente la percezione visivo-sonora della città, con le sue strade trafficate; un po’ piatta la sceneggiatura (di Kiarostami).

All'inizio sembra esserci poco di Panahi in un film dall'aria quasi dimessa: invece c'è molto sull'Iran e non solo. La descrizione del regista sul suo paese è impietosa e quindi non meraviglia che la pellicola sia stata vietata. Siamo dinanzi ad un paese classista in cui i poveri vengono continuamente disprezzati ed umiliati (vedi le scene dal gioielliere e quella della pizza caduta a terra); privo di democrazia (le guardie che aspettano solo al palazzo in cui c'è la festa); strizzante l'occhio alle mode occidentali e pieno di solitudine. Finale (che si sa dall'inizio) pieno di rabbia.

Anche Teheran non sembra sfuggire al paradossale tao che coniuga chi vorrebbe vivere ma non può con chi può ma non vuole, con il menefreghismo e l'arroganza di pochi a diventare il malessere di quasi tutti. Panahi si tiene aspro come una limonata senza zucchero, ma rigore e asciuttezza sono sospinti fino a rendere iperbarici i momenti che più dovrebbero emotivamente colpire dove il regolamento lo vieta, e a spargere una patina appiccicaticcia di noia sulla totalità e la tonalità dell'opera, quasi mai bilanciata tra quel che vuole dire e il come dircelo forte e chiaro.

Le discriminazioni e le differenze sociali esistono in tutto il mondo e l'Iran mostratoci da Panahi non ne fa eccezione. Due uomini si barcamenano tra piccoli furti e un lavoro serale che li vede consegnare pizze da asporto. Qui uno dei due si rende conto di quanto la società lo abbia brutalmente schiacciato e di quanto, nonostante la sua gentilezza, venga considerato un alieno. Opera che fa riflettere su come le persone possano percepirsi all'interno di un contesto sociale. Anche ribellarsi vuole il suo prezzo.