Noir a tratti esistenziale ambientato nei bassifondi di Tokio, dove un poliziotto è alla ricerca della pistola rubatagli sul bus i cui sette colpi in canna non mancheranno di seminare morte per la città e senso di colpa nella mente del protagonista. la trama procede spedita ma a colpire di più è la descrizione della società post-bellica giapponese, con gente che cerca la risalita sociale (il poliziotto) mentre altri s'arrendono allo status quo (l'assassino). Kurosawa dirige con gusto, peccato per un paio di lungaggini.
Bel film di Kurosawa che parte come un noir per poi trasformarsi in un qualcosa di più drammatico e complesso, incentrato com'è su una ricerca che non è più solo materiale ma anche "etica" e che porta la mdp a ritrarre la vita dei bassifondi del Giappone con piglio quasi documentaristico-neorealista. I ritmi sono lontani da quelli di una pellicola di "genere" occidentale, eppure è proprio la lunga e dilatata parte centrale a costituire quel quid che rende il film particolare e lo fa distaccare da una semplice opera di genere.
MEMORABILE: L'attesa nella stazione in attesa di capire chi possa essere il colpevole. La fuga nel bosco.
Nora inu ovvero "Ladri di pistole" è cronologicamente il primo dei capolavori di Kurosawa. L'Imperatore mescola con magnifica originalità le lezioni del neorealismo italiano e del noir americano regalandoci un film straordinario, incandescente come il sole che avvolge la Tokio apres la guerre, imperlando costantemente le fronti della recluta Mifune e del commissario Shimura. Bildungsroman etico, storia di padri e figli putativi pieno di pietà, ma mai di compassionevole piaggeria per i "cattivi". Recitazione calibrata, regia lineare: non teme l'età!
Capolavoro etico e morale. Kurosawa filma ad altezza popolo entrando, con tutta l'umanità del suo cinema, nel lerciume soffocante dei bassifondi di un Giappone atterrito dalla guerra. Storie di miserie e miserabili, delinquenti e poliziotti come due facce della stessa medaglia, stessa sorte ma vite, rimorsi, sofferenze diverse. Tutto l’orgoglio, la virile compassione e gli stenti di un paese che arranca sulle macerie dell’animo e del buon senso. Regia asciutta ammantata di realismo. Sofferta testimonianza di una difficilissima risalita.
Kurosawa utilizza un banale pretesto (il furto) per sciogliere i propri doppi cinematografici nelle budella di una civiltà devastata nelle sue radici (una protagonista, l'americanina, abbandona il kimono per abiti occidentali) e ansiosa di risalire i gradini sociali senza più i riferimenti morali del passato. Un viaggio al termine della notte dove chi desiste dall'adattamento ai nuovi tempi non può che divenire un "cane rabbioso" da eliminare. La scena finale, dove, di fatto, il carnefice si rivela vittima, è il simbolo di tale visione. Bello.
Ad un poliziotto alle prime armi viene rubata la pistola, poi utilizzata per alcune sanguinose rapine. Per rintracciare il responsabile, il poliziotto ed un collega più esperto battono i quartieri più poveri e malfamati di Tokyo, avvolta da un caldo soffocante... Bel noir d'impronta neorealista in cui un evento casuale diventa il pretesto per una ricognizione dolente di una città in cui sono ancora fresche le ferite della guerra ed anche una riflessione circa la natura umana, dato che sia il poliziotto che il criminale sono ex reduci che avrebbero potuto prendere strade diverse.
MEMORABILE: Tutti vestiti di bianco, quale particolare può essere rivelatore?; L'inseguimento nel finale.
Anche se Kurosawa non ha mai ammesso pubblicamente certe influenze, è impossibile non rilevare analogie con il neorealismo italiano: in effetti la ricerca febbrile da parte del poliziotto della pistola sottrattagli e utilizzata per commettere un crescendo di crimini, appare soprattutto un pretesto per esplorare i bassifondi di un Giappone postbellico e la sua variegata umanità costretta a sopravvivere ai margini. Ottime la nervosa interpretazione di Mifune e quella pacata di Shimura. Peccato per il ritmo piuttosto lento, ulteriormente accentuato dalle due ore di durata.
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