Note: Aka: "Portrait of a Bourgeois in Black"; "Nest of Vipers"; "Retrato en Negro de la Burguesía"; "Porvariston Muotokuva"; "Die Nackte Bourgeoisie"; "Moeurs cachées de la bourgeoisie". Ispirato dal romanzo La Maestra di Piano (di Roger Peyrefitte)
La borghesia in nero è quella del ventennio fascista attiva, in una Venezia decadente e crepuscolare, a compiere atti e gesta (a sfondo erotico) ben celate dietro la facciata del perbenismo e della moralità. Tonino Cervi (figlio del celebre Gino) realizza un'opera decisamente accattivante grazie al variegato (ed eccellente) gruppo d'attori, all'ottima scenografia, alla presenza della Muti particolarmente ispirata/aggraziata e all'uso (non indifferente) di una rimarchevole colonna sonora, realizzata dal trio Bixio-Frizzi-Tempera. Da segnalare la presenza di Capucine, morta suicida nel 1990.
Tratto dal romanzo "La maestra di piano" di Peyrefitte, è un ritratto piuttosto riuscito ed efficace della classe borghese decadente e corrotta del ventennio fascista nella città decadente per eccellenza, Venezia. Sullo sfondo della città lagunare si svolge la torbida vicenda diretta da Tonino Cervi, che utilizza bene la suggestione dei luoghi e ben dirige un cast abbastanza ispirato.
(Poco) arsenico e (molti) vecchi concetti. Sporca borghesia, con te muoia l'ipocrisia, ma entrambe sopravvivono e prosperano. Il bel racconto di Peyrefitte non era un atto d'accusa antiborghese, ma una tragica storia di vero amore. Qui, l'azione si sposta a Venezia (e ti pareva...), e il ritratto della famiglia borghese è la cosa meno riuscita del film, mentre colpisce il personaggio di Mattia, col suo malaccorto opportunismo. Funziona anche la Muti, alla quale il film non chiede che uno sguardo e un corpo. Molti cliché, ma fa il suo effetto.
Il calligrafismo della Venezia decadente e un romanticismo scandalistico da romanzo d’appendice annebbiano la potenziale intensità dell’amore folle o tormentato, che riemerge con certo vigore quando, all’avvicinarsi dell’epilogo, il nero stinto del ritratto della borghesia del Ventennio si ritocca di giallo e di rosso. Il quadro risultante è degno di essere appeso per l’accuratezza della messa in scena, un Patrizi all’uopo timido e spaesato e una Berger in rapida consunzione psichica; rimarchevole anche la Muti, sguardo fanciullesco ma volitivo ad ogni gesto risolutore.
Il ritratto di borghesia del film è la cosa più riuscita della pellicola, grazie anche alle dissolute contaminazioni dei suoi personaggi. In una Venezia crepuscolare e decadente, ma sempre tanto affascinante, si snodano le storie di alcuni borghesi in cerca di linfa vitale, come fuga da un'esistenza forse troppo statica. La Muti è una bella statuina ed è la sua avvenenza l'apporto maggiore al film. L'erotismo è raffinato e il copione ha un sottotesto omoerotico che dà alla pellicola quel quid in più. Suggestivo.
Film discreto (**½) ma con titolo sbagliato, che non corisponde allo svolgimento. La satira alla borghesia che esso fa presumere è presente in maniera infinitesimale (al punto che si fa quasi il tifo per i "colpevoli"), mentre lo scenario fascista è, appunto, solo uno scenario. Non che ciò sia errato, ma è il titolo, come detto, che non quadra. Il film funziona: ambientazioni splendide, recitazioni spesso buone (Borromeo è il meno riuscito, ma Senta Berger, Capucine e Bonacelli sono perfetti, mentre Patrizi se la cava, non male la Muti) e finale (momento spesso critico in queste operazioni) che regge.
Una raffinata ricostruzione delle vicende sentimental-amorose di un gruppo alto borghese nella Venezia del ventennio. Passioni ed intrecci visti con uno sguardo compiaciuto e al tempo stesso morboso. Discreta la ricostruzione scenografica con la decadente Venezia a far da sfondo. Appropriato il cast con il bel dualismo Muti-Berger.
Cervi centra l’atmosfera di una Venezia paludosa, che fa (sia pur convenzionalmente) tutt’uno con un fascismo che mostra già i prodromi del suo funereo trionfalismo e una classe sociale spaccata tra decadenza morbosa e ricchezza opportunistica. In questo contesto di languida claustrofobia, l’elemento erotico trova filmicamente un senso, senza titillanti ostentazioni onanistiche, almeno fino al clamoroso scivolone del rapporto saffico Berger-Muti, che manda tutto in mona. Fastidiosi gli effetti flou e Patrizi, Borromeo in parte, Bonacelli e Capucine grandi.
MEMORABILE: L'assennatissimo leitmotiv di Vince Tempera.
Buona produzione di Tonino Cervi che alla sceneggiatura, oltre che di Frugoni, si avvale anche di Goffredo Parise. Un storia torbida, vischiosa, ambientata nell'Italia fascista in cui già si sentono venti di guerra. La trama semplice è però ben congegnata e il finale è emblematico. Ottima l'ambientazione in una Venezia come sempre nostalgica e decadente, con ottima fotografia della città di notte scarsamente illuminata. Senta Berger è bellissima e appassionata. In generale tutto il cast sembra ben coinvolto. Buona colonna sonora di Vince Tempera.
