La coppia che si uccide in apertura chiarisce subito il tema: l'AIDS, negli Ottanta, supera le barriere del terrore precedenti. Più ancora della reale diffusione della terribile malattia a colpire è la psicosi generalizzata, che coinvolge ogni classe sociale indistintamente e che amplifica a dismisura i timori dati da una trasmissione che, come noto, avviene attraverso il sangue e i rapporti sessuali. Il mondo dei gay e più in generale chi vive nella promiscuità diventano nell'opinione comune immediati soggetti a rischio, e basta anche solo il sospetto di avere di fronte qualcuno di contagiato per provare autentico terrore. Sull'onda di tutto questo John Knot...Leggi tutto (Hauer), un disinvolto giornalista alla ricerca di reportage scottanti assieme al fotografo che spesso l'accompagna (Wertmüller), si finge portatore sano del virus HIV per studiare le diverse reazioni all'interno degli ambienti in cui s'introduce. Girando il mondo tra Roma, Venezia, Londra e Parigi, rigira il coltello nella piaga che più sta facendo sanguinare il mondo celando tuttavia la sua inchiesta a chi gli sta intorno. Come Joëlle ad esempio (Kinski, che si doppia da sé), la bella collega - con figlia a carico - che avrebbe intenzione di sposare. Ma proprio a Londra, in seguito a un normale esame del sangue, scopre di essere davvero ciò che fingeva di essere: un portatore sano del virus. Nessun rischio diretto, in poche parole, se non quello di contagiare il prossimo. Basta ovviamente questo a cambiare ogni prospettiva, per John, facendolo precipitare in un abisso senza fine. E' il momento in cui anche il film cambia direzione, mantenendo il medesimo, notevole impatto visivo (la produzione è internazionale, di livello) ma lasciando che il carattere e gli interessi del protagonista mutino radicalmente, così come i rapporti con chi gli sta accanto (Joëlle in primis). Lina Wertmüller affronta un tema spinoso e drammaticamente attuale, al tempo, sfruttando un cast importante. Oltre ad Hauer (doppiato da Paolo Ferrari) e alla splendida Kinski, spiccano una Faye Dunaway destinata ad animare l'ultima parte con il consueto brio e un Peter O'Toole (doppiato da Gianni Bonagura) in veste di intellettuale ricercatore cui John si rivolge in cerca di un veloce consulto. I ritmi sono assai blandi mentre l'impianto è da cinema quasi autoriale, arricchito da scenografie ed esterni lussureggianti. Molte pause, frequenti primi piani sullo sguardo intenso di Hauer, location scelte con attenzione e una prima parte che sembra voler ripetere senza grandi variazioni lo stesso canovaccio. Però qui il film funziona, è nella seconda che incappa in cadute nel cattivo gusto e in un'enfasi melodrammatica fuori luogo. Perdendoci in concisione ed efficacia, originando maldestre associazioni tra atmosfere decadenti fasulle e una sceneggiatura modesta, non all'altezza di quel che vorrebbe comunicare. Poteva essere interessante la doppia riflessione sulla malattia senza doverne spettacolarizzare in negativo gli effetti, ma le relazioni tra i personaggi sono piuttosto banali e la colonna sonora (opera degli Avion Travel) viene sfruttata aggiungendo una ulteriore patinatura di sgangherata raffinatezza che a lungo andare danneggia il risultato, già poco esaltante di suo. In linea anche l'insulso finale. Il titolo fa riferimento alla sera di qualche tempo prima in cui Knot si dice certo di aver contratto il virus.
La Wertmüller si confronta con una coproduzione internazionale dai chiari intenti didattici. Lo fa in maniera discreta ma poco memorabile, con una storia abbastanza inverosimile, più convincente nella prima parte quanto deludente nella seconda. Difficile ad ogni modo vedere o riconoscere la mano della regista in anche una sola scena. Apprezzabile comunque l'ottima prova di Hauer. Musiche degli Avion Travel e di Pino D'Angiò.
Il tema dell'AIDS, il terrore, la psicosi che si provava per esso viene molto ben affrontato; Hauer non è solo lo psicopatico o il serial killer di altri film, visto che qui mostra al meglio il suo dolore devastante per avere professionalmente biasimato il virus salvo poi esserci cascato e ancor più per il non voler accettare questo destino infame cercando alleati, proteggendo ciò che ha di più caro. Ottimi i brani del film e splendida la Dunaway, che dall'odio passerà quasi all'adorazione per lui, un po' meno la Kinski, anche se è sublime nel finale.
MEMORABILE: "In qualsiasi modo, ma insieme"; Il racconto di come si contagia; Il furto e l'apertura del floppy disc.
Giornalista finge di essere sieropositivo per condurre un'inchiesta sull'Aids. Tema spinoso sugli effetti, e sulla scarsa informazione, della peste del XX secolo, affrontato bene nella prima parte. Nel prosieguo vira nel melodramma personale e la paura generalizzata diviene solo una fuga sconfortante di chi ha il miraggio di fare ricerca da solo. Hauer ha carisma, la Dunaway sconta dialoghi melensi e la Kinski fa quasi tenerezza quando cerca di rendere digeribile un finale a dir poco didascalico. Produzione di alto livello, anche fin troppo sfarzosa considerati i contenuti.
MEMORABILE: La gigantografia di Hauer in camera; Gli interventi di O'Toole, la cosa migliore del film; Gli operai che solidarizzano.
Lina Wertmüller HA DIRETTO ANCHE...
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DiscussioneFauno • 20/06/16 01:10 Contratto a progetto - 2742 interventi
Questo è stato un ottimo aperitivo. Ora aspetto AIDS pericolo strisciante, così vedremo se sarò d'accordo con le stroncature di tanti miei colleghi. Dimenticavo fra i momenti magici la pittura murale che vediamo anche nel poster del film.
Ricordo che lo volevo vedere al cinema ma ero in minoranza e si dovette vedere Palombella rossa. Mentalmente alla fine di quella visione avrei ridotto quelle persone come minimo come Nanni Vitali riduce Barbareschi ne La belva con il mitra...come massimo addirittura Lustig.
Direttamente dall'archivio privato di Buiomega71, il flanetto di Tv Sorrisi e Canzoni della Prima Visione Tv (Ciclo: "Il coraggio di vivere", martedì 28 maggio 1991) di In una notte di chiaro di luna: