Note: Aka "Iona che visse nella balena". Soggetto tratto dal romanzo autobiografico del fisico e scrittore olandese Jona Oberski "Kinderjaren" pubblicato nel 1978, in cui racconta l'esperienza nei campi di concentramento nazisti dove venne deportato con i genitori in quanto ebrei.
Discreto film che a tratti riecheggia il successivo La vita è bella. Troppo vistosa la contrapposizione tra una parte centrale piuttosto lenta e una finale abbastanza frettolosa. Un'altra pecca è la voce narrante, non sempre convincente. Nulla da dire su tutto il resto: la regia di Faenza è perfettamente equilibrata e riesce a emozionare evitando qualsiasi compiacimento; gli attori funzionano tutti, dal bambino (Luke Petterson) ai genitori (Juliet Aubrey e Jean-Hugues Anglade); bella colonna sonora di Morricone (con il celebre "Gam Gam").
Dal romanzo autobiografico di Jona Oberski Faenza ha diretto un film delicato e tenero sulla tragedia della Shoa. Con uno stile raffreddato, che evita cadute nel lacrimoso melodrammatico, Faenza adotta il punto di vista del piccolo Jona, finito bambino in un campo di concentramento, anticipando di quattro anni il pluripremiato (ma meno riuscito) La vita è bella di Benigni.
È uno dei film la cui visione è di rito nelle scuole per riflettere sulla crudeltà dell'olocausto. Al contrario di altri kolossal sul tema qui la produzione è più piccola e parsimoniosa, però nonostante questo gli esiti sono più che apprezzabili, con una narrazione struggente e toccante che vede protagonista un bambino (scelta coraggiosa e azzeccata) che i nazisti separano dai genitori, a loro volta divisi. Tante le scene forti, come il piccolo vessato in mensa e il reincontro tra il papà e la mamma dal medico. La faccia di Jona è dura da dimenticare...
MEMORABILE: Il canto degli ebrei non si scorda più...
Bambino ebreo viene deportato in un lager. L'orrore visto attraverso gli occhi dei bambini non ha l'aspetto truce e aberrante che conosciamo: ma proprio per questo, proprio perché assume il volto della normalità agli occhi degli innocenti, è ancora più truce e aberrante. Faenza sceglie lo sguardo ingenuo di un bambino per mostrare un'immensa tragedia, e così racconta una storia di grande commozione pur senza effettacci o forzature. Un film da vedere, anche se il freddo minimalismo scelto dal regista rischia a tratti di diventare piattezza.
Tratto da un libro autobiografico del fisico Jona Oberski (Anni d'infanzia), Jona che visse nella balena è una toccante storia di dolore e morte vista attraverso gli occhi di un bambino deportato in un campo di concentramento. Il regista Faenza ha il merito di affrontare il difficile tema evitando qualunque pietismo ma adottando uno stile sobrio che conferisce all'opera una patina particolarmente realistica grazie anche ad un ottimo cast e alle belle musiche di Morricone.
Deludente. Roberto Faenza non riesce a dare forza al suo film, che sembra uno dei tantissimi resoconti degli orrori dell'Olocausto, la cui unica utilità finisce per essere quella di ricordare uno degli eventi più tragici della storia. Per il resto è una storia già vista, sebbene il raccontarla dalla prospettiva di un bambino sia una buona idea. Viene concesso poco a ciò che non è il semplice accadere dei fatti, e questo rende il film piatto e spesso noioso. Meritano alcuni momenti emozionali, ma di nuovo c'è davvero poco.
Pur non convincendomi la fotografia, un po' troppo anni 90, nel tema il film si contraddistingue da molti altri del genere: affronta in modo diverso le solite tematiche (inevitabilmente finalizzate a far riflettere e quindi scuotere); probabilmente è proprio l'idea di narrare gli orrori dei lager con gli occhi di un bambino (idea che verrà recuperata poi da Benigni), ma anche quella di centrare la narrazione su di un nucleo familiare, così che il senso del drammatico è suscitato dall'amore per i propri cari. Emotivamente struggente, non lo si può negare.
L'infanzia all'interno di un lager di un bambino ebreo olandese. Nonostante la confezione sia lontana dalle grandi produzioni l'effetto storico ed educativo non manca. Evitate le fasi drammatiche dalla parte tedesca ma tralasciati i dolori della scomparsa dei genitori e le angherie assortite subite dal protagonista. Finale non scontato comprensibile anche dai più piccoli.
MEMORABILE: I bambini che mangiano insieme dal pentolone.
Il fisico olandese Jona Oberski aveva quattro anni quando venne deportato con i genitori in un campo di concentramento. Faenza ne traspone le memorie adottando il punto di vista di un bambino, certo fragile ed indifeso ma psicologicamente protetto dall'orrore grazie alla capacità infantile di filtrare la realtà attraverso il gioco. Un approccio delicato e sensibile a cui non corrisponde sempre una forma filmica adeguata, tanto che è più il "cosa" racconta a commuovere che il "come", nonostante le buone interpretazioni e l'apporto emotivo della colonna sonora di Morricone.
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CuriositàDaniela • 31/01/20 09:15 Gran Burattinaio - 5928 interventi
Soggetto tratto dal romanzo autobiografico "Kinderjaren" del fisico e scrittore olandese Jona Oberski, pubblicato nel 1978, in cui l'autore racconta l'esperienza nei campi di concentramento nazisti dove venne deportato con i genitori in quanto ebrei.
In Italia il volume è stato pubblicato con il titolo: "Anni d'infanzia. Un bambino nei lager".
Tre premi David di Donatello 1993:
Miglior regia a Roberto Faenza
Migliore colonna sonora a Ennio Morricone
Migliori costumi a Elisabetta Beraldo