(Baby vintage collection) Proviamo a rintracciare alcune delle idee prelevate (ma forse sarebbe più corretto parlare di citazioni, visto l’esplicito richiamo) da Sergio Pastore per questo suo thriller del 1972. Cominciamo dalla più smaccata: il protagonista cieco che ascolta una conversazione da dietro il separé di un bar senza capirne bene il significato viene diretta da 23 PASSI DAL DELITTO, già ripresa l'anno prima (ma meno spudoratamente) da Dario Argento nel suo GATTO A NOVE CODE. Sempre da Argento...Leggi tutto viene l’idea della registrazione d’una telefonata che permette di individuare la fonte grazie al verso di vari volatili in sottofondo. Le voci delle telefonate e l’abbigliamento dell’assassino sono di nuovo un chiaro richiamo ad Argento e la scena finale richiama direttamente la stessa di 4 MOSCHE DI VELLUTO GRIGIO (con un epilogo spudoratamente preso ancora dall’UCCELLO DALLE PIUME DI CRISTALLO) e verrà a sua volta citata dai Vanzina in SOTTO IL VESTITO NIENTE. Dal GATTO A NOVE CODE vengono pure la donna schiacciata dal metrò e la camera oscura del fotografo. A questo aggiungiamo l’ennesimo omicidio sotto la doccia derivato da PSYCO operato però con una tecnica presa di peso da THE GORE GORE GIRLS di Herschell Gordon Lewis (una scena splendida). Ci sono poi i manichini angoscianti delle SEI DONNE di Bava e qualche sequenza - film nel film - di UNA LUCERTOLA DALLA PELLE DI DONNA di Fulci. Le citazioni non si fermano qui, ma non si finirebbe più. Eppure, nonostante tutto, Pastore ha saputo miscelare bene le sequenze di questo film-mosaico creando un thriller interessante e spesso avvincente, ben interpretato da Anthony Steffen e da una Sylva Koscina che ci offre la vista del suo posteriore sotto la doccia. L'assassinio di Margot è di una efferatezza sbalorditiva, col rasoio che lacera seni e costole senza tregua e da solo vale il film. La fotografia è quella tipica dei thriller derivati da Argento e più in generale dei prodotti italiani di genere, mentre risultano piuttosto inutili le ripetizioni accelerate di alcune immagini scioccanti. L'atmosfera è ottima e, se da un thriller non chiedete poi chissà cosa, riuscirete ad appassionarvi seguendo una trama intricatissima.
Accettabile giallo con pesanti richiami argentiani. La storia non fila via logica (perché scappare dall'ospedale? perché lasciare l'indirizzo della vetreria?) ed ha uno spieghino finale oscuro, oltre ad infrangere una regola del giallo. Il film però si lascia guardare, con molto debito verso i bei colori e gli interni fotografati da Mancori, talora con effetti optical e quadri di Mondrian. La Incontrera, volto lungo, altero, incavato, è perfetta icona lesbica. C'è Imelde Marani che puttaneggia.
Remake non dichiarato di 23 passi dal delitto, con l’aggiunta di contrafforti argentiani (il meccanismo de L’uccello dalle piume di cristallo) e baviani (l’ambientazione nel corrotto mondo della moda di Sei donne per l’assassino). La sceneggiatura, grossolana e con non poche incongruenze, vanta qualche sequenza thrilling ben riuscita (la vetreria, la doccia di Psyco, il cieco Steffen braccato in casa sua dall’assassino) e la trovata degli scialli è originale benché improbabile. Gradevoli musiche di De Sica.
Thrillerino che si basa su presupposti abbastanza improbabili e attinge senza ritegno dai successi argentiani del periodo (L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code…). Violenza e tensione latitano. Film non proprio noioso ma che ristagna nella mediocrità fino all’intenso, violento (finalmente) finale. Non brutto, ma decisamente evitabile.
Premesso che resta - tutt'oggi - da chiarire se Pastore ha diretto o meno questo contorto (e poco efficace) giallo, quello che più rimane impresso è un finale al cardiopalma, che nasce come emulativo di Psycho (delitto nel bagno), ma è di una ferocia (considerato il periodo) davvero estrema.
