Un'opera davvero unica: uno dei rari geni dell'Italia moderna si mette a nudo nei panni di un pazzo che sproloquia su di sé e su ciò che lo circonda, affastellando deliri contorti, sagaci aforismi e lucide intuizioni. In un'ambientazione esplicitamente artificiale un grandissimo e autoironico Zavattini esplode in un accorato poema ramingo sull'umanità, che obbliga lo spettatore a una relazione intensa con parole e pensieri che vivisezionano le nostre certezze. Coraggioso, libertario, folle, necessario.
Dopo una lunga gestazione (tra i possibili protagonisti Jannacci o Benigni), Zavattini si concede alla regia con quest'unicum che è un personale affresco sull'umanità (che ai suoi occhi appare sempre più persa). Quando si mette a nudo il proprio pensiero c'è sempre il rischio, a seconda del fruitore, di poter passare per delirante, utopico, geniale, retorico, qualunquista o cos'altro. Però ci sono sagacia, ironia, passione e soprattutto coraggio. Va oltre la telecamera: è cibo per la mente. Da vedere tutti i giorni ad ogni ora su tutti i canali.
Opera che è poco definire bizzarra (scrive Giusti: "quando lo vedemmo a Venezia nel 1982 restammo tutti allibiti"), che è quasi illogico definire tramite i pallini della valutazione. La parte migliore è quella iniziale, quando la mente è fresca e riesce a cogliere i riferimenti nel veloce sproloquio del protagonista. Poi si incarta un po' su se stessa, fino alla fase un po' confusa dell'incontro col Papa (impersonato da Zardini, il celebre Fonelli...). Benigni ci stava bene. Curioso, non agevole, qua e là geniale, qua e là molto contorto.
MEMORABILE: Zavattini, mussolineggiando: " Ho vo-lù-to che ve-dè-ste qué-sto..."
Con un istrionismo concitato alla Dario Fo, Zavattini tocca temi cruciali dell'esistenza, dal laicismo che dialoga ironicamente con il credente, al valorizzare il sublime e il "sacro" del quotidiano, infrangendo il tabù della bellezza e importanza degli organi riproduttivi, proponendo una sessualità libera ma senza sfruttamenti e puntualizzando l'educazione alla pace addirittura dal feto. Il tutto con un botta e risposta al ritmo serrato e delle trovate surreali originali, con provocazioni ardite ma senza eccessi, sempre con un linguaggio garbato.
MEMORABILE: Le lettere vomitate, simbolo di corporalità semantico-lessicale; L'incontro col Papa.
Non c'è via di mezzo, questo tipo di film o li ami o li odi. E anche questo non fa eccezione. Un delirio di un'ora sulla vita e sull'umanità che doveva avere il volto di Roberto Benigni, ed effettivamente ci sarebbe potuto stare. Non di facile fruizione, ha dei picchi di autentica genialità e mostra un sorprendente Zavattini anche dal punto di vista scenico. Il suo continuo sputare parole e concetti fa sì che la mancanza di una vera trama non si noti mai. Opera rara e da vedere almeno una volta.
MEMORABILE: L'odio è lucido come l'albero di Natale.
Una specie di grande comizio o predica laica davanti a un pubblico di diversa ideologia; con forte passione Zavattini si cala nei panni di un folle che per procrastinare il suo internamento sciorina tematiche sociali e filosofiche tanto necessarie quanto insolubili. Molto televisiva e artificiale la messa in scena volutamente spartana e sgangherata che ricorda alcune performance di Dario Fo. Incuriosisce l’imprevedibile e vorticoso inizio pieno di spunti e polemiche, dopo si avvertono alcuni rallentamenti e ci si stanca. Di rottura sì, ma datato.
Strambissimo film con Zavattini a briglie sciolte, bravo gigione nell'interpretare un vecchio ottantenne che fugge dal manicomio per predicare ai popoli. Non di facile lettura, senza dubbio: le quattro "a", il camice da matto, la parlata delirante sono dei paraventi per lasciar passare il messaggio di Zavattini stesso che per vergogna non vuole assumere toni troppo seri? Oppure sono una grande satira dei santoni mediatici che discernono dei temi più diversi? Difficile dirlo, ma la sceneggiata è geniale e si fa seguire con gran interesse, almeno fino alla fumosa parte col papa.
MEMORABILE: Le smorfie e la cadenza di Zavattini; Il canale degli italiani, dove tutti dicono la loro.
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