Verso la fine dei Sessanta il quartiere parigino di Les Halles venne raso al suolo per essere ricostruito da zero. L’enorme buca prodotta dagli scavi deve aver ricordato al regista Marco Ferreri i grandi canyon americani, perché decide di ambientarvi un western surreale, che confonde i tempi e immagina che, nell'America di Nixon, Custer e il suo Settimo Cavalleggeri combattano contro gli indiani di Toro Seduto per cacciarli dalle case e farli tornare nelle riserve. In una tale confusione cronologica si muovono quindi due schieramenti. Quello indiano passa in secondo piano mentre quello americano comandato da George Armstrong Custer (Mastroianni) viene illustrato in ogni sua componente: ci sono il...Leggi tutto fratello di Custer (Franco Fabrizi), l’indiano doppiogiochista (Ugo Tognazzi), l’irascibile Buffalo Bill (Michel Piccoli) e persino un antropologo designato dagli alti vertici statunitensi (rappresentati da un baffuto Philippe Noiret) a fare non si sa bene cosa. Quest'ultima figura, impersonata da un giovanissimo Paolo Villaggio ancora molto sadico e lontano dai biascicamenti fantozziani, è l'unica a provocare qualche rara risata (anche perché si vede molto poco); per il resto il film di Ferreri, che nella battaglia finale nella buca sfoggia inattesi accenti splatter, preferisce puntare sulle assurdità della trama. Certo, gli intenti umoristici non mancano e la scelta di un attore come Tognazzi per uno dei ruoli chiave sta lì a dimostrarlo, eppure Mastroianni sembra anche troppo convinto della sua parte di eroe anacronistico finendo per non divertire. La sceneggiatura insomma non è delle migliori, per cui a noi resta nella memoria la notevole originalità dell'idea di base e poco altro. Mescolare il western classico con la commedia e le scenografie da film di guerra era un'idea, ma...
Ho sempre apprezzato il talento di Ferreri, ma quel suo essere grottesco, eccessivo, talvolta lo ha portato a girare film verso i quali nemmeno lo spettatore più ben disposto potrebbe provare trasporto. D'accordo, ci sono un sacco di grandi attori, ma non basta. Tognazzi e Mastroianni sono fuori registro e non ci si capisce nulla (ciò è probabilmente voluto dal regista). Inoltre la stessa trovata di svolgere un film pseudostorico all'interno dei lavori di abbattimento di un quartiere di Parigi è trovata "cerebrale", che non scalda nemmeno un po'.
La battaglia di Little Big Horn calata negli scavi parigini di Les Halles. La contestualizzazione surreale è geniale e consente al regista di costruire con la parodia del western un bizzarro apologo sulle trasformazioni economiche e sociali dei nostri tempi. Gli indiani che presidiano il cratere dove sorgeva l'antico mercato prima di cedere alle leggi del consumismo sono l'ultima forma di resistenza concepibile: e lo stile beffardo e grottesco di Ferreri ne è l'unico stile possibile. Film bislacco, cerebrale, rugginoso ma a suo modo intrigante.
Nato da un'occasione particolare, ossia la possibilità di sfruttare come set cinematografico il grande scavo per la demolizione dei vecchi mercati parigini, è un'apologo poco convincente che esaurisce nella curiosità della location il suo principale motivo di interesse, tanto è scontata e banale la satira del consumismo attraverso questa parodia western mal servita da dialoghi poco brillanti. Spreco di grandi attori, spaesati oltre il dovuto, ed una impressione generale di sciatteria, come se il pretesto (bello) bastasse a fare un film (bello).
Western allegorico che, giocando con il parallelismo tra la speculazione edilizia dell’era capitalista e il colonialismo americano a danno dei pellerossa, si protende all’attacco della borghesia oppressiva e intollerante e nel sostegno delle battaglie sociali combattute da tutti i diversi e gli emarginati; ma pur affilate e schizzanti humour nero e splatter, le armi sarcastiche di Ferreri e del fido Azcona sono respinte dalla soverchianza grottesca di un racconto farraginoso e dal gigioneggiare divertito del cast, che riunisce l’inclito quartetto risorto dopo La grande abbuffata.
Alla fine della visione di questo film il pensiero è: avrei potuto sfruttare meglio il mio tempo. Ma tant'è, se un film che ti incuriosisce non lo vedi, nessuno ti potrà raccontare di cosa si tratta e se inizi la visione devi poi portarla a termine. Questo per dire, usando i termini del pallinaggio davinottiano, che "inaccettabile vaccata" è abbastanza appropriato, come mio giudizio personale, con tutto il rispetto per Ferreri e il notevole cast impiegato. Preferibilmente il buco, nel cuore di Parigi, andava riempito con tutt'altro materiale.
Rivisitazione in chiave moderna-grottesca (in pieno stile ferreriano) della strage di Little Big Horn. Come molti film di Ferreri è un po’ ostico, non per tutti, spiazzante, di difficile valutazione e catalogazione. L’idea è sicuramente intrigante, ma la sua realizzazione non sempre è all’altezza delle intenzioni. In ogni caso le zampate graffianti non mancano e in alcuni casi vanno a segno. Incredibilmente ricco il cast.