Per il resto crolla l'impianto narrativo per l'insolito (ed impossibile) modus operandi del killer, che si avvale di scialli avvelenati e gatti! Il Sette del titolo va in coda alla "miniserie" di gialli con titolo numerico stile Sette cadaveri per Scotland Yard (che sono poi 9!)
Ennesimo giallo che si rifà, in modo più che abbondante, alla celebre trilogia degli animali di Dario Argento. Il film non riesce ad emergere dalla massa di prodotti analoghi del periodo e risulta potabile solo per gli ultra-appassionati del genere. Particolarmente fantasioso, e per questo anche molto improbabile, il modus operandi dell'assassino. Come spesso in pellicole di questo tipo la logica è molto traballante.
La caccia alla smagliatura nel copione dei thriller all'italiana (ma non solo, anche celebrati pseudo-campioncini alla Seven non sono da meno) è uno sport in fin dei conti un po' sterile: il giallo tricolore è questione di look, e da questo punto di vista il film di Pastore tutto sommato tiene botta, specie nella parte finale, dal rendez-vous nel cantiere in avanti. Certo non tutto fila liscio. Bravo Steffen (ma molto merito va a Sergio Graziani che lo doppia), improponibile la pettinatura di Rossi Stuart. Non male, dopotutto.
Giallo italiano piuttosto mediocre. Il ritmo è lento, gli attori poco memorabili e le musiche non troppo entusiasmanti. Si salvano solo la buona fotografia e un omicidio (alla Psycho) piuttosto violento. Per il resto un film decisamente evitabile, solo per appassionati.
Una volta fatta l'abitudine "visiva" ai fantastici abiti e pettinature dell'epoca, di questo film resta ben poco di godibile. La trama è abbastanza piatta e banale e il cosiddetto colpo di scena finale sembra creato più per dare la colpa al personaggio meno sospettabile di tutti che per seguire un vero filo logico. Imbarazzanti e rigidi i due protagonisti maschili.
Buon appartenente al giallo argentiano, con un ottimo cast su cui spiccano decisamente Anthony Steffen nel ruolo del pianista cieco che indaga e la bella Sylva Koscina superba, ma le bellezze femminili (Annabella Incontrera, Shirley Corrigan) non mancano così come i bravi attori (Rossi Stuart). Il tema musicale di Manuel De Sica è accattivante, l'omicidio finale della Corrigan è davvero inusuale per l'epoca. Non un capolavoro (con spiegone finale molto tirato per i capelli) ma piace.
Tra i vari gialli, giallacci e giallini Anni Settanta, mi sembra il peggiore che ho visto. A parte l'affastellamento, senza nessuna ironia, di citazioni da altri film del periodo, a parte il movente dei delitti, che proprio non sta né in cielo né in terra... ma è proprio noioso, non c'è un momento di vera tensione. E poi, ci vuole coraggio per trattare così l'unico personaggio al quale ci eravamo veramente affezionati. E ci vuole coraggio per far spogliare la Koscina per farle mostrare un lato B da massaia sedentaria...
MEMORABILE: L'atmosfera del negozio di animali, tutto sommato, per qualche secondo, può affascinare.
Visto con cognizione di causa, bastano i primi minuti per riconoscere le svariate "citazioni", soprattutto argentiane ma non solo. Poco male se non fosse che il film, al di là di una sceneggiatura con diverse falle, non riesce a creare una vera tensione, degna di questo nome. L'unico vero sussulto è il violento omicidio nella doccia. Finale inutilmente lungo, con "spiegone" relegato però ad appena un paio di minuti. Movente risibile un po' come l'arzigogolato metodo per commettere gli omicidi. Per appassionati incalliti dei gialli.
Veramente inguardabile. Nonostante sia un patito dei gialli italiani Anni Settanta, questo è proprio brutto. Copia e incolla spunti e trama da destra e da sinistra, non intriga, non scorre, con attori incapaci e personaggi senza alcun interesse. Un disastro. Starsene alla larga!
Tra la miriade di imitazioni argentiane degli Anni Settanta, si inserisce questo film di Pastore. A parte l'accumulo di citazioni da altre pellicole del genere (a partire dal protagonista cieco e curiosone, preso di peso da Il gatto di Argento), il film scade spesso nella noia e non è riscattato neanche dalla violenza, visto il basso tasso di splatter. Si salva giusto l'omicidio sotto la doccia (unica scena veramente truce) e qualche buon momento di tensione negli ultimi venti minuti. Interpreti accettabili, sceneggiatura claudicante. Improbabile.
