Il consueto settetto stavolta è radunato per liberare un ideologo rivoluzionario (come nel nostrano Un esercito di 5 uomini) detenuto in una prigione-fortino retta da un colonnello sadicissimo. Niente di nuovo sotto il sole (iberico), naturalmente, ma solido artigianato e cast di veterani della serie B a loro agio col cappellone come lo saranno poi più o meno tutti nel poliziesco metroplitano del decennio a venire; c'è anche Jorge (o George) Rigaud, pluridecorato caratterista dell'eurowestern. Fra i personaggi Emiliano Zapata bambino (!)
Dopo il pessimo secondo capitolo, la parte del protagonista viene rilevata da George Kennedy, che ne cambia l'aspetto da duro per dargli un animo leggermente più umano. Affiatato il cast di volti più o meno noti e buono il ritmo, che non dà un attimo di tregua allo spettatore. Tema musicale sempre splendido e convincente di Bernstein.
Persi gli attori feticcio dei primi due capitoli (Brinner presente in entrambi e McQueen solo nel primo), la saga dei magnifici sette acquista la routine dei prodotti di discreto artigianato cinematografico. Questo terzo episodio ha una vicenda differente dai primi due e grazie a George Kennedy e ad un gruppo di attori tipicamente da b-movie si lascia piacevolmente vedere grazie anche ad una regia di mestiere piuttosto efficace.
Terza puntata della saga lanciata, nel 1960, da John Sturges. Ormai, si è capito che, fatto il capolavoro, non resta che seguire lo schema dei b-movie. Per questo l'assenza di Yul Brinner nel ruolo di Chris, sostituito dal più bonario George Kennedy. I sette hanno comunque dei volti noti al pubblico del grande e del piccolo schermo, mentre la colonna sonora rimane indelebilmente quella del primo film. Non ci si annoia, anche se George Kennedy (che avrà più fama nelle saghe di Airport e Una Pallottola spuntata) non è Yul Brinner.
Terzo capitolo della pattuglia dei sette pistoleri, che questa volta vengono ingaggiati per liberare il capo dei rivoluzionari messicani (il profeta disarmato Fernando Rey). Regia di mestiere, azione discreta e trionfo della causa ideale sul denaro del compenso. George Kennedy prende il posto di Yul Brynner, mentre l’epica colonna sonora resta quella di Bernstein, comune all’intera tetralogia; tra i magnifici sette spiccano le doti di Whitmore, anziano lesto di coltello, e del forzuto nero Bernie Casey.
MEMORABILE: «I vigliacchi muoiono mille volte; i coraggiosi, una sola».
Questa volta i magnifici sette sono coinvolti più in questioni politiche che di banditismo e, se non fosse per il titolo e la mitica colonna sonora, a fatica si potrebbe collegare al filone ben iniziato e mal progredito. Forse avrebbe avuto anche una critica migliore, se fosse stato venduto diversamente, ma la tentazione di sfruttare ancora il successo del primo ha prevalso. Attori completamente diversi e qualche tentativo di copiare alcuni caratteri del capostipite non aiutano a digerire un western tutto sommato non peggio di tanti altri.
Dopo il capostipite, è il migliore della saga. La formula è ormai consolidata, affiora anche qualche ingenuità, ma il ritmo è buono e la natura "politica" della missione (far evadere dalla prigione un ideologo della rivoluzione messicana) gli conferisce un pizzico di spessore in più, accentuato dalla presenza, tra i personaggi, di Emiliano Zapata bambino... Certo George Kennedy può soltanto far rimpiangere Yul Brinner, ma gli altri attori se la cavano bene, in particolare Whitmore. Colonna sonora di Bernstein, come da consuetudine.
MEMORABILE: "Se vuoi dimmi come sei diventato monco e io ti spiegherò cosa vuol dire essere negro".
Non male questo terzo capitolo, che seppur orfano di pezzi grossi delle precedenti avventure, fa di necessità virtù e li rimpiazza con personaggi ancora più estremizzati, come il cecchino monco ("In uno scontro ravvicinato le prenderei anche da una ragazzina") e l'ombroso malato, che tossisce in continuazione, ma troverà chi lo accudisce. Gli altri, vecchio compreso, completano il quadro dei sette che, come al solito, proteggeranno i deboli da uno spietato aguzzino (il colonnello). Discreto ritmo per una pellicola, che si guarda senza problemi e, soprattutto, senza troppe pretese.
MEMORABILE: "Come ti chiami, ragazzino?". "Emiliano Zapata"; La crisi notturna del monco; Seppelliti con la testa fuori e calpestati dai cavalli dei soldati.
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