Un classico del genere melodrammatico, ottimamente interpretato dall'algida Marlene Dietrich che, con classe, sorregge da sola l'intera pellicola. Risulta chiaro, alla fine della visione, che gli intenti del regista e dei produttori non erano i medesimi; talvolta ambiguo nel prendere una direzione decisa, il film è famoso per quel finale consolatorio imposto proprio dalla produzione, andando contro il volere iniziale di von Sternberg che, al contrario, ne aveva previsto uno tutt'altro che rallegrante. Il risultato è comunque soddisfacente.
Delirante melodramma di Von Sternberg, vede la Dietrich – iconica, legnosa, assolutamente improbabile, quindi mitica – impegnata in un ruolo generalmente di competenza maschile. In realtà è tutto un pretesto per filmare lo show del gorilla e dello smoking bianco, ormai due archetipi cinematografici dell'androginia. La cosa basterebbe a giustificare lo sforzo, non fosse che il film corre sul filo del ridicolo involontario. Molto curato visivamente nella tessitura di luci ed ombre e incastonato in inquadrature sofisticate, il film, castigato dalla produzione, ha un finale forzatissimo.
Film con molte scene memorabili e che nella memoria dei fan di Marlene Dietrich saranno per sempre indelebili, come quella in cui l'attrice tedesca esce dalla pelle di un gorilla in un numero musicale, o in cui canta in francese con lo smoking bianco. La trama è tutto sommato convincente, ma certo è che il finale "buonista" imposto dalla produzione fa storcere il naso.
Cantante tedesca,trasferitasi negli USA dopo le nozze, per trovare i soldi necessari alle cure del marito malato, torna ad esibirsi sul palco e diventa pure l'amante di un ricco dongiovanni... Trama tremenda, ma è solo un pretesto per mostrare Marlene prima come ninfa bagnante, poi bellezza tribale all'interno di un costume da gorilla, infine icona androgina in smoking bianco. Poco plausibile come mamma affettuosa, la diva sprigiona tutto il suo fascino in queste sequenze entrate nel mito, che giustificano ampiamente la visione del film fino all'implausibile epilogo imposto dalla produzione,
La forza della regia di Sternberg sta in un ritmo che, nonostante la trama oltremodo melò e gli anni passati, non langue e lascia lo spettatore a seguire la storia fino all'ultimo, tra sequenze entrate nel mito e altre forse già allora stereotipate. La Dietrich funziona molto bene nella parte della cantante fascinosa o della donna in fuga, un po' meno come madre amorevole. Grant, invece, è acerbo ma già carismatico. Un film che entrato nel mito, forse prevedibile in più punti ma ancora con un suo grosso valore artistico.
Per aiutare il marito malato, la moglie torna a esibirsi nei night club. La parte iniziale è un classico melò dai buoni sentimenti, ma il film spiazza nel seguito con il ruolo di madre in fuga che "umanizza" la Dietrich: irraggiungibile quando canta e al limite dello sbando quando è in bolletta, nei confronti del figlio diviene un essere umano come gli altri. Considerando lo stereotipo della famiglia americana dei tempi, il suo disfacimento non è banale. Notevoli i numeri cantati che hanno fatto la storia (costumi compresi). Grant ha presenza, anche se è ancora acerbo come playboy.
MEMORABILE: L'uscita dalla pelle dello scimmione; Davanti al giudice; In frac bianco.
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