Pastore si butta sul giallo argentiano, con tutti i crismi del genere, attingendo non poco dal Maestro stesso, così come da altri (il film nel film è Una lucertola dalla pelle di donna di zio Lucio). Ma, a parte un po' di confusione nell'esposizione, va detto che non confeziona un affatto un brutto film. Certo, nulla di trascendentale, ma l'omicidio cruento nella parte finale, con accanimento sul corpo indifeso della vittima alza la media... Rossi Stuart meglio di un monoespressivo Steffen. Molti i nudi. VM 14
Derivativo, eccessivamente derivativo questo giallo a tinte forti dove non si sa dove finisca la citazione e inizi la scopiazzatura spudorata. Inizialmente sembra partire bene, con un misterioso metodo di uccisione, ma quando inizia a delinearsi il quadro si scade nell'assurdo e nel ridicolo. Menzione speciale all'omicidio nella doccia preso da Psyco ma più sanguinoso (in bene) e alla pietosa sequenza finale assieme a quella dell'attentato nella fabbrica (in male).
MEMORABILE: L'omicidio nella doccia, l'unico momento buono del film.
Personaggi bidimensionali come quelli dei fumetti cui parrebbe tratto, che fingono di suonare il piano e cenano all'Hilton, posseggono case con splendidi armamentari vintage e frequentano lisergici atelier. Ecco un motivo valido per guardare questo film: farsi un'idea dell'immaginario lounge-chic che impazzava nelle fantasie italiche, fra sigarette accese in ogni dove e pruriginosi scandali sessuali. La storia è striminzita (il mantello? il gatto?), ma il film ha una sua soporifera fragranza che sa d'innocenza e di cinema con le sedie in legno.
Bistrattato da molti e esaltato da altri. Si tratta di un giallo comunque guardabile, interpretato bene da un gradevole cast. A parte il ridicolo finale (che in parte ricorda quello di Sotto il vestito niente) il film si lascia guardare. Un po' improbabile la storia del gatto, ma tant'è. Ottime le musiche. Diverse scopiazzature dai film di Argento. Quasi tre pallini.
Inutile far notare quanto l'influenza del Darione nazionale contamini ogni passaggio di questo ennesimo titolo "numerologico". Un buon giallo comunque, in cui spadroneggiano primi piani fuorvianti e disonesti zoom sugli sguardi torvi e sospettosi di alcuni degli interpreti. Differentemente dal solito, Anthony Steffen mostra davvero un raro stato di grazia con la sua perfetta immedesimazione nei panni del compositore cieco. A tratti allucinato, il film di Pastore presenta inoltre la sequenza forse più splatter mai vista sino ad allora su schermo.
MEMORABILE: Shirley Corrigan, novella Janet Leigh, affettata a colpi di rasoio sotto la doccia.
Discreto thriller dalle incontrovertibili derivazioni, ma onestamente palesate, senza dissimulazioni di sorta. Quello che personalmente ho trovato fuori luogo, è la modalità principale con la quale vengono uccise le malcapitate: troppo improbabile. La storia è carina, con lo svolgimento regolare frutto di una tecnica sobria, senza troppe pretese (saggia decisione evitare di strafare). Particolare la location in Copenaghen, ma forse Milano o Roma avrebbero caricato meglio la natura di genere. Attori bellissimi e musiche adeguate, con un finalone inaspettato.
Sembra davvero un fumettone per via di costumi, design, tecnica di omicidio indiretta e solo in apparenza avveniristica, per il fatto che un'attrice la faccian tanto bella per accopparla in seguito così crudelmente... per il bianco e nero della doccia che qui centuplica la suggestione, stessi due colori che contraddistinguono i mantelli. Davvero un caso? Interessante, ma non grintoso al punto da far decollare l'entusiasmo di chi lo vede.
