Premetto che non è il mio genere e che, per convincermi a vederlo, hanno dovuto legarmi come Hannibal Lecter e mettermi pure la museruola. Detto questo, il film non è male, ha una brava protagonista (convincente), invischiata in una losca e sporca storia (regna il Dio Denaro), si può indubbiamente vedere, ma ha una lentezza di fondo che, alla lunga, sfianca. In più, il finale lascia un po' perplessi, quasi che il regista fosse arrivato a un punto morto e non sapesse più che fare.
MEMORABILE: Lorna si autopesta (per ben due volte) per dire che il marito tossico la picchia e ottenere il divorzio.
Com'è consuetudine del loro cinema, i fratelli Dardenne (esponenti di punta del cinema belga), si occupano di problematiche sociali (in questo caso l'immigrazione, la legalità e la tossicodipendenza) non concedendo nulla allo spettacolo e in modo quasi cronachistico (riprese realizzate con camera a mano, nessuna colonna sonora). Il messaggio del film giunge allo spettatore in modo diretto e senza mediazioni. Bravissima la protagonista.
Esponenti dell'iperealismo belga (anzi forse sarebbe meglio dire vallone visto che la cinematografia fiamminga parte da altri presupposti, più autoironici e leggeri), i fratelli Dardenne non si smentiscono con questo film tutto impostato su temi sociali e girato nella solita maniera asciutta. Non sono degli ottimisti i fratelli di Liegi; di personaggi positivi nei loro film se ne vedono sempre pochi e, quando ci sono, sono donne come la bravissima Arta Dobroshi, che dà credibilità a tutto il film.
MEMORABILE: Lorna tutta felice perché ha un locale con il giardino in cui potrà mettere i tavoli d'estate non sapendo pero che l'estate in Belgio non esiste.
Difficile trovare un film dei fratelli Dardenne che non sia cupo o triste, che non tratti di vicende di profonda sofferenza umana. Anche il Matrimonio di Lorna non fa eccezione. La protagonista è coinvolta in un traffico di "cittadinanze" che la metterà di fronte a difficoltà di ogni genere. Un film cupo e asfissiante che nella sua lentezza disegna trame circolari che si chiudono in un imbuto di depressione e impotenza. Ancora una volta i fratelli Dardenne colpiscono allo stomaco. Il loro cinema verità è di quelli che ferisce l'anima.
I personaggi borderline, quelli che soffrono, vivono, si disperano, si innamorano, lottano per qualcosa di reale: questo è il cinema dei fratelli Dardenne. Si cambia cifra stilistica: dal taglio fortemente asciutto e documentaristico di Rosetta, si passa ad uno più ammiccante e meno ostico, ma non per questo meno incisivo. Lorna è in balia di un vortice fatto di immoralità, cattiveria, egoismo; i fratelli sono sempre attenti nel descrivere le pieghe malate della società e a dare voce alle persone che non possono parlare.
Lorna è un personaggio abbastanza indecifrabile. Alla fine si rivelerà donna, una vera donna primordiale che ha e ha sempre avuto il gravoso compito del mantenimento della specie. Al contrario agli altri protagonisti, tutti uomini, della specie non frega niente. Troppo intenti nelle loro debolezze e nei loro egoismi. Il film è impostato bene, mantiene lati oscuri che si aspetta di scoprire, ma non sono quelli lo scopo della vicenda, è una falsa pista. Esagerano un po' però i fratelli Dardenne e non azzeccano i tempi. Brava la Dobroshi.
Il girare dei Dardenne è questo: invisibili, sempre addosso al protagonista, incredibilmente presenti nei silenzi. Per carità, film insulsi non ne hanno mai girati, però la loro personale pesantezza avrebbe bisogno di qualche peculiarità; e non mi riferisco alla scrittura, lucida, diretta, chiara, spietata; piuttosto alla forma. Insomma, secondo me la loro dimensione è proprio quella del premio che hanno ricevuto a Cannes per questo film: la sceneggiatura.
Come è costume dei Dardenne c'è poco da romanzare o edulcorare: la vita di chi sta ai margini è teatro di scontri crudeli e motivazioni tutt'altro che nobili. Il tutto intrecciato allo scorrere delle persone e delle istituzioni "normali", che per la verità più di tanto non possono fare. Asciutto, efficace nella sua essenzialità, dogmatico nell'assenza di musiche. Un buon film.
I fratelli Dardenne hanno un’idea precisa di cinema "sociale" e la perseguono pervicacemente (e meritoriamente) nel loro stile “semplice” e sobrio, privo di qualsiasi “orpello” (ancora niente musica). Anche questo film non fa eccezione. A colpire sono come al solito i personaggi che, specie quelli principali, vengono tratteggiati in modo attento e credibile. Il tutto senza dare giudizi e risposte sommarie e senza pietismi, furbate di sorta e affini. E colpisce emotivamente la presa di coscienza della protagonista. Bravi!
