The Brown Bunny - Film (2003)

Un tizio on the road per gli States che cerca di dimenticare l'amore della sua vita ma la cosa non riesce e il suo faccione non riesce mai a prendere vita. Dopo il successo di Buffalo 66, Gallo si prende la licenza di fare il classico film dannato e scandaloso. Peccato che oltre a due canzoncine country e al flashback finale (che vorrebbe spiegare la sofferenza dell'intero film) ci sia piattezza narrativa e molta presunzione registica. Non manca la solita scena scandalo - una fellatio in presa diretta - messa ad arte per far parlare.

Un buon film diretto e senza fronzoli. La scena della fellatio in particolare è stata ben realizzata, l'attore era visibilmente eccitato ed è riuscita alla perfezione in quanto praticata effettivamente dall'attrice scabrosa del cinema indipendente americano. Un film personale e sofferto, non un'opera trash, non un'opera solo scandalistica. Da un autore narcisistico un'opera interessante sotto molteplici aspetti.

Qui on the road significa senza casa, senza vita, senza scopi, anche se a fargli compagnia c'è la moto, fedele sulla pista, fedele sul sale e fedele sul furgone. Sulla strada c'è solo gente sola, sola come lui, pronta ad accettare dolcezze e attimi, piccoli attimi, di illusione. Mi piacerebbe, ma devo guadagnare, gli risponde Rose, la giovane prostituta, ma lui ha bisogno di Daisy. E trova Daisy, ma non è più lo stesso. Girato male, volutamente? Sembra di sì visto l'effetto che sortisce, la solitudine e la disillusione rappresentate efficacemente.

Film presuntuoso nella regia, furbissimo nel finale tanto da finire immeritatamente al 56° Festival di Cannes. Per trasmettere una sensazione di solitudine on the road in cotanto stile non ci vuole un regista professionista, anzi, non ci vuole proprio un regista. La scena finale in cui la Sevigny si prodiga nella fellatio e in un accenno di stupro suscita una curiosità fine a se stessa. Perdibile.

Dopo il felice esordio Gallo si ripropone ponendosi al centro della vicenda con brevi apparizioni a latere per ravvivare la scena. Il girato (siamo sempre di giorno) alla lunga non produce attimi di magia nel peregrinare nell’introversione, a parte brevi paesaggi o distese desertiche. Anche come regia gli spunti sono pochi e vivono solo sull'espressività di Gallo. Non male l’ultima parte, dove l’intimità prende il sopravvento e dà costrutto emotivo al personaggio.