Prende da Argento, da Bava, da 23 passi da un delitto e finisce con una splendida uccisione sotto la doccia degna di Psyco. Siamo nel '72, siamo nel bel mezzo del giallo all'italiana e del successo di Darione; Pastore si permette di emulare e rubare senza vergogna. E tutto sommato gli si perdona tutto. Il giallo non è poi pessimo, soffre delle classiche ingenuità e carenze sia di budget sia di sceneggiature. Offre la solita fotografia di quegli anni e costumi e scenografie disgustosamente pacchiane. Steffen è una garanzia, il Fonda italiano
Giallo che più derivativo non potrebbe essere: in effetti se ci mettiamo ad elencare i riferimenti ad altre pellicole rischiamo di non finirla più. Ttuttavia Pastore propone anche un paio di idee originali: l’ambientazione danese e il complesso modus operandi dell’assassino, che qui si serve, appunto, degli scialli del titolo intrisi di una sostanza che attira e scatena un gatto dagli artigli avvelenati. Buon ritmo, qualche momento di tensione e un omicidio sotto la doccia di inaudita violenza, ma la soluzione convince poco. Non male il cast.
Culto a causa di diversi record: il maggior numero di citazioni da altri gialli, la "scena della doccia" più gore, il modus operandi più contorto e improbabile, il fermo-immagine finale più ridicolo (eppure...). Però oltre questo è anche un giallo onestissimo, che non si limita a seminare false piste per confondere lo spettatore ma gli offre anche la possibilità di indovinare il colpevole con un particolare rivelatore (occhio all'automobile). Regìa assai meno sciatta di quanto sembri, buona prova anche per Steffen (altrove spesso cane).
MEMORABILE: Il bello di girare a Copenaghen: la folla di passanti non guarda in camera e si può multare Umberto Raho per aver attraversato col rosso a piedi!
Film noioso, che si perde più volte nel tentativo di richiamare classici argentiani, facendolo in maniera sconclusionata e poco efficace. La trama è artificiosa e priva di tensione, i delitti (a parte un po' di gore finale) sono piatti ed architettati in maniera poco credibile. Tra i thriller dell'epoca certamente uno dei più scadenti, rischiarato da una scena finale da deja-vu, ma efficace.
Thrillerone bigio e monotono, la cui inesorabile seriosità spinge a rivalutare il brio di cose che ci parvero di insuperabile bruttezza. Pastore cita a spromba tutto ma non produce un'idea buona e originale che sia una: l'atelier è baviano, il canto dell'uccello argentiano, la cecità anche, l'unico guizzo di truculenza splatter è hitchcockiano (però che fegato!), il gatto ha una coda e tanto basta. Il movente dell'assassino è più imperscrutabile di quello di Pastore. Atmos-fear ce n'è pochina. Soporifero.
Giallo dalle atmosfere cupe ma stracolmo di emulazioni e con una trama che singhiozza in modo urticante. La regia è consapevole, forse troppo, dello stile da ricalcare, difatti sparge richiami e citazioni così palesi che a sottolinearli tutti finirei per sbriciolare l'autonomia di questo film. Sylva Koscina si erge senza difficoltà su un cast modesto, la narrazione si affievolisce con stilemi abusati per preparare colpi di scena che non fanno però il botto auspicato.
Decisamente stinti questi sette scialli di seta gialli, all'interno di un filone anni '70 (quello pseudo-argentiano) che qui non riesce proprio a fare paura e a decollare in alcun modo. Scialbo e triste, si fa apprezzare per poco, neanche per le nudità di Sylva Koscina.
Definire questo film derivativo e citazionista è limitativo: Pastore attinge a piene mani dal cinema argentiano (soprattutto) e baviano, cita addirittura Psyco con una versione cruentissima ed esplicita della scena della doccia. Di suo ci infila un movente confuso e risibile e un modus operandi del killer parecchio inverosimile. Nonostante tutto, il risultato non è neppure pessimo e il finale giunge inaspettato.
Derivativo il film non è e Pastore con maestria riesce ad adottare uno stile sublime e raffinato degno del miglior Argento o Bava. Il montaggio ne è la prova più lampante, ma anche la sceneggiatura, nonostante tutto, si avvicina allo stile dei registi sopracitati. Difficile denigrare il miglior thrilling che si avvicina ai canoni baviani o argentiani.