Alla fine del film (e forse anche durante) ti accorgi che il ritratto della borghesia professato nel titolo non è pervenuto, se non marginalmente. Resta un campionario di umanità, di volti e di vicende che affondano spesso e volentieri nel pruriginoso, inscenato in una Venezia fascista ben ricostruita e incarnata da un folto cast ma, in definitiva, sia la pellicola sia la recitazione non lasciano il segno. Molto buone le musiche.
La critica alla borghesia rimane sullo sfondo (anche se, alla distanza, emerge impietosa) per privilegiare i contorti rapporti tra i protagonisti, in cui l’erotismo è soffuso e allusivo e lascia sufficiente spazio all’immaginazione. La ricostruzione della Venezia del ’38 è elegante e rigorosa e nel complesso gli attori sono più che adeguati (in particolare la Berger, splendida in un'interpretazione lancinante e Pagni, che nella sua breve apparizione ruba la scena a tutti).
MEMORABILE: L’ossessione di Amalia per la guerra; Il confronto e la seduzione tra Carla e Elena; Lo scambio di cortesie tra Mazzarini e Franchetti.
Titolo bello ma fuorviante per una vicenda che avrebbe potuto svolgersi in qualsiasi altra epoca e in qualunque altro paese. Comunque il triangolo amoroso viene raccontato con efficacia (ma il risvolto saffico si poteva evitare). Cervi dirige con eleganza e beneficia di una rigorosa ricostruzione scenografica e di un cast in ottima forma: la Berger offre una delle sue prove migliori, impeccabile la coppia Bonacelli/Capucine, i giovani se la cavano, Pagni compare solo nel finale ma lascia ugualmente il segno. Belle le musiche di Tempera.
MEMORABILE: Quando scoppia la passione tra la Berger e Patrizi; Il finale.
Dopo Visconti gli umori marcescenti della laguna dovrebbero essere interdetti a qualunque altro regista e invece... Cervi confeziona un superficiale polpettone a base di sesso, omosessualità e conflitti edipici scontato come un brutto sceneggiato televisivo (di allora; oggi accade di peggio). La cornice storica, di rilievo minimo, vale quanto un'altra e la messinscena non raggiunge nemmeno l'onta del calligrafismo.
In una Venezia pittorica, su note languorose e fatali, con il fascismo e l'imminente guerra sullo sfondo... Senta Berger e Ornella Muti (sensuali) officiano riti erotici calligrafici semi-catatonici e semi-automatici, coadiuvate dai maschietti di turno, colorando di presagi tragici e turbamenti di varia risma l'ambigua atmosfera. La regia non è da orticaria, la fotografia ha stile, gli interpreti si prodigano per la causa. Non un gioiello ma tutto sommato scorre e suscita curiosità. Non male, almeno concettualmente, l'epilogo.
L'ambientazione veneziana della prima metà del secolo scorso, se utilizzata con misura, garantisce eleganza alla pellicola e l'obiettivo viene qui raggiunto attraverso una certa ricercatezza formale. L'azione è adeguata alla narrazione ma, a gioco lungo, conduce un po' alla noia. Presenta un bel finale, abbastanza a sorpresa. Buone le interpretazioni degli attori (Bonacelli e Capucine su tutti), con una Berger bellissima. Bella la colonna sonora.
Storia torbida che il talento di Cervi sa esaltare negli aspetti satirici verso un'ipocrisia di una borghesia dipinta con poca pietà, che si astrae dalla contingenza per assumere spesso caratteri universali. Buona la sceneggiatura. Il cast di livello, in cui primeggia una Berger molto intensa, è piuttosto coinvolto. La confezione è discreta, a parte le musiche del bravo Tempera che qui si fa prendere talvolta la mano e risulta invadente. Nel complesso un buon film, con momenti piuttosto coinvolgenti, che non annoia mai nonostante un ritmo piuttosto lento. Merita una visione.
MEMORABILE: Il primo approccio fra la Berger e Patrizi; La sottile ipocrisia che pervade i dialoghi; La scena finale.
Giovane pianista si divide tra due donne di età diverse. Il “nero” del titolo centra solo per il periodo fascista, ma il film ha tinte più “rosa” che altro. Nudità sparse e cadute nell’eros distraggono dalla critica alla borghesia decadente e con la guerra in arrivo. Grande presenza del trio di bellissime, con la Muti misurata e la Berger disinvolta; ai margini Capucine. Sul versante maschile, bravo Bonacelli; per i ragazzi Patrizi fa quel che può, mentre Borromeo è insopportabile (anche se il ruolo è da caso clinico). Location di pregio.
MEMORABILE: Le voglie per strada; L’approccio della Berger alla Muti.
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Direttamente dall'archivio privato di Buiomega71, il flanetto di Tv Sorrisi e Canzoni della Prima Visione Tv (venerdì 24 settembre 1982) di Ritratto di borghesia in nero:
Tema principale di Vince Tempera (era il 1978 e il buon Vince stava iniziando a scrivere sigle per i cartoni in tv e si stava affrancando dal trio con Bixio e Frizzi):