Quando ti aspetti faville da una seconda parte che credi fulminante e feroce come la prima, e ti ritrovi un seguito lento, picaresco zeppo di chiacchiere e ideologie politiche, rimani deluso e con un palmo di naso.
Purtroppo questa seconda parte sulle imprese criminali di Mesrine delude alla grande, con un Cassel più istrionico e debordante che mai, trasformista che manco fosse il Luca Barbareschi del "Grande bluff", commediante e quasi caricaturale.
Richet (che gira sempre da dio comunque), dà troppo spazio a Cassel, di un Mesrine guascone che tiene show mediatici , si comporta come Robin Hood, vuole militare nell'estrema sinistra e collaborare con i terroristi italiani (sullo sfondo della vicenda-i caldi anni 70-Pino Chet e il rapimento Moro) e liberare i prigionieri dalle carceri di massima sicurezza.
Richet abbandona la regia "americana" virtuosistica e l'escalation di violenza del primo episodio, per concentrarsi sul lato psicologico di Mesrine, le sue sfida alla polizia (con un ispettore con la barbetta alla Marco Ferreri), le sue evasioni rocambolesche e il suo carisma da criminale mediatico.
La violenza è contenuta , a parte un terribile pestaggio furente ad un giornalista che lo ha diffamato, all'interno di una grotta e al sanguinoso e feroce finale che pone fine, una volta per tutte alla carriera criminale di Mesrine. Che è si girato da Richet in maniera quasi depalmiana, ma tirato un pò troppo per le lunghe.
Anche i personaggi femminili che le gravitano attorno hanno meno spessore incisivo del primo-bellissimo-capitolo. La Sylvie di Ludivine Sagnier è si una "gattina" da sturbo (gira in sottana di pizzo sculettando come una zozzona per casa), ma è piuttosto sciapa in quanto a carisma femmineo se paragonata con le tre donne del primo capitolo.
Richet guarda più al polar francese dei Corneau e dei Melville, con almeno la bellissima scena della fuga di Mesrine e del suo socio François Besse tra i boschi della campagna francese, con attraversata del fiume stile
Un tranquillo week end di paura.
A parte qualche buon momento (Mesrine e Sylvie che scorrazzano a Parigi con la Bmw nuova fiammante e ascoltano a tutto volume" Non, Je Ne Regrette Rien" della Edith Piaff, l'incontro in carcere con la figlia), questo secondo e ultimo atto delle gesta di Mesrine mi ha deluso fortemente, con momenti noiosi che girano a vuoto su 128 minuti di film, tra discorsi politici, rapimenti di vecchi miliardari filosofi e un sentore di spacconerie picaresche che smorzano il potenziale del film.
In compenso bellissima la partitura sonora di Marco Beltrami, che và da sonorità carpenteriane a quelle herrmanianne.
Lontano anni luce dal furente,violentissimo, emozionante e tarantiniano primo atto.