Se si resiste a terribili primi piani, zoomate allucinanti, uno script assolutamente delirante e attrici orrende (la Lenzi è inguardabile), ci si può pure divertire. Pastore può ambire alla palma di regista inetto (che manco Andy Milligan) e ridicolo. Questo poveristico thrillerino è davvero, quasi, inguardabile, se non fosse per un cruentissimo omicidio a rasoiate sotto la doccia (da fare invidia a Lucio Fulci) e per il finale, davvero disturbante e crudele, che curiosamente ricorda quello identico di Gore gore girls. Un assoluto delirio trash.
MEMORABILE: L'omicidio della modella sotto il treno, da sbellicarsi dal ridere e classico esempio di come non si deve filmare un assassinio.
Non ho visto (e di quei pochi che ho visto a suo tempo non ricordo nulla) i film a cui questo si è ispirato o addirittura ha tratto intere sequenze (tolta la famosa "doccia" di Psyco, naturalmente, ed è la scena che ho meno apprezzato, nudo a parte). Per il resto ho trovato abbastanza intrigante l'intreccio della storia, anche con tutte le sue incongruenze e illogicità, che può essere giusto facciano parte di lavori come questo. Gli interpreti, a parte il "fotomodello" Rossi Stuart, sono all'altezza. Appropriata la colonna sonora.
MEMORABILE: Il maestro cieco al commissario: "Avete occhi ma non vedete, avete orecchi ma non udite...", mi ricorda qualosa.
Titolo scioglilingua per questo thriller superficiale e derivativo, che attinge principalmente alla trilogia degli animali di Dario Argento. L'idea di ambientare il mistero nel mondo della moda non è nuova (si veda il seminale Sei donne per l'assassino di Bava) e il meccanismo è eccessivamente forzato per risultare credibile, quindi la tensione viene presto diluita dal ritmo lento. Da salvare solo la fotografia carica di colore, che evidenzia le ambientazioni lussuose e la scena dell'omicidio della doccia.
Pastore cita a destra e a manca (L'uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code, Sei donne per l'assassino e Psyco), ma realizza un film decisamente brutto. La trama è di una banalità disarmante e la pochezza della sceneggiatura cerca di distogliere i sospetti dello spettatore con scene ingiustificate e ingiustificabili. La buona recitazione non è certamente un requisito fondamentale del thriller italiano, ma qui si tocca veramente il fondo. Si salva il finale, ma anche qui le luci dinamiche colorate sono di baviana memoria.
Non mi ha convinto più di tanto questa imitazione del giallo argentiano! La sceneggiatura è troppo contorta e si fatica a seguire la storia. A parte un paio di scene interessanti e l'ambientazione danese resta ben poco, alla fine. Si salvano le musiche di De Sica e la buona (ma ha fatto di meglio) interpretazione di Rossi Stuart.
MEMORABILE: Steffen braccato in casa; La scena nella doccia.
Onesto giallo, con il pregio di mantenere un buon ritmo ma con il grosso difetto di assenza di originalità (il primo Argento è richiamato a più riprese, con qualche citazione di Fulci e un pizzico di Hitchcock). Il cast se la cava egregiamente (bravo il protagonista, nei panni del cieco). Il momento migliore è il terribile omicidio nella doccia (tra i più crudi che ricordi in pellicole del genere). Nel complesso non è male, pur mancando qualcosa per elevarlo a buon film.
Tipico esempio di thriller italiano derivativo con riferimenti ad altri film (uno su tutti Anthony Steffen che interpreta un cieco, come Karl Malden nel Gatto a nove code). Pastore realizza un discreto prodotto, girato a Copenaghen, con un originale metodo per uccidere. Gli scialli assassini, per quanto improbabili, sono unici nel genere. Per il resto ordinaria amministrazione. Musiche di Manuel De Sica.
Meno peggio di quanto si sente in giro. Non originale, farraginoso, con soluzioni che fanno sorridere (il gatto serial killer; gatto nero ovviamente): una serie di pecche di cui gli appassionati più naif e sinceri hanno imparato a godere voluttuosamente. E gli ultimi venti minuti, al netto di una evidente e furbesca accelerazione sopra i giri dell'inverosimile, si fanno apprezzare, divertendo. Mezzo pallino in più per il titolo: novenario con allitterazioni e doppia coppia assonanzata (assonanza non semplice): un tocco di classe.
