La pazzia è provocata da un virus oppure è indotta dalla famiglia o dalla società in genere? Questo l’interrogativo che Bolognini si pone, adattando un romanzo di Tobino ed allestendo un manicomio dove la malattia mentale (e sessuale) non affligge solo i pazienti, ma anche lo stesso psichiatra (un Mastroianni tormentato e casanova). Le scenografie, marcate da uno sfocato cromatismo, appaiono fin troppo ricercate e inadatte. Nell’eterogeneo ma efficace cast spiccano la Fabian, la Keller, Blaise e la ninfomane Bouchet in un nudo integrale.
Come sempre in questo autore la forma importa più del contenuto e il dramma reale della malattia mentale diventa il pretesto per una raffinata esercitazione di calligrafismo decadente e scandalistico, in perfetto stile anni '70 (Cavani e Bertolucci docet). Certo, Bolognini è un signor regista, scenografie, fotografia e musica sono impeccabili, Mastroianni e il sontuoso cast femminile simulano fin troppo generosamente angosce, follie e furori erotici. Ma sul tutto grava un irrimediabile alone di fasullo e di posticcio. Bello sì, ma senz'anima.
Discreta regia, sorretta da un buon testo di partenza e dalle valide presenze che sfilano sullo schermo, con psicologie calate nella dimensione distorta provocata (e alimentata) dalla clinica che li ospita e da uno psichiatra (un grandioso Mastroianni) altrettanto tarato. Pur se ambientato negli anni '30, Per le antiche scale non si ferma di fronte al nudo (integrale) d'una piacente e brava Barbara Bouchet. Al punto che la notorietà al film fù data (erroneamente) dal solo scandalo di tali scene, all'epoca fonte di certo -cieco- clamore. Meticolosa e notevole ricostruzione di un mondo deviato.
L'unico modo per gustarlo è guardarlo come fosse un thriller. C'è un mistero da svelare (la follia), c'è il professor Bonaccorsi che formula un'ipotesi investigativa, poi trova anche il colpevole: un fantomatico virus! La follia può essere estirpata con un vaccino, come una normale malattia! Ma no, Bonaccorsi fugge, sconfitto: i pazzi sono orgogliosamente ribelli a ogni cura, i pazzi sono uomini nudi, che vedono nudi gli uomini normali, e Bonaccorsi ha paura, di fronte a loro, di sentirsi nudo... Verboso e algido. Però, come thriller...
MEMORABILE: "Chissà se lo sanno, là fuori, che esistono i poeti...". L'interpretazione di Lucia Bosé, silenziosamente tragica.
Nella casa dei pazzi il direttore non può che assoggettarsi alla follia umana per carpirne i segreti celati nei meandri di menti sconvolte. Un notevole cast (in particolare Mastroianni in un ruolo atipico rispetto a quelli finora interpretati dallo stesso) al servizio di una pellicola dotata di grande accuratezza formale. La Bouchet mai così bella e di classe, simbolo di una borghesia decadente e accondiscendente ai piaceri della carne, in un film realistico e dotato di scenografie e fotografia impeccabili. Elegante la ricostruzione degli anni 20.
Prodotto in maniera professionale e con un cast di tutto rispetto ma tendente al noioso. La storia infatti percorre vie abbastanza canoniche e cerca di passare dal tono voyeuristico allo struggente, puntando sul personaggio dibattuto di Francesca, ma la cosa appare artificiosa e nella mente rimangono solo alcune situazioni morbose.
Siamo proiettati nella seconda fase della cinematografia di Bolognini, in cui la manierata esornatività va a discapito di una materia che vorrebbe essere al contempo di bruciante attualità e universale valore (la genesi e le manifestazioni, anche storiche, della follia), finendo invece per svilirsi in morbose leziosità. Così il romanzo di Tobino fa da cornice a una messa in scena di esangue compiacimento, in cui gli attori son costretti a star in equilibrio sulla corda sempre tesa fra baratro della follia e abisso del ridicolo. Si ha modo di lumare la Bouchet.
Uno psichiatra vive relegato nella sua clinica, spendendosi come latin lover tra le mura manicomiali in attesa di scoprire il germe "schizofrenogeno". Il difetto di Bolognini, quello di descrivere senza mai incidere e raggiungere le vette della genialità, è qui al suo massimo. Attori, attrici, costumi e scenografie di gran pregio non sono sufficientemente suffragati da altrettanto appaganti contenuti.
Dall'omonimo libro di Mario Tobino, psichiatra viareggino e primario con esperienza trentennale di manicomio. È un film che avrebbe voluto girare Fellini ed è probabile che a lui siano dedicate le sequenze iniziali in maschera. Opera dai toni sfumati nella fotografia, non espressionista come ci si aspetterebbe, soprattutto ottimamente ambientata in corridoi, scale e androni in cui si dipanano le molte vicende di medici e malati. Ottime le musiche (Morricone) e i costumi. La Bouchet recita discretamente. Bellissimo, inatteso finale.
MEMORABILE: Abbandonano i campi per lavorare in manicomio: le sembrano sani?; Il finale, col treno in partenza verso una follia molto più pericolosa.
Bolognini riprende un mondo di matti all'interno di un cosmo impazzito (il fascismo, la decadenza borghese). Il gioco di specchi è continuo e la medietà di Mastroianni attore, mai sopra le righe anche nelle liaison, accende l'ambiguità normale-anormale. Piero Tosi acconcia un limpido lager, igienizzato, credibile perché senza spazi di degrado estremo e s'inventa un bellissimo Carnevale. Martha Keller è l'eroina ma adorna d'eccessiva innocenza il personaggio. Tigressa laccata la Bouchet, intensamente sprofondata la Asti.
MEMORABILE: Il professor Bonaccorsi si stende nel lettino dei degenti, come un malato, e un vecchio demente, quasi scarnificato, gli si avvicina.
L'inizio fa capire che non ci si rifugerà in tinte smorte a simboleggiare il grigiore degli alienati: colori squillanti dicono che vedremo comportamenti intensi, spesso con intenti sessuali, forti, chiari. Buon film fino all'ora abbondante, che cala nettamente con la "falsa scoperta" e con quel che segue, decisamente forzato. Non convince neppure la Fabian che, qui oltre ai 40 anni di vita, non è una credibile giovane ricercatrice. Algida, poi, per il ruolo. Meglio la Bosé, di classe, la Bouchet, sensuale, la Keller, intensa. Mastroianni e il povero Blaise spiccano nel cast maschile.
MEMORABILE: La Bouchet va in città a "divertirsi", eccome...
La sensazione è che il film, considerando il regista e il cast, avrebbe potuto essere molto migliore. Mauro Bolognini preferisce trastullarsi in dialoghi didascalici e pseudo-intellettuali anziché dare ritmo e colore alla vicenda, che invece risulta a più riprese scialba. Tema molto interessante, un po' come la storia, che però non è stata sfruttata al meglio. A salvare il tutto ci pensano l'ottimo cast (tranne Mastroianni, scialbo come la messa in scena) e l'ottima fotografia, nonché alcuni bei momenti in cui la mano di Bolognini si sente. Non male, ma ci si dovrà accontentare.
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