MEMORABILE: Mastroianni Caster durante il massacro finale: “Chi per la patria muor vissuto è assai. Io invece per la patria vivrò, mica sono uno stronzo”.
Solito film alla Ferreri. Barocco, elaborato, ricco di riferimenti nascosti. Detto questo: non ho mai gradito il cinema complesso e d'autore come quello di questo regista, troppo soporifero e noioso. Qui abbiamo un grande cast, ma alla fine il film lascia insoddisfatte le aspettative: poche risate e tanti sbadigli.
Geniale l'idea del Maestro Ferreri di denunciare l'ennesimo esempio di cinismo postmoderno (l'abbattimento di un intero quartiere parigino, Les Halles, con conseguente dispersione dei clochards) facendo rivivere negli anni '70 la lotta del Governo statunitense contro gli Indiani d'America. La vittoria dei secondi sui primi nella battaglia in cui il neo-Custer (impeccabile Mastroianni) torna a perire non spazza via quel fastidioso senso di ineluttabilità che si lega alla perversa logica del "progresso", destinato sempre a vincere la guerra.
L'idea di partenza era buona: ambientare in una zona in ricostruzione di Parigi la rilettura della strage di Little Big Horn, con evidenti riferimenti alla politica USA (e non solo). Il film, però, è appesantito da dialoghi e situazioni francamente inutili, che ne rendono alla lunga faticosa e poco appagante la visione. Il cast attoriale prevede l'impiego dei protagonisti della precedente abbuffata contornati da altri grandi interpreti, ma tali talenti non vengono sfruttati appieno.
Trasposizione in grande stile dei quattro mangioni della Grande abbuffata a Little Bighorn. Il maquillage degli indiani-cittadini contro i soldati-capitalisti è interessante ma sconta un clima da farsa, e quando Ferreri prova esplicitamente a far ridere è sempre a denti stretti (si aggira anche un Villaggio pre-fantozziano, sardonico accademico). Noiret e Piccoli troppo impacciati da baffi e pose posticce; Mastroianni è centrale, non sfigura, ma come nella Grande abbuffata il più effervescente resta Tognazzi, indiano collaborazionista. Ad hoc il campo di battaglia-cantiere.
MEMORABILE: Mitch/Tognazzi: "Dovete uccidere Custer... mi tratta ancora come un indiano!".
Ferreri porta in scena le leggendarie gesta del generale Custer, di Toro Seduto, Buffalo Bill e tutto il caravanserraglio che ne deriva ambientandole nell'epoca di Nixon e a Parigi, fra gli elementi contemporanei di allora. Un'operazione simbolica, surreale e ironica che destabilizza la storia e racconta delle ingiuste disparità fra occidentali e autoctoni (descritti come selvaggi senza rimedio). Il risultato non è così spiazzante come si poteva prevedere, bensì noioso, pretenzioso, inutile.
Come noto, è un film strambissimo che, rispetto a non riusciti apologhi dello stesso Ferreri, può contare su interpretazione di livello (il livello dei nomi del cast è cospicuo), che rendono più facile la trasmissione del grottesco. Non che essa sia sempre riuscita, ma alcune zampate (basti pensare allo sterminio dei bimbi indiani nella ciminiera, chiaramente connesso all'Olocausto) vanno a segno. Il gioco degli anacronismi è talora eccessivo, ma tutto sommato funziona. Critica al Capitalismo talora di maniera, ma ci sta. La cava parigina ricorda gli spaghetti nelle cave del Lazio...
MEMORABILE: "Il presidente buono!" "Sono solo dei calzoni..."
A leggere i nomi del cast c'è da leccarsi i baffi, ma Ferreri sostanzialmente spreca una buona occasione affidandosi ad uno script disordinato che toglie interesse allo spunto iniziale, peraltro buono. Si ha l'impressione che il regista milanese insista troppo sugli aspetti grotteschi della vicenda e per la smania di épater le bourgeois a tutti i costi perda di vista la linearità del racconto e le poche buona frecciate al sistema si perdono lungo la strada. Molto buona la prova dell'incolpevole cast. Non particolarmente interessante, se non siete fans del genere.
La battaglia di Little Big Horn viene rivisitata all'interno di uno scavo parigino. Ferreri approfitta della location cittadina per una specie di parodia western dando qualche stilettata. Il cast è il meglio del cinema franco/italiano e Mastroianni è il più convinto nel reggere il clima grottesco. Tra gli altri, Tognazzi fa quel che può col personaggio dell'indiano venduto, Piccoli è il più divertente e la Deneuve e Noiret non ci credono tanto; Villaggio è inutile. Ferreri fa anche un cameo gratuito che denota scarsa voglia; discreti però i momenti della battaglia.
MEMORABILE: Le voglie della Deneuve; Il taglio di capelli di Mastroianni; La freccia conficcata nella donna bianca.
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Secondo Imdb il film dovrebbe durare 108'. Il sito italiataglia riporta una lunghezza della pellicola pari a 2780 m, che dovrebbero corrispondere a poco più di 101'. La versione passata su RaiMovie dura esattamente 87'28", quindi pare pesantemente tagliata!!! Eppure la pellicola uscì nei cinema senza alcun divieto...