Il citazionismo portato all’estremo permette a Pastore di realizzare un giallo alquanto particolare dove i tributi rasentano quasi il plagio. Lì dove non ci sono echi di altri autori, però, non emerge una grande personalità, almeno non raffinata e quadrata nello stile. Non c’è molto thrilling e anche il filo che porta alla soluzione dell’enigma non è così coinvolgente, smarrendosi in confusione e conclamando in un epilogo che sembra realizzato più per dovere di cronaca che per altro. In definitiva, nulla di eccezionale.
Thriller che attinge a piene mani da vari classici del genere con un intreccio a tratti cervellotico (pur con alcuni momenti spiazzanti) e alcune carenze a livello di realizzazione (per la resa deludente di alcuni omicidi e una certa legnosità della recitazione), ma in cui sono evidenti lo sforzo produttivo (soprattutto per la fotografia e la colonna sonora) e l’apporto di uno sceneggiatore capace come Continenza. La cattiva reputazione del regista risiede soprattutto nei lavori successivi.
MEMORABILE: Il rasoio che infierisce sotto la doccia; La mortifera ricorrenza del colore giallo.
Pastore tragitta la mandria dei thriller fin là facenti gregge lungo l’iter che da glossa del passato e del presente attracca a un irriflesso abbecedario del futuro (talvolta in patria si è profeti eccome), rifacendo il corredo genetico a usi costumi forze forme segni sogni di tutta una cava ormai spillatissima. Siam presi al sollazo da una palla matta che giravolta tra plurime sponde (il weird, il trash, la psichedelia sperimentale, l’azzardo splatter, al servizio dell'whodoneit più ortodosso), dimostrazione plastica che gli anticorpi del neo-thriller sono ancora reattivi e lottano con noi.
L'artefice introduce in un frullatore cinematico sostanze (principi attivi), suggestioni, elementi derivati da varie fonti: il risultato è, appunto, un frullato; all'epoca della sua fattura era da dare in pasto a quella oscillazione del gusto settantiano che trovava interesse nelle questioni di look e di atmosfera argentiana. Fin qui tutto (concettualmente) bene; in termini di esiti qualitativi, però, il frullato ha dei sapori stonati; non gravi da renderlo stomachevole ma nemmeno trascurabili da far finta di niente.
Uno dei pochi film di Pastore, se non l'unico, ad avere goduto di una discreta disponibilità di mezzi e di una buona distribuzione. Certo non un capolavoro ma nemmeno così terribile come si dice. Niente più né meno di un onesto gialletto del prolifico filone animal-argentiano, con delitti dalla modalità improponibile e un movente ancora più inattendibile, ma girato con una padronanza del mestiere maggiore di quanto ci si possa aspettare da questo autore. Recitazione di routine con qualche nudo e qualche modesto squarcio erotico come di rigore.
MEMORABILE: Le crisi di astinenza della Lenzi nel suo negozio di animali.
Interessante lavoro, buon giallo che al tempo stesso strizza l'occhio a Dario Argento per poi prenderne le distanze, girato in una Copenhagen fredda e a volte solare, con le facce del cinema italiano di allora. Certo le incongruenze ci sono e la sceneggiatura pecca a volte di sperficialità, ma a fronte della quantità enorme di scarsi prodotti del cinema di genere degli anni '70, si salva. Ottimo Steffen nei panni del musicista cieco, passabili le musiche.
L'algida Copenaghen fa da scenario a una serie di efferati delitti che si consumano attorno a un atelier di moda. Accanto alle indossatrici morte, uno scialle di seta gialla... L'opera di Pastore si inserisce abbastanza impudentemente nel filone del giallo cosiddetto "argentiano" copiandone stilemi e formule (il cieco interpretato da Steffen, qui protagonista, non può che ricondurci a Malden de Il gatto a nove code). Se il punto forte non è l'originalità, va in ogni caso riconosciuto al regista un certo piglio narrativo che in parte coinvolge.
Vale più per le atmosfere e per l'idea del tramite animale con cui portare a termine i delitti che per la storia in sé, fitta di risvolti abbastanza improbabili (anche se il soggetto, va detto, non aiuta) e con un finale che non convince granché. Alcune scene, inaspettatamente cruente a dispetto del blando tono complessivo (l'omicidio sotto la doccia di Margot-Shirley Corrigan su tutte), si fanno ricordare. In definitiva un buon film di genere, senza particolari picchi.
