La vera storia di Salomon Sorowitsch, falsario ebreo e della più grande operazione di contraffazione di tutti i tempi. Il contesto è quello del campo di concentramento di Sachsenhausen, nel periodo della Seconda Guerra Mondiale; diversamente dal cinema di questo genere, gli orrori dei campi sono chiusi oltre la parete di legno delle baracche-laboratorio ove lavorano i prigionieri privilegiati, salvo fare capolino di rado, attraverso un foro o il vetro di una finestra, ripresi da una camera a mano. Un affresco che definirei serio, a tratti noioso, a tratti emozionale, con qualche piccola caduta evitabile nel delicato terreno dell'ilarità.
Ispirato ad un fatto realmente accaduto (la più grande opera di falsificazione della storia) il film ha il grande merito di mantenersi molto sobrio grazie ad una buona regia che evita inutili scene madri (che spesso infarciscono questo tipo di pellicole) e soprattutto grazie ad una sceneggiatura che tratteggia un protagonista che, pur nel suo dramma, risulta a tratti più che sgradevole e con cui è davvero difficile empatizzare fino in fondo. Davvero un’ottima scelta.
Buon film. La trama è discretamente studiata e con personaggi piuttosto interessanti, elevandosi dalle solite storie ambientate nei lager. La regia è decisamente azzeccata e riesce a mantenere il ritmo e la tensione per tutta la durata (nonostante un leggero cedimento nel finale). Ottimo il cast. Non un capolavoro ma si può vedere.
Buon film di produzione tedesca che affronta il tema dell'olocausto da un punto di vista inedito, raccontando il tentativo di truffa che il reich fece, immettendo in circolazione denaro falso prodotto da un gruppo di ebrei reclusi in un campo di concentramento. Il film è realizzato in maniera scarna e diretta, con una particolare attenzione alla caratterizzazione dei personaggi, specie del protagonista, che cerca di salvare la vita non senza un dilemma morale. Buono il cast.
Una storia raccontata in modo impeccabile, con i tratti tenui ma dilanianti di un acquerello surreale. Arte e orrore, ingegno e sopraffazione, abilità e sopravvivenza, tutti ossimori terrificanti costretti a coesistere nel quadro di una storia incredibile. Il cast è ottimo, la ricostruzione sublime, la trama una autentica pagina di storia del tutto inedita. Un'angolazione diversa della follia nazista, fatta di un buio squarciato da piccole macchie di luce colorata. Da vedere assolutamente!
MEMORABILE: Barzelletta tra ebrei: "Sapete perché Dio non è entrato ad Auschwitz? Perché non ha passato la selezione!"
Il cinema tedesco è di solito preciso nelle rievocazioni storiche e lo dimostra in questo film austro-germanico che mette in primo piano gli orrori del nazismo. Prendendo spunto dalla più grossa impresa di falsificazione di tutti i tempi, con una regia concreta e asciutta si analizzano le lacerazioni interiori di prigionieri “privilegiati” per la loro abilità, che devono riflettere sul prezzo della sopravvivenza in rapporto al sentimento dell’umana dignità. Senza soffrire di cadute di tono il film centra il suo obiettivo narrativo.
Scegliendo fra la pletora di pellicole aventi come location principale il campo di concentramento, questa è certamente fra le più riuscite perché poggia su un indovinato stile brachilogico che delinea, con arguzia, una delle operazioni meno conosciute portate avanti - in gran segreto - dalle alte sfere del Terzo Reich. Il protagonista possiede un bel volto cinematografico, che lo aiuta a colorare l'ambiguità del personaggio interpretato. Lo stile asciutto e per nulla affettato conferisce alla pellicola il giusto realismo.
Internato in un lager, un abilissimo falsario ebreo ottiene un trattamento di favore mettendosi al servizio dei nazisti per produrre ingenti quantitativi di sterline e dollari, in modo da finanziare la guerra e mettere in crisi le economie nemiche. Ispirato ad una vicenda storica, il film pone interrogativi morali pesantissimi (cosa si è disposti a fare per sopravvivere? in quelle condizioni, si resta in grado di operare scelte?) evitando di dare risposta troppo facili, ma senza perdere di vista il peso delle responsabilità individuali. Regia asciutta, cast adeguato con un valido protagonista.
Buona rappresentazione di una storia poco nota ai più accaduta durante il regime nazista nei lager, che coinvolse un gruppo di ebrei esperti in falsificazione e tipografia disposti a lavorare sporco pur di sopravvivere. Il protagonista è interpretato da un bravo Markovics, viscerale nel suo ruolo truffaldino ma estremamente drammatico, accompagnato da un cast ottimo. Le scenografie e la fotografia sono molto buone, così come la regia solida, caratterizzata da bei movimenti di camera immersivi e taglienti. Ottimo lavoro.
Una squadra di specialisti ebrei nel lager per fabbricare banconote false per i nazisti: film ispirato alla storia vera dell’Operazione Bernhard, concentrato soprattutto sulla disperata lotta per la sopravvivenza del protagonista e sui casi di coscienza dei suoi compagni, portando lo spettatore a vivere quasi costantemente nella claustrofobia del campo, a contatto con i reclusi piegati nel corpo e nello spirito. Alcuni momenti di forte intensità rafforzano una pellicola incalzante e asciutta, che non lesina sulla durezza della vicenda.
Falsario ebreo è obbligato ad aiutare i nazisti nella produzione di valuta contraffatta. Il tema è abbinare l'evento storico dell'Operazione Bernhard alla crisi di coscienza di favorire suo malgrado i tedeschi. Markovics ha i giusti tratti e i comportamenti del prigioniero scafato mentre sul versante ideologico il sabotaggio continuo scade nel romanzato. Non vengono esasperate le condizioni del lager a favore di qualche momento duro con le esecuzioni sommarie dei carcerieri.
MEMORABILE: Il carnevale improvvisato; Il tavolo da ping pong; Il conto aperto in Svizzera con le sterline false.
Storia sconosciuta ai più ma che meritava di trovare posto tra i tanti film suul'Olocausto. La narrazione procede in maniera puntuale senza abusare di scene madri ma anche soffrendo di un certo distacco. Il cast è sicuramente funzionale, a iniziare da un protagonista dai modi ambigui che denotano grande capacità di adattamento ma anche l'inevitabile sofferenza quando realizza cosa lo circonda. Messa in scena che predilige i toni cupi ma che poteva essere più incisiva, si avvicina allo stile da fiction e diventa schizofrenica in certe scene corali.
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