Ho trovato questo secondo capitolo (con ben pochi aggangi al capostipite: giusto un ruolo cameo del boss serbo Milo e un accenno su che fine ha fatto Frank)nettamente inferiore all'originale
Molto meno intenso e genuino del primo
Pusher, mi e parsa un pò un operazione costruita a tavolino, dove il nichilismo refniano (nessun personaggio si salva nel film, o sono bestie senza cervello bruciati dalla coca o vere e proprie cagne a cui interessa solo "farsi") viene "ammorbidito" da una morale redentiva un pò banalotta e anche scontata (la decisione finale di Tonny), che annacqua il tutto e smorza il potenziale emotivo
Refn regala, comunque, pezzi di ottimo cinema (il furto delle Bmw con incidente inaspettato, la lunga festa di matrimonio-stile
Il Cacciatore-a base di fiumi di coca e sbroccamenti -sottolineata dalla fotografia cromatica di Morten Soberg, quasi fosse un anticamera dell'inferno-, il violento e feroce scontro finale tra Tonny e il "bestiale" padre/padrone, Tonny che spara al braccio di Kurt in un freddo e uggioso campo di generatori eolici) e non disdegna sequenze ai limiti dell'hard (Tonny che si masturba guardando un porno per poi "consumare"-senza successo- con due prostitute, che giocano tra loro con un dildo enorme, chiosando:"
Vi siete perse il re dei cazzi!", il numero della "danzatrice" alla festa di matrimonio) e aumenta il sentore di squallore e sporcizia (Kurt che va continuamente in bagno a calare le braghe-prima di gettare stupidamente la coca nel cesso-, la ragazza coi calzini lerci, tirate di coca che manco
Scarface, turpiloquio, miserie e bassezze umane a iosa)
Un omaggio ad
Arancia Meccanica (Tonny che, appena sveglio, va a orinare nel wc)
Ma , nonostante questo, non centra il bersaglio. Troppo di "testa" più che di "pancia" e l'odissea di Tonny (prima della redenzione) a un che di posticcio e coinvolge poco emotivamente (e si fanno sentire parecchi momenti di stanca)
La violenza (se non quella dell'animo) e tenuta a freno (a parte la scheggia del pre-finale), e dal "gangster movie" da strada, Refn, passa al racconto intimista e introspettivo, con punte da cinema dardenniano (il finale) che lasciano parecchio l'amaro in bocca
Tra citazioni carpenteriane (il Duca), padri/padrone, scatologie, barzellette infime (quella di Kurt sulla prostituta coi denti da latte), l'ambientazione squallida e grigia, puttane sempre strafatte, stupidissimi e tamarrissimi papponi, Refn non riesce a creare la giusta empatia e emotività, convincendo poco, lasciando più dubbi che entusiasmi.
Restano ancora ottime la fotografia di Morten Soberg (tecnicamente il livello e superiore al primo capitolo)
e la musica di PeterPeter, ma a Refn viene a mancare quella forza "rabbiosa" che aveva contraddistinto il suo fulminante esordio, con il forte sospetto di un operazione artificiosa fine a se stessa che non ha molto da dire
Questa volta, Refn (al contrario di Tonny) la fà fuori dal vaso.