Giallo minore ma non insulso, che rubacchia idee a destra e a manca ma lo fa con un certo tatto, tanto da far sembrare il tutto un onesto gioco citazionista. Argento è ovviamente il punto di partenza (il cieco che indaga, il verso di un uccello catturato in una registrazione, l'elemento animalesco), ma l'ambientazione richiama le sei donne di Bava. Non sfugge neanche un selvaggio delitto hitchcockiano sotto la doccia (ottima sequenza). Il plot non fa gridare al miracolo, ma il film si lascia guardare. Peccato per il finale trash e sbrigativo.
MEMORABILE: La spiegazione dell'originale modus operandi del killer; Le immagini di Una lucertola con la pelle di donna; Il (risibile) movente dell'assassino.
In un atelier alcune modelle vengono uccise in modo singolare. Candido e ingenuo thriller, tipico del periodo. Leggiadro, con qualche tocco argentiano che lo rende ancora più interessante e con interpreti di tutto rispetto. Poi si sa: la sceneggiatura è talvolta forzata (comunque ha diverse trovate originali), ma questi film davvero tipici del periodo e inimitabili si amano anche per altri motivi. Trucco, parrucco, abiti, automobili, arredi, musiche di sottofondo, colori sgargianti: un tripudio anni 70. Imperdibile per i nostalgici.
Tremendo. una sorta di centone di suggestioni dai film di Dario argento (ma l'impavido Pastore non tralascia Hitchcock) messe insieme senza grazia, senza un senso (ad esempio: ma chi dice che gli scialli debbano essere sette? e soprattutto: a cosa servono, visto che tutti gli omicidi avvengono nello stesso ambiente?). La peggiore interpretazione di De Teffè, la Incontrera e la Koscina sottotono. Per quanto riguarda la Lenzi, Pastore cerca di fare con lei quello che Truffaut fa con la Ardant: si vede che la ama, ma il risultato è pessimo.
MEMORABILE: La droga, servita in comode fialette da trasporto.
Per questo lavoro di Pastore si potrebbe coniare la definizione di giallo citazionista: innumerevoli sono infatti i rimandi ad altre pellicole, fin dal titolo (le Sette orchidee di Lenzi, precedente di qualche mese) e poi ancora: la figura del non vedente, di derivazione argentiana, l'ambientazione presa da Bava, l'idea base dei 23 passi, via fino ad Hitchcock e addirittura a una sequenza nel film della Lucertola di Fulci. La confezione però è decorosa, con un cast ricco di nomi del cinema bis capitanato dal buon Steffen, e tutto sommato il film funziona fino al fugace spiegone finale.
MEMORABILE: Il bislacco e quanto mai singolare modus operandi dell'assassino.
Modesto giallo che saccheggia senza ritegno Hitchcock, Bava e Argento; ma Pastore non è nessuno dei tre e, purtroppo, si vede. Veramente curioso e assurdo il modus operandi dell'assassino, ma la messa in scena è pedestre (zoom e effetti ottici inutili a tutto spiano) e gli omicidi, che in una pellicola del genere dovrebbero essere il piatto forte, sono quasi tutti esilaranti (si salva quello splatter sotto la doccia). Assai modesto, ma gli amanti del trash potrebbero ricavarne discreta soddisfazione (si vedano gli ultimi venti minuti).
MEMORABILE: Il comico balzo indietro della Marshall quando apre il cesto; Il massacro della Corrigan; Steffen cieco che in casa accende la luce.
Da far rientrare nella categoria del "...gli romperei il muso ma è simpatico", il thriller di Pastore esibisce la sua natura derivativa facendone un punto di forza che vellica la condiscendenza di ogni supponente cinefilo. Con glamour alla Martino e diverse diottrie (altro che uno sguardo) ad Argento, il buon Pastore non catalizza la tensione lasciando però sempre viva la curiosità nel suo deliberato svolgimento. Convincente e concentrato il cast tutto a partir da De Teffè e Rossi Stuart. Gli assassinii gridano vendetta, compensati però dall'efferatezza (specie quello della doccia).
Giallo "argentiano" in tutto e per tutto, in quanto oltre a partecipare al filone fa alcune citazioni proprio dai film del regista romano. Alla fine è un film nella media del genere, senza particolari aspetti originali. Bello il clima che si respira, iconici di qual cinema gli attori. La scena nella doccia è notevole per crudeltà e per modo in cui è girata e costituisce l'aspetto migliore e più caratterizzante del film.