Uno dei migliori film dei Dardenne: preciso, potente, incisivo. Come sempre, la complicata problematica sociale (qui una vicenda di compravendita di cittadinanza) vela un discorso etico che va dritto al cuore della realtà. Bressonianamente, infatti, è nella concretezza materica e corporea delle cose il fulcro non solo della difficoltà dell'esistenza ma pure di ogni possibile spiraglio di salvezza. La protagonista lo sa e lotterà con tutta sé stessa per affermare tale verità dimenticata, fino allo splendido finale.
I fratelli belgi rinunciano provvisoriamente agli inseguimenti emotivi della macchina a mano per inchiodarci alla staticità della 35mm, in grado tuttavia di restituire la irreprimibile corporeità dei loro personaggi border line, come il corrotto circuito chiuso della mercificazione di uomini ridotti a cose (l'insistenza sul denaro, l'iterazione dell’appellativo “il tossico”). Il film stesso però pare perdersi asfitticamente dentro la sua claustrofobica afflizione, nonostante il bell'escamotage rosselliniano (o dreyeriano) della "folle" maternità di Lorna.
MEMORABILE: I jeans, la borsetta, il caschetto, gli occhi, l’incedere di Arta Dobroshi; Lorna che si spoglia per placare la crisi d’astinenza di Claudy.
È molto intensa e commovente la storia di Lorna, una immigrata albanese in Belgio che per ottenere la cittadinanza accetta un finto matrimonio con il drogato Claudy, per il quale arriva a provare coinvolgimento affettivo, aiutandolo a disintossicarsi. Lorna è un bel personaggio perché, pur costretta a stare al gioco nelle mani di affaristi senza scrupoli, riesce a mantenersi pulita e fedele a una sua coerenza morale. I Dardenne ancora una volta colpiscono con la loro cruda analisi sociale. Finale un po' debole.
La macchina da presa è incollata a Lorna, la protagonista; la segue, la spia, ne restituisce ogni dettaglio del comportamento; a volte riesce a entrare nei suoi pensieri, lucidi o contorti, imprevedibili o condizionati dalle circostanze. Ma non è importante, forse, quello che lei pensa ma come agisce. E in questo è molto della bellezza del film. Asciuttezza, semplicità e naturalismo: celluloide contemporanea travata di classicità (penso a certo neorealismo italiano), pessimista e tragica.
Asciutto e tagliente, in puro stile Dardenne, eppure in grado di suscitare crescente empatia nei confronti di Lorna. Ben reso l'ambiente, in cui domina ora il cinismo dell'interesse e del denaro ora una gelida burocrazia. Accurata la caratterizzazione di tutti i personaggi. Ma è soprattutto il cortocircuito emotivo a far breccia nello spettatore, quando irrompono nella protagonista le ragioni del cuore, sotto forma di istinto materno, proiettato su un tossicodipendente e sulla vita che lei "vuole che le si agiti nel ventre. Brava la Dobroshi.
Matrimoni combinati con l'aggravante del sacrificio umano, ma qualche sentimento scompagina le carte. Affondo dei Dardenne nell'esigenza di avere la cittadinanza belga a qualunque costo e senza pietà: peccato che la fase di ripensamento sia poco incisiva e con un'introversione impulsiva senza futuro. Tensione narrativa grazie a Rongione, anche se la protagonista (quando si ferisce) lascia il segno. Contesto ambientale freddamente tipico dei registi.
Buon film dei fratelli Dardenne, che raccontano una realtà triste e dura con stile asciutto e freddo. Non c'è colonna sonora né spettacolarizzazione cinematografica. Solo la telecamera a mano e un discreto gruppo di attori. Arta Dobroshi, che sorride meno di Greta Garbo, è bravissima nel ruolo di una donna tormentata. Una figura femminile tra le più interessanti del cinema degli ultimi quindici anni. Ovviamente lo stile secco fa sì che qualche momento sia un po' più blando, ma non c'è mai vera noia. Location finale abbastanza simbolica del cambiamento della protagonista. Buono.
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Ci sono stato tre volte e non ho mai beccato un giorno di sole! Però l'atmosfera è unica, soprattutto quando ammiro le fantastiche classiche del nord alla televisione
Dal vivo la metà, forse di più, del pubblico è già ubriaca verso le 11 di mattina e quando passano i ciclisti non distinguerebbe più Cipollini da Merckx.
Comunque il sole ogni tanto esce fuori e la luce, soprattutto d'inverno, è veramente molto bella.
DiscussioneZender • 19/07/16 17:52 Capo scrivano - 47782 interventi
Decimamusa, il commento deve essere per l'appunto un commento sul film e, come scritto tra le tre regole riportate sul modulo, deve contenere per almeno oltre metà dello spazio il tuo parere sul film, non la trama o curiosità o altro.
Nel tuo commento il tuo parere era solo: Asciutto e tagliente, in puro stile Dardenne e, prima, un'eccellente Arta Dobroshi.