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Il film per il quale il pianista cieco Oliver (Steffen) sta componendo le musiche e di cui si reca in moviola a prendere i tempi è Una lucertola con la pelle di donna di Lucio Fulci, uscito l'anno precedente.
p.s. un vero maestro, visto che la sincronizzazione è un lavoro delicato anche per chi ci vede benissimo.
Quando il commissario (De Carmine) ritrova il cadavere della tossica (Lenzi) strizza l'occhio al titolo con la seguente battuta:
"Sette scialli di seta gialla: cinque hanno già ucciso... ne restano ancora due".
Ora o mi sono perso un passaggio, oppure si tratta di una boiata colossale: difatti a meno di non aver letto i titoli di testa come potevano il commissario e gli altri sapere che gli scialli in questione dovevano essere proprio sette?
DiscussioneZender • 28/02/20 14:36 Capo scrivano - 47727 interventi
Sarebbe una cosa da Mel Brooks bellissima, ma mi sembra un po' difficile e fuori luogo...
Il Dandi ebbe a dire: Quando il commissario (De Carmine) ritrova il cadavere della tossica (Lenzi) strizza l'occhio al titolo con la seguente battuta:
"Sette scialli di seta gialla: cinque hanno già ucciso... ne restano ancora due".
Ora o mi sono perso un passaggio, oppure si tratta di una boiata colossale: difatti a meno di non aver letto i titoli di testa come potevano il commissario e gli altri sapere che gli scialli in questione dovevano essere proprio sette?
Non ricordo la cosa. Fra l'altro vidi il film all'epoca e pure più recentemente. In questa seconda circostanza non ho notato la cosa. Gli scialli erano forse stati comprati in un lotto di sette?
B. Legnani ebbe a dire: Gli scialli erano forse stati comprati in un lotto di sette?
Come le cravatte azzurre di Indagine? Può darsi, ma avendolo rivisto in tv l'altro ieri (invero un po' distrattamente) non ho visto un accenno del genere, per questo domandavo.
Il Dandi ebbe a dire: Quando il commissario (De Carmine) ritrova il cadavere della tossica (Lenzi) strizza l'occhio al titolo con la seguente battuta:
"Sette scialli di seta gialla: cinque hanno già ucciso... ne restano ancora due".
Ora o mi sono perso un passaggio, oppure si tratta di una boiata colossale: difatti a meno di non aver letto i titoli di testa come potevano il commissario e gli altri sapere che gli scialli in questione dovevano essere proprio sette?
La frase esatta pronunciata (o pensata?) dal commissario (o dal pianista cieco?) è
"Sette scialli di seta gialla: cinque hanno già ucciso...
ancora due omicidi",
quindi il riferimento parrebbe rivolto in modo contestuale proprio alle ultime due vittime rinvenute in successione dalla polizia (Liliana Pavlo e Giovanna Lenzi).
Certo, resta sempre la "premonizione" inspiegabile dei Sette scialli...
La frase esatta pronunciata (o pensata?) dal commissario (o dal pianista cieco?) è
"Sette scialli di seta gialla: cinque hanno già ucciso...
ancora due omicidi",
Ah ecco, d'accordo la frase esatta è leggermente diversa, ma quell'"ancora due" a me invece sembra chiaramente riferirsi al conto alla rovescia della trama (5+2=7) .
Esiste un Blu-ray import della Cauldron film con audio italiano. Il blu-ray della Cauldron Film è di ottima qualità, il riversamento in alta definizione è davvero lodevole e con una fotografia vivace e calda rispetto al vecchio DVD Federal; il film viene offerto in 2.35:1 e dovrebbe essere il formato giusto visto che recupera porzioni di dettaglio lungo i fotogrammi (il dvd della Federal in mio possesso è in 1.77:1). Ho notato inoltre che l'omicidio finale (quello nella doccia) presenta anche delle rasoiate in più e quindi è leggermente più lungo rispetto alla versione che ho sempre visionato e che ho in DVD; in questa edizione Imelde Marani compare completamente nuda davanti al fotografo; i titoli di testa sono in inglese "The Crimes of